Sentinelle nella notte

Lettera aperta a Gianni Novelli
Flavio Gianessi

So veramente quello che ricordo e pensoquando me lo immagino,

nelle parole dell’amico che non la pensa esattamente come me” (Pseudo Feldenkrais)

 

 

Caro Gianni

Da tempo riesco a scrivere solo agli amici e mi ritrovo un disagio crescente a scrivere “per tutti”. Non so infatti perché i miei pensieri debbano interessare persone che non conosco, anche se poi mi ritrovo sovente a scrivere cose che mettono alla prova la stessa amicizia e spesso le stesse regole del buon senso.

 

La visita che mi hai fatto a Reggio, caro Gianni, era certo la prova che la nostra amicizia viveva e che dovevo considerare come segno della sua vitalità il tuo desiderio fraterno che ti scrivessi anch’io qualcosa di utile, utile alla rievocazione comune di un giorno speciale che ricordavi avevamo vissuto solennemente insieme.

Mi chiedevi di collaborare francescanamente, un avverbio che, nel comune buon senso, vuol dire “semplicemente”.

Ci provo.

 

Certo tu a quel giorno avevi pensato tante volte. E ricordavi tanto.

Io certamente lo avevo pensato molto meno e così ricordavo poco.

E quel poco che ricordo lo potrei raccontare con tre immagini soltanto e farei presto a corrisponderti, ma se poi devo aggiungere su quel giorno, i pensieri di oggi, beh, di questi non so prevedere né il numero né il buon senso. E neanche la fatica a dirli, io, e a leggerli, tu.

Comunque ci provo.

 

Intanto le tre immagini

La prima rivede un arcobaleno scenografico donato all’evento dalle coincidenze meteorologiche.

La seconda, piume colorate; piume di non so quali uccelli sui capi di non so quali tribù indiane.

La terza è una foto di gruppo orante sul prato della Basilica.

Una foto “rubata” da un qualche fotografo di mestiere. L’ho vista il giorno dopo sulla prima pagina in non so quale quotidiano e poi ho rivista come copertina di un opuscolo delle Paoline sulla preghiera ecumenica.

Mi prendeva in divisa d’ordine seduto sull’erba accanto a Morishita l’indimenticabile piccolo, grande, monaco buddista e, accanto a lui Pino Arancio che, in quella foto ritmava sul tamburino la nostra improvvisata preghiera.

Sul bordo estremo della foto, dal lembo del mantello simil francescano,  immaginai, la presenza di un’amica che già all’epoca cercava di mettere le sue orme su quelle di Chiara ed è finita in clausura e che ora mi ritrovo nel programma di questo tuo dossier non proprio con il suo nome ma ....simil suo.

 

Una idea per la fine

Passando invece subito ai pensieri e alle idee che provano a venirmi alla mente ora da quei pochi ricordi e dal tanto oblio, ne intravvedo uno difficile e complicato ed è il richiamo alla “Memoria futurorum” l’antica formula con cui alcuni Padri latini sollecitavano l’importanza del ricordo. Il ricordo non già delle cose passate ma piuttosto di quelle promesse e future: in sostanza si tratterebbe del “ricordo del “paradiso”. La prima idea sarebbe quindi di soffermarmi su quella formula che ho incontrato a un certo punto dei miei studi su Chiara e sul privilegium paupertatis; quando, studiando l’origine di quel sofferto documento papale, mi apparve inaspettata, l’eredità di Bernardo da Chiaravalle fondatore risaputo di Ordini militari.

Ma rimando questa idea “estrema”alla fine, posticipando fino all’ultimo la tentazione di spiegare perché un mondo come il nostro, rimasto senza parole per dire paradiso e senza parole per tacerlo, non possa pretendere di avere più alcunché da difendere di fronte a chi per il suo paradiso è pronto a morire e ad uccidere. Ma di questo, appunto. alla fine.

È prudente infatti che in questa commemorazione preveda sola alla fine una considerazione pietosa sulle Religioni e su come ognuna coniuga il proprio conclusivo “riposino in pace”con il discorso sul martirio o sulla santità, santità come rinuncia alla vita in parallelo con la santità della guerra o almeno con la legittimità d’uccidere e d’uccidersi.

Come vedi è appunto una idea estrema e la butto alla fine....sperando sottilmente che mi aiuti a renderla indicibile il severo computo degli spazi. Teologia apofatica?

 

Perché quel giorno anch’io?

Sarà bene invece che all’inizio cerchi di ricordare i pensieri che mi hanno portato a partecipare a quell’incontro. (Sarà comunque difficile che riesca a tenere sotto controllo il desiderio di dire già subito dove mi ritrovo ora rispetto a quel giorno e a quelle motivazioni.)

