Con la riforma e con la Costituzione

Giancarla Codrignani
Fonte: Unità 1/04/2016

Cari amici della Rete per la Costituzione, intendo intervenire molto prima che si verifichi uno scontro insensato, perché io voterò SI’ al referendum, ma non intendo dissociarmi dall’associazionismo che difende la Costituzione. Quando Giuseppe Dossetti nel 1994 mise in guardia il Paese dai pericoli che correva la democrazia per la minaccia di un governo di Berlusconi e si formarono i Comitati che da lui presero il nome, c’erano già distinzioni tra noi tra chi privilegiava una legge elettorale con il “doppio turno alla francese” o il sistema tedesco.

Oggi si assiste a una sorta di impegno ultimativo tra opinioni contrapposte di costituzionalisti, dopo le tante esperienze registrate, dalla Commissione convocata dal governo Letta, alle 150 modificazioni del testo originario, alle oltre 5mila votazioni, agli 83 milioni di emendamenti presentati non più – un segno delle trasformazioni in corso – dai parlamentari, ma direttamente dall’elettronica.

I rischi che da anni corre la democrazia in Europa (e non solo) esigono il coraggio di traghettare i principi oltre trasformazioni realmente epocali. Nel 2012 non si parlava di helicopter drops, di stampare moneta della Bce da distribuire bypassando le banche; eppure abbiamo introdotto in Costituzione il pareggio di bilancio (art.81) senza vederne la pericolosità. Non ci siamo accorti che non “mani pulite”, ma la vetustà ha seppellito i partiti di governo (Dc, Psi, Psdi, Pri, Pli) e che la sinistra veniva scivolando e frammentandosi senza rinnovarsi. A quel tempo, quando il Parlamento si paralizzava, si andava a elezioni anticipate: possibile, almeno nel 2016, mettere ordine per evitare che il Parlamento trascorra due settimane a parlare delle coppie di fatto, mentre c’è da provvedere al dissesto economico, alla disoccupazione, al mantenimento di Schengen, alla Libia, al terrorismo?

Non si rischierà nessuna dittatura se il Parlamento partendo dalle competenze renderà palese la dialettica con l’opposizione, anche quella interna alla maggioranza (impossibile silenziare un Fassina o un Civati o un Bersani). Ma non è più pensabile un proporzionale con le lobbies alla Mastella e i ricatti di chi pensa a guadagnare voti alle prossime elezioni (anticipate).

L’analisi non può fermarsi: sappiamo tutti (tranne i sindacati) che il lavoro non sarà mai più quello di prima; che il sistema globale chiede a tutti i Paesi di riposizionarsi; che in Italia ci sarebbe stato davvero bisogno di quel check and balance oggi tanto menzionato, mentre non c’è mai stato controllo e il balance senatorio serviva per diluire nel tempo il lavoro legislativo.

Purtroppo la sinistra riflette così poco sui propri fondamenti da non accorgersi che la gente legittima la candidatura elettronica con un pugno di voti di “nominati” e che gli italiani non sentono più il valore di essere prima di tutto europei, mentre fanno audience i neo-nazionalisti che vogliono le frontiere, pur sapendo che le immigrazioni sono un dato di realtà e che pagheranno comunque in euro i debiti e perderanno non solo gli Erasmus. E che Dio ce la mandi buona e ci eviti di trasformare i conflitti in guerre. Senza ripetere l’art. 11 come un mantra, bisogna sollecitare il coordinamento europeo dell’intelligence e la formazione non solo di un’intelligence, ma di un esercito europeo (gli eserciti sono inevitabili anche per noi pacifisti) anche per razionalizzare la spesa di 28 eserciti nazionali inefficienti.

Perché è il diventar guerra dei conflitti che fa perdere di vista, in tutti i casi, lo stato di diritto.

 

 

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