ARMI

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Nonostante la Convenzione sulle munizioni cluster, in Yemen se ne fa tuttora uso. E le vittime civili del conflitto crescono. Ma gli affari sono affari.
Giuseppe Schiavello (Campagna Mine )

Yemen, da poco più di un anno, precisamente dal 26 marzo 2015, la coalizione, guidata dall’Arabia Saudita, composta da Bahrain, Egitto, Giordania, Kuwait, Marocco, Qatar, Sudan ed Emirati Arabi, sta conducendo bombardamenti utilizzando bombe cluster, armi messe al bando dalla Convenzione sulle Munizioni Cluster (CCM) del 2008. Delle vittime registrate nel 2015, il 98% è rappresentato da civili, di cui il 30% da bambini. Gli ordigni ritrovati sul posto, di sei tipi differenti, sono risultati essere prodotti negli Stati Uniti e in Brasile. 

La guerra

Il conflitto in Yemen è uno dei più atroci attualmente in corso e rappresenta la maggiore crisi umanitaria in Medio Oriente: oltre 2.000 civili uccisi durante il conflitto, di cui 400 bambini. 1,4 milioni di persone sfollate all’interno del Paese a causa degli scontri. L’ottanta per cento della popolazione necessita di assistenza umanitaria: cibo, acqua, casa, carburanti e raccolta rifiuti.

Le vittime civili sono state documentate a seguito dei bombardamenti con munizioni a grappolo svolte tra aprile e agosto. Il 6 gennaio 2016, l’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (OHCHR) ha pubblicato un rapporto per condividere le prove raccolte rispetto ai bombardamenti in diversi villaggi di Hajjah. 

La bomba a grappolo che ha colpito Sana’a, capitale dello Yemen, il 6 gennaio scorso, è una CBU-58, prodotta nel 1978 dalla Milan Army Ammunition Plant (nello Stato del Tennessee) così come le sub-munizioni contenute al suo interno le BLU-63. Ogni CBU-58 contiene 650 BLU-63. Tra il 1970 e il 1995, gli Usa hanno inviato all’Arabia Saudita 1000 CBU-58. Le munizioni a grappolo, in città e villaggi, sono state utilizzate in almeno cinque dei 21 governatorati dello Yemen: Amran, Hajja, Hodaida, Saada e Sanaa. Tra i vari tipi di munizioni a grappolo, ne sono stati identificati tre, lanciati con bombe aeree e tre da razzi lanciati da terra.

Dall’inizio dei bombardamenti guidati dall’Arabia Saudita sullo Yemen il 26 marzo 2015, l’utilizzo di cluster munition è stato documentato in diverse occasioni. I sauditi, di fronte alle evidenze, hanno ammesso il loro utilizzo negando, però, (ovviamente) il loro uso nei pressi di centri abitati. Le forze della coalizione, guidate dall’Arabia Saudita hanno sganciato bombe a grappolo sui quartieri residenziali nella capitale dello Yemen, in quel famoso 6 gennaio 2016. Bisogna ricordare che l’uso deliberato o sconsiderato di munizioni a grappolo in zone popolate equivale a un crimine di guerra.   

Perché negare?

Il generale Ahmed al-Asiri, portavoce della coalizione, in un’intervista alla Cnn (andata in onda l’11 gennaio 2016) aveva smentito l’uso di bombe a grappolo contro Sana’a. Diniego contraddetto dalle innumerevoli prove raccolte sul campo da attivisti e ricercatori per i diritti umani e dal successivo utilizzo di questi ordigni in altre occasioni.

Le conseguenze e la natura di crimine contro l’umanità dell’utilizzo delle cluster bomb è talmente evidente che anche i Paesi che non hanno aderito alla Convenzione sulle munizioni a grappolo, spesso negano quanto ne potrebbe conseguire (conseguenze sui civili, inquinamento delle aree bombardate sono forti preoccupazioni internazionali).

In Siria, l’uso di cluster bombs ha portato a una risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che condannava esplicitamente la Siria per tale uso. L’Arabia Saudita, gli Stati Uniti, e lo Yemen hanno votato a favore della risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. 

Non solo cluster

Il 15 marzo 2016, due bombe aeree hanno colpito il mercato in Mastaba, a circa 45 chilometri dal confine saudita. La prima bomba è caduta direttamente di fronte a un complesso di negozi e un ristorante. La seconda ha colpito una zona coperta vicino all’ingresso del mercato, uccidendo e ferendo diverse persone. E i civili passano per effetti collaterali di guerre che hanno un esclusivo interesse geopolitico. Nell’attacco del 15 marzo, ad esempio, sono morti 97 civili di cui 25 bambini. 

Il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha reso noto che interromperà il trasferimento a governi stranieri di munizioni a grappolo che lasciano sul terreno meno dell’1% delle loro sub-munizioni inesplose... ma non prima della fine del 2018! 

Le percentuali delle sub-munizioni a grappolo inesplose indicate nell’1%, inoltre, sono statisticamente contraddette da ricerche che hanno dimostrato che la più che ottimistica percentuale dell’1% è il risultato di “collaudi” in condizioni ottimali che nulla hanno a che vedere con il reale utilizzo in zone di conflitto. 

Gli USA, in realtà, sono un “serio” supporto per la coalizione guidata dai Sauditi e, di fatto, sono parte del conflitto armato in Yemen (l’esercito degli Stati Uniti ha schierato personale di supporto alla progettazione e alle operazioni congiunte dei militari sauditi per le attività di coordinamento secondo la dottrina del “leading from behind”). Nello specifico, le Forze Armate statunitensi partecipano a operazioni militari con funzioni di coordinamento, ricerca obiettivi e rifornimenti in volo durante i bombardamenti e gli Stati Uniti, obbligati a investigare sui presunti attacchi illeciti, di fatto sono corresponsabili.

E poi le armi…

Per approfondire

Per maggiori informazioni sulle cluster bomb, sulla Convenzione che le mette al bando e sulle norme di diritto internazionale:

www.inx.campagnamine.org

www.clusterbombs.org.uk

www.stopclustermunitions.org 

Vendere armi all’Arabia Saudita – un cliente senza limiti di budget – è il sogno di ogni “piazzista” . Come ci indica la Coalizione ControllArms, Francia, Germania, Italia, Montenegro, Paesi Bassi, Spagna, Svezia, Svizzera, Turchia, Regno Unito e Stati Uniti, hanno venduto, nel solo 2015, bombe, siluri, razzi missili e droni all’Arabia Saudita per un valore superiore ai 25 miliardi di dollari.

Il Parlamento Europeo il 25 febbraio u.s. ha approvato una risoluzione sulla situazione in Yemen, per proporre un embargo della medesima Unione Europea sulla vendita di armi all’Arabia Saudita.

Le violazioni delle leggi internazionali nei conflitti, causate anche dall’utilizzo di armi con effetti indiscriminati sono ben più che un “sospetto” di pacifisti: sono macigni che dovrebbero pesare sulle coscienze di chi quelle armi le vende, persino a Paesi in guerra, e spesso anche fuori da qualsiasi mandato ONU. Avanti, please, serviteci un’altra guerra per piangere di fronte ai cadaveri straziati dei bambini. Business as usual. 

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