Per un’Europa di pace
Per papa Francesco la politica per l’Europa naviga tra due tentazioni: da un lato il globalismo uniformante, dall’altro il nazionalismo escludente. Sembrano due facce della stessa medaglia: quella del disprezzo verso i diritti umani sanciti nella famosa Dichiarazione del 1948. A Strasburgo nel 2014 (e in altre occasioni) ha messo in rilievo la presenza di un potere finanziario distruttivo delle differenze e delle persone; oggi ammonisce contro l’emergere di nazionalismi populisti contrari alla bene comune e all’unità europea.
Alla conferenza su “Xenofobia, razzismo e nazionalismo populista nel contesto delle migrazioni mondiali” del 20 settembre 2018 il papa osserva che si stanno diffondendo “sentimenti di sospetto, di timore, di disprezzo e perfino di odio nei confronti di individui o gruppi giudicati diversi in ragione della loro appartenenza etnica, nazionale o religiosa […]. Questi sentimenti, poi, troppo spesso ispirano veri e propri atti di intolleranza, discriminazione o esclusione, che ledono gravemente la dignità delle persone coinvolte e i loro diritti fondamentali, incluso lo stesso diritto alla vita e all’integrità fisica e morale. Purtroppo accade pure che nel mondo della politica si ceda alla tentazione di strumentalizzare le paure o le oggettive difficoltà di alcuni gruppi e di servirsi di promesse illusorie per miopi interessi elettorali”.
“Cosa ti è successo Europa?” ha esclamato Bergoglio il 6 maggio 2016 in occasione del ritiro del premio Carlo Magno: “Che cosa ti è successo, Europa umanistica, paladina dei diritti dell’uomo, della democrazia e della libertà? Che cosa ti è successo, Europa terra di poeti, filosofi, artisti, musicisti, letterati? Che cosa ti è successo, Europa madre di popoli e nazioni, madre di grandi uomini e donne che hanno saputo difendere e dare la vita per la dignità dei loro fratelli?”. Il 23 ottobre scorso, presentando il libro La saggezza del tempo, spinge giovani a conoscere la storia del Novecento per creare coscienza e respingere il suicidio delle guerre dovute alle chiusure nazionalistiche e alla semina dell’odio, giustificate da Hitler con la purezza della razza e la promessa dello sviluppo della Germania. In aiuto del papa è intervenuto il 30 novembre scorso a un convegno su “La nostra Europa” il card. Bassetti, presidente della Cei.
In nome di Giorgio a Pira, ha invitato i credenti a lottare per un’Europa unita e solidale, civile e democratica: “Non possiamo permettere che un vento grigio di paura, rancore e xenofobia soffia sulla nostra cara Europa”.
L’aggressione sovranista
Con il sovranismo diffuso, l’Europa, assediata dalle sue paure, sta diventando un insieme di stati murati con sovranità in declino. Il loro ripiegamento ultranazionalista scatena una sindrome che regala ad alcuni leader e ad alcune forze politiche un protagonismo muscolare, rilancia a est i fantasmi del cristianesimo etnico e a ovest l’ossessione identitaria di una fortezza autosufficiente. L’aggressione all’Europa è cominciata dentro i suoi confini con un grande attacco ai valori europei, quelli variamente declinati da Spinelli, Adenauer, De Gasperi, Schuman, Monnet, Guardini. Alla luce della storia, occorre poi ribadire che un movimento internazionale di nazionalismi è un ossimoro (accostamento di parole di senso contrario), incapace di unificare i nazionalismi (salvo che in guerre di conquista o nel respingimento del “nemico”). L’idea sovranista cozza contro la ragione politica (il classico rapporto tra mezzi e fini) e ogni logica integrativa. Il 9 ottobre a Roma, durante il ricordato incontro con Le Pen a proposito della tattica sovranista per le elezioni europee del 2019, Salvini afferma: “Ognuno celebrerà le proprie vittorie. Poi vedremo”. È una frase che non garantisce alcun progetto costruttivo. Anche ammesso che non si voglia distruggere l’Europa ma cambiarla, allontanando i burocrati o gli speculatori (su questo i sovranisti hanno ampio consenso), come sarà possibile farlo trattando direttamente con Trump e Putin, appoggiando i grandi poteri delle loro aziende e tutte le mire egemoniche antieuropee? Come si può costruire l’Europa con il trionfo di forze concorrenti, esclusiviste ed escludenti? Se ognuno dice prima io (supremazia nazionale) come può nascere il noi europeo (cooperazione internazionale)? Voler salvare l’Europa senza attivare un processo di unità federale è come volere la pace preparando la guerra. Per questo oggi l’enfasi sul primatismo (prima l’America, prima l’Italia...) accresce il disordine istituzionale, aumenta le spese militari e il commercio delle armi, prepara avventure belliche o disastri economici. La storia del Novecento l’ha dimostrato.
Una lotta sui fondamenti
Come sarà possibile costruire una cooperazione internazionale con impostazioni così escludenti e con un decreto sicurezza orientato a generare una disuguaglianza di tipo etnico, un nazionalismo di sangue? Si vuole dichiarare chiusa la stagione dei diritti umani? La lotta politica è oggi una lotta sui fondamenti: in nome del principio della tribù si stanno riscrivendo i codici morali e politici: dietro la negazione del principio di umanità vi è una concezione di comunità politica che fa a pugni con la patria, che è nella nostra Costituzione. Oggi l’indifferenza ai diritti annulla ogni dimensione morale, sostituita da un darwinismo sociale che fascismi del Novecento avevano utilizzato nel confronto tra i popoli e che ora è dilagato anche tra gli individui. Rischiamo di annullare le condizioni per l’unificazione dell’Europa che, nonostante tutto, è vista in molte parti del mondo come luogo di civiltà. Ogni tanto in lei si accendono alcune luci: le raccomandazioni riguardanti il disarmo o la riduzione delle spese militari, l’appello al diritto umanitario, l’opposizione ai killer robots, l’adesione al Trattato di proibizione delle armi nucleari (luglio 2017), la difesa del salvataggio in mare. Ma la visione dell’Europa unita sta scivolando in fondo al Mediterraneo (annegata con tante vite) o in mezzo alle manovre statunitensi e russe supportate dai sovranismi locali. L’accoglienza non riguarda solo gli “stranieri” ma tutti, a partire dagli europei. È in gioco anche l’accoglienza tra noi.
Integrare, dialogare, generare
Integrare, dialogare, generare sono i tre verbi che Francesco ha usato fin dal 2016 per lanciare la sfida di aggiornare l’idea di Europa alla luce di un “nuovo umanesimo”. Tre verbi, tre processi, un’unica dinamica inclusiva che allarga “l’ampiezza dell’anima europea”. Per Francesco, l’Europa è chiamata a diventare luogo vitale di “nuove sintesi”. L’Europa non “è”, ma “si fa”. “L’identità europea è, ed è sempre stata, “un’identità dinamica e multiculturale”. La sua casa si costruisce andando oltre le ceneri dei tragici scontri, culminati nella guerra più terribile che si ricordi. Oggi l’Europa è “tentata di voler assicurare e dominare spazi più che generare processi di inclusione e trasformazione. Se l’Europa considera se stessa come uno “spazio”, allora prima o poi verrà – ed è già venuto – il momento della paura, del timore che lo spazio sia invaso. Se invece l’Europa si considera come un processo, allora mette in movimento energie per affrontare le sfide della storia. Oggi il papa svolge un ruolo politico e spirituale profