Incontro con Mariella Tapella di Pax Christi

In Salvador da 29 anni
Anselmo Palini

Sabato 22 agosto, prima di partire per l’appuntamento che abbiamo nella mattinata, parliamo a lungo con Guillermo, figlio di José Angel Rodríguez, il signore che ci ospita. Guillermo ha 50 anni ed ha un figlio di 23 anni che vive in Honduras con la moglie, la quale fra poco dovrebbe ottenere la cittadinanza statunitense, per cui andranno negli Stati Uniti. Guillermo ricorda che a 18 anni un suo amico gli propose di andare in Canada ma lui rifiutò poiché non se la sentiva, così giovane, di lasciare tutto. Ora il suo amico in Canada ha famiglia e lavoro e Guillermo si rammarica di non averlo seguito. Guillermo  come lavoro riscuote degli affitti per conto di una società e li deposita subito in banca. Lui fa questo lavoro senza andare in giro armato, “ma se le maras vengono a sapere che trasporto sempre soldi, per me è finita”. Lo stipendio medio in Salvador è sui 200-300 dollari. Guillermo ne prende 300; molti di questi ogni mese vanno in medicine e in visite mediche poiché è cardiopatico. Quelli che fanno i turni di guardia davanti alle cancellate d’ingresso alle colonie (i nostri quartieri) o davanti ai negozi o altro, turni anche di 15-20 ore, prendono 250 dollari. Uno specialista, ad esempio un farmacista (in città c’è pieno di farmacie), prende circa 600 dollari al mese. Diciamo a Guillermo che forse domani andremo all’oceano Pacifico. Lui ci dice che non ci può andare né in macchina poiché viene a costare troppo e neppure in bus poiché si rischia di essere rapinati.

 

In Salvador nel nome di don Tonino Bello

Accompagnati da Claribel con un pick up del Movimiento salvadoreño de las mujeres, partiamo per i diversi impegni. Infatti io ho un appuntamento in calle S. Antonio Abad con Mariella Tapella, una cara amica milanese che ho conosciuto oltre trent’anni fa salvo poi perderla di vista e incontrarla nuovamente in questi ultimi anni per i miei lavori su Romero e Marianella. Gli altri vanno in centro ad un mercato,   chiamato ex-cuartel, dove vi sono molti banchi di artigianato locale.

Trovo Mariella, che è in Salvador da 29 anni, alla sede di Sercoba, di cui parlerò più avanti. Ci siamo conosciuti negli anni Ottanta a Pax Christi. Lei faceva l’insegnante di matematica a Turbigo (Varese) nella scuola media. Insieme in quegli anni abbiamo partecipato a varie marce della pace e a delle iniziative estive per i ragazzi di Secondigliano, uno dei quartieri più difficili di Napoli.

Mariella è arrivata in Salvador nel luglio 1986, cioè quando si era ancora in piena guerra civile, per un progetto di Pax Christi Italia. Aveva con sé una lettera di presentazione di don Tonino Bello, allora presidente di Pax Christi, per l’arcivescovo di San Salvador Arturo Rivera y Damas (che successe a Romero dopo l’assassinio). Mariella si è dovuta fingere studiosa di archeologia perché il regime, che all’epoca opprimeva il Paese, le consentisse di entrare.
Mariella ha vissuto il conflitto in prima linea. Racconta: “Lavoravo nella baraccopoli di La Chacra. Non era facile. Vivevamo nel terrore della repressione: ho dovuto cambiare cinque indirizzi per sfuggire agli squadroni della morte. Ho visto le bombe cadere dal cielo e ho imparato a dormire sotto il letto”.

All’inizio Mariella si appoggiò all’arcidiocesi, poi ad altre parrocchie della città, in un lavoro di animazione e promozione sociale. In quegli anni era rischioso persino riunirsi a leggere e commentare la Bibbia. Si passava per sovversivi e si rischiava di essere presi di mira dai militari.

 

La creazione di Ser.Co.Ba.

Dopo gli accordi di pace del 1992, inizia una nuova tappa nella vita del Paese. Alcune persone sopravvissute alla guerra civile sentirono la necessità di continuare ad operare per la liberazione del pueblo. Si trattava però di farlo in un altro modo. Nasce così, nell’ottobre 1992, un gruppo che si dà come nome SER.CO.BA (Equipo de Servicio a Comunidades de Base), un gruppo legato alla memoria di mons. Romero e dei tanti altri martiri.

Sercoba parte dall’assunto che la pace è frutto della giustizia, della libertà, della uguaglianza, dei diritti umani, delle pari opportunità. Fra i fondatori vi è padre Rutilio Sanchez, padre Tilo, già collaboratore di mons. Romero e direttore del settimanale diocesano “Orientación” ai tempi dell’arcivescovo e della Caritas diocesana. Con l’assassinio di Romero, padre Tilo, dopo un periodo all’estero, decide di rientrare nel paese e darsi alla clandestinità, unendosi alla guerriglia. Anche alcuni altri sacerdoti fecero la stessa scelta. Padre Tilo, oggi guida di Sercoba, non è presente al nostro incontro poiché è andato in un altro dipartimento fuori città dove si ricorda l’anniversario di un massacro. L’ho comunque incontrato un paio d’anni fa a Milano quando stavo preparando il libro su Marianella.

