Siria e Libia bruciano. Come spiegare ai ragazzi le nostre guerre?

Eric Salerno

La notizia di ieri voleva essere di conforto. Il presidente russo Putin e l’americano Obama si erano parlati e, raccontavano le agenzie di stampa, si erano accordati per intensificare la cooperazione per implementare la dichiarazione di cessate il fuoco del Gruppo Internazionale di Supporto sulla Siria.

Le notizie di oggi raccontano dei bombardamenti russi e siriani su due ospedali. E delle incursioni aeree dei militari turchi contro i curdi. Nuovi morti, nuove vittime civili che si aggiungono al tragico bilancio di cinque anni di ciò che viene definito, per comodità, una guerra civile siriana. Quattrocentomila siriani sono stati uccisi e altri 70 mila sono morti per mancanza di cibo e medicine e assistenza sanitaria. Volete una percentuale? Compresi quelli feriti nel conflitto, si tratta dell’undici per cento della popolazione.

Sabato prossimo a Zugliano (Udine) parteciperò con altri giornalisti che hanno visitato la regione mediorientale e il Nord Africa, analisti, ufficiali delle nostre forze armate, pacifisti, a un "Seminario nazionale di studio, formazione di ricerca" che ha come tema "Conoscere e spiegare le guerre dei nostri giorni".

È una grande sfida. Spiegare a chi? Soprattutto ai ragazzi delle nostre scuole, a una generazione che cresce all’ombra di conflitti relativamente vicini dal punto di geografico senza rendersi conto che sono anche nostri. E che potrebbero anche avvicinarsi di più alle nostre già fragili frontiere. La Siria sarà, ovviamente, in primo piano con i suoi morti e feriti e i profughi che inondano le nostre terre seminando panico, spesso ingiustificato. Si parlerà molto della Libia, la prossima guerra in cui, probabilmente, saremo coinvolti direttamente anche noi, con i nostri aerei, le nostre forze speciali, le nostre navi.

Qualcuno dirà “c’eravamo già stati”, ricordando l’avventura coloniale dell’Italia liberale e la successiva ferocia dei conquistatori fascisti della “Quarta sponda”.

Conoscere e spiegare le guerre dei nostri giorni? Ma se nelle scuole del colonialismo italiano si parla poco come facciamo a spiegare che quello che sta accadendo oggi in Medio Oriente e sulla sponda meridionale del Mediterraneo ha, in parte, radici profonde nel colonialismo e nell’imperialismo delle grandi potenze quando il nostro mondo era diviso tra buoni e cattivi, americani e sovietici, capitalisti e comunisti. Putin e Obama si sono parlati. E, almeno finora, il presidente americano sembra aver confermato di voler accettare le regole della vecchia "guerra fredda". La Russia fa il lavoro sporco. L’America, per ora, non si sporca le mani. Dobbiamo spiegare ai nostri ragazzi che si lavora ancora per dividere, o meglio, condividere un pezzo di mondo. E per farlo – fanno capire nelle capitali delle superpotenze – altra gente deve morire. Ho provato a spiegare chi sta sparando contro chi e perché.

Oggi vorrei aggiungere un altro pezzo della tragedia, della realtà loro e nostra. Non permetteremo mai ai popoli delle regioni in fiamme (popoli che da un centinaio d’anni vivono, quasi tutti, in confini e stati che abbiamo disegnato noi) a tracciare da soli nuove frontiere e a scegliere in modo indipendente nuove alleanze. E allora, mi chiedo, quale è la lezione che vogliamo riservare ai nostri ragazzi?

 

Articolo originariamente pubblicato su L’Huffington post il 15 febbraio 2016

 

Amelia Rossi

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