Avevo trentaquattro anni e da ventidue vivevo con i cappuccini romagnoli. “Frate tra frati” e non ancora “fratello di chi non viene riconosciuto come tale dalla propria gens”.

Da qualche anno mi davo da fare per animare regolari incontri di preghiera in due aeroporti militarizzati in Emila - Romagna. Il primo nel retroterra piacentino che si preparava ad ospitare i Tornado, il secondo, sulla costa romagnola , che già da anni ospitava un armamento atomico segreto. Segreto mica tanto poi se ero venuto a saperlo anch’io! Comunque l’armamento poi sembra sia stato spostato più in là in altro sito meno balneare.

Per quelle camminate silenziose attorno alle basi militari, mi ero inventato uno slogan che mi sembra ancora interessante: “Camminiamo in cerca di una pace che non abbia bisogno d’armi per potersi difendere”.

Erano i tempi in cui si parlava di Difesa popolare nonviolenta, di Obiezione fiscale alle spese militari, di Miti dello sviluppo e di “Contro la fame cambia la vita”. Si parlava di “peccato strutturale” e si pretendeva non di combattere i militari, e neanche i trafficanti di armi, ma di “convertire” le fabbriche d’armi soprattutto quelle nostrane. Erano queste alcune della tante antichità sessantottine.

Poi crollò il muro a Berlino e i più si misero in pace: “Avevamo vinto!”

Davanti alla Tv, ovviamente!

Probabilmente fu con questi precedenti in testa che arrivai ad Assisi quel giorno.

E anche lì, come ho detto, la prima cosa che vidi era la Tv, la sia coreografia telegenica.... benedetta anche dal belletto alle nubi, come ho detto.

Si trattava comunque della vecchia Tv ...

La strategia militare non ci aveva ancora esportato la democrazia del selfie.

Ma tant’è!

Assisi doveva restare Assisi! Una piccola Mirabilandia dello spirito: giovani frati e suore ovunque! sorrisi e pace a bene a tutti!

Sapevo che Giovanni Francesco di Bernardone non era cappuccino ma credevo ancora fosse francescano. Non avevo ancora preso sul serio il preavviso con cui Thomas Merton iniziava un suo libro: “Attenzione! Francesco non aveva la vocazione Francescana!”.

Poi imparai che anche di Marx che era stato già detto che non era marxista e di Gesù che non era Cristiano.

Io comunque ero ancora un buon frate pacifista  e all’epoca non mi dava ancora fastidio che i frati chiamassero i carabinieri se qualcuno chiedeva l’elemosina alle porte delle chiese...

Pensavo che fosse sufficiente impegnarmi a spiegar loro che il miracolo che aveva garantito a Chiara figlia di Favarone il titolo di patrona della Tv, era appena sufficiente per un titolo patronale sulla radio. Ugualmente pensavo fosse sufficiente cercare di capire se l’episodio del Saraceni a San Damiano fosse sufficiente per proporre seriamente una sua nomination al titolo patronale della DPN – la forza evanescente delle sigle!

Ancora non avevo letto Lo scrigno e il mausoleo di  Andrè Vauchez e non sapevo che la Basilica in quel di Assisi, nel campo delle esecuzioni capitali, non fu costruita solo per dare degna sepoltura a Francesco – requiescat in pace – ma anche per garantire una roccaforte che fungesse da forziere dei tesori conservati a Roma e non più sicuri crescendo anche là il partito filo imperiale. Non sapevo che il papa mise la prima pietra a quella tomba giusto il giorno in cui canonizzò il poverello. La forza dei gesti!

Non sapevo queste cose. E tanta altre.

Soprattutto non conoscevo tutta la forza del petrolio.

Probabilmente arrivai in autostop. Era infatti anche il tempo che pensavo fosse sufficiente, per oppormi al dissotterramento del petrolio, chiedere un passaggio alle macchine che viaggiavano vuote. Mi credevo sufficientemente profetico anche se non vedevo in ogni distributore di benzina un alleato di Alcaeda e dello stato Islamico, nonché del dissesto climatico.

 

Ma con te fu la prima volta

Quando giorni fa mi hai ricordato d’avermi incontrato ad Assisi quel giorno – e non era la prima volta che ci incontravamo – io mi sono ricordato che fosti proprio tu ad accompagnarmi in un campo zingari qualche tempi prima, ed era per me la prima volta. Ricordavo che eravamo a Roma.