Poi, ancora Mariella, ci parla dei tre pilastri su cui si basa il lavoro di Sercoba:

Educar, Coscientizar (che non è solo “prendere coscienza”, il che è un fatto individuale, ma organizzarsi, cioè atto politico), Organizar.

Il campo di lavoro di Sercoba, con comunità delle varie zone del paese, riguarda:

- programmi educativi sui temi dei diritti umani, dell’economia politica, dell’ecologia e del rispetto dell’ambiante;

- programmi di formazione rivolti ai giovani ad esempio nel campo di una agricoltura più biologica e rispettosa della natura;

- progetti sanitari e di educazione alla salute, in particolare, grazie alla collaborazione di ottici e medici preparati, per le persone con problemi alla vista nelle varie comunità con cui si lavora, accompagnandole anche in Guatemala da medici disponibili per eventuali operazioni;

- progetti nel campo dell’artigianato;

- progetti per le donne, per far prendere coscienza dei propri diritti e della propria dignità.

Il tutto avviene alla luce della fede e sulla base della metodologia latino americana:  vedere, giudicare, agire, celebrare. La fede, mi dice Mariella, è ciò che mi permette di resistere, di perseverare. Una fede, che non è un rapporto intimistico con Dio, bensì una fede che ha la Bibbia in una mano e la realtà storica nell’altra. Un grande sostegno viene ora dall’enciclica di papa Francesco “Laudato sí”: in essa, mi dice Mariella, ho trovato la conferma del cammino che stiamo facendo e del fatto che molti dei nostri problemi sono frutto di un sistema economico “che uccide”.

Mentre parliamo, accanto a noi un ragazzo, che in realtà scopriamo avere 35 anni, sta lavorando al computer: è Stefano, un bancario genovese, che per la terza volta è a Sercoba per un’attività di volontariato. Si ferma per tre settimane, dormendo nella sede di Sercoba, dove anche Mariella risiede.

 

La riscoperta di Marianella García Villas

Accanto a Mariella e a padre Tilo, vi sono altre persone che lavorano a Sercoba. Tra queste cinque promotori, cioè cinque persone che si sono preparate per accompagnare e seguire le comunità nella realizzazione dei vari progetti, con lo scopo progressivamente di rendere autonome le comunità. Questi promotori, persone sposate e con figli, si fermano in Sercoba tutta la settimana e vanno a casa il sabato pomeriggio e la domenica. Per loro è dunque anche un lavoro. Quattro sono presenti – Jorge, Salvador, Lorena e José – e ci parlano della loro attività. Non posso non notare grande motivazione, idee chiare e preparazione, secondo lo spirito di Sercoba.

Lascio anche a Mariella i libri su Romero e Marianella e diverse brochure: Mariella è molto contenta del fatto che si riscopra la figura di Marianella: poiché donna, in una società maschilista come quella salvadoregna, è stata ben presto dimenticata. Le comunichiamo dov’è la tomba e abbiamo la conferma che anche lei non lo sapeva.

Riscoprire la figura di Marianella è quanto mai prezioso per Sercoba: padre Tilo infatti la conosceva molto bene ed era con lei fino a poche ore prima dell’agguato del 13 marzo 1983 quando Marianella venne arrestata; poi verrà portata a San Salvador, orribilmente torturata e assassinata il giorno successivo.

 

Oscar Romero, “da imitare, non da ammirare”.

Con Mariella lascio la sede di Sercoba e col suo pik up andiamo alla ricerca di un posto dove mangiare. Finiamo in un locale del “Pollo campero”, dove si mangia bene e a poco prezzo. Continuiamo lì la nostra chiacchierata nel ricordo di comuni amici, alcuni dei quali ci hanno già lasciato, come don Tonino Bello e Gigi de Simone. Mi spiega poi il perché della presenza di tanti fuoristrada: per chi deve andare all’interno del paese, è l’unico mezzo utilizzabile. Anche Mariella mi manifesta la sua grande preoccupazione circa il tentativo, delle forze conservatrici del Paese e di parte della Chiesa locale, di ridurre la figura di Romero a quella di un santino da tenere in tasca o di un quadro da appendere ovunque, ma senza aggancio con la storia del Salvador di oggi e senza nulla da dire al mondo d’oggi. E’ questa una visione religiosa pienamente inserita nel sistema economico dominante e dunque priva di quella carica critica e rivoluzionaria propria della fede, nello spirito di papa Francesco. Romero invece da arcivescovo fu la voce del suo popolo e anche oggi, ci dice Mariella, il suo insegnamento lo può essere. Ma molti non vogliono che ciò avvenga. Preferiscono il devozionismo. In realtà, come dice mons. Gregorio Rosa Chavez, “Oscar Romero non è da ammirare, ma da imitare”.

Nel tardo pomeriggio Mariella mi lascia al Museo Nazionale di Antropologia “J. Guzmàn”, dove in varie sale ben allestite si ripercorre la storia e l’origine del paese dal punto di vista della popolazione e delle attività economiche. Una sezione è dedicata a mons. Romero.

 

(Una cronaca completa delle due settimane in Salvador

sul sito anselmopalini.it, nelle pagine dedicate al Salvador.

Sullo stesso sito, nella sezione Eventi,una rassegna fotografica del viaggio)

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