Lo ricordo bene perché, da quella volta, con la complicità dei piccoli fratelli (Bernardo.... Luigino....), e delle piccole sorelle (Angela.... Emma...) sono arrivato a scoprire che un “campo” zingari è senz’altro il luogo più adatto per imparare a veder crescere quello che immaginavo con sempre maggior chiarezza dover essere la vocazione per la pace soprattutto se si vantava d’essere francescana: vivere da fratello e non da frate, in compagnia con chi si trovava dietro un filo spinato. Lì in stato perenne di assedio per “...far vivere in pace la sicurezza costituzionale della maggioranza democratica moderna”... Una maggioranza sufficientemente scolarizzata per non sapere che da sempre esistano i gagi. Felice ignoranza!

Come vedi divago e mi sono rimaste ormai poche parole per concludere e certamente non più sufficienti a parlare del “paradiso” per le religioni: il paradiso in cielo e la guerra in terra!

 

Concludo invece con tre pensieri buttati lì.

Il primo in forma di domanda.

Se quelle d’Assisi erano le Grandi Religioni dove sono finite le piccole?

Si accorgeranno le grandi religioni che sono ingigantite umiliando le piccole e umiliando soprattutto la religiosità dei piccoli? Come si dovrà chiamare il prossimo papa per non farsi imprestare credito dai grandi santi ma accontentarsi di come lo ha chiamato sua madre e di come lo sta “battezzando” la gente con cui sta vivendo?

Il secondo pensiero buttato lì è un’affermazione rubata alla buona notizia.

L’affermazione Beati voi poveri è la constatazione di un uomo chiamato Gesù, Yeshua per sua madre. Un figlio d’uomo che , lontano anni luce dal pensiero di fondare una religione, si è trovato a vivere con lucidità intelligente, polemica e dispiaciuta quanto basta – tipo Guai a voi ricchi-.

Si è trovato a vivere e dare il proprio piccolo contributo – tipo Ma io vi dico - alla evidente degenerazione di una religione pensata in grande e  da cui tentava di uscire.

Possibilmente vivo!

E senza cattiveria  –Non sanno quello che fanno.

Il terzo pensiero è ancora una domanda questa volta retorica e infine una beatitudine.

Mi chiedo Un elohim che aspetti le nostre preghiera per “far bene” e “farci stare in pace” non è forse un dio fatto troppo a nostra immagine? Soprattutto a somiglianza del clero di tutte le religioni?

 

Felice dunque quella religione e quel clero che prevede la libertà di ritirarsi in nome della propria umana, sorella, santa vecchiaia, unico  “collaudo” di ogni presunta gioventù.

E a questo punto credo di aver passato ogni limite, ma sono contento .

Caro Gianni, ti confermo la mia gratitudine per l’opportunità che mi hai dato di scrivere alcuni pensieri pensando a te e a qualche altro amico.

Come hai visto si tratta di pensieri acerbi e lontani dal “tranquillo tacer” con cui la verità desidera essere raccontata per esprimere tutta la sua forza.

Sai comunque che te li racconto vivendo ora “frate tra frati” e anche “infermo tra infermi” e compagno di chi fatica a venire riconosciuto come tale dalla propria gens, semplicemente perché non ha più presente la memoria d’un tempo.

Sai che ti ho scritto da questo spazio di libertà reclusa dietro il filo spinato della demenza cercando “il tacer tranquillo” quello che sa dire anche a è chiamato rinnovare la quotidiana tenuta dei confini tra sano e malato, sporco e pulito, buono e cattivo: “....guarda è rosso.../guarda, c’è del sangue/ ..ti stai pungendo anche tu.../ forse è anche il tuo.... rosso/ Guarda potrebbe essere proprio questa la nostra comune rosa / non più solo così candida!” ( da “Grazie al dio che non sopporta più le maiuscole” in La Commedìa  umana dello Pseudo Alighiero).

 

Un caro abbraccio

Flavio Gianessi.

 

Ps.

Mi prendo lo spazio di un postscriptum per riconfermarti che mi è sufficiente pensare che mi legga tu ....ed eventualmente la “rosa”dei tuoi amici; e per dirti che condividerei con te la tua scelta se fosse semplicemente quella di non pubblicare quanto ho scritto.

Se invece vi trovi qualcosa di utile per i destinatari del dossier, decidi tu su tagli e eventuali rivisitazioni.

Mi pare che, in base ai vostri tempi, qualche giorno c’è ancora per chiedermi una eventuale conferma. Resto a disposizione.

Una grande abbraccio

Amerei che tu, eventualmente mi presentassi ai tuoi amici quello che deciderai di pubblicare come “Da una lettera a Gianni Novelli di Flavio Gianessi, apprendista cattolico, auto sospeso da prestazioni cristiane, per inadeguatezza al sevizio”.

 

 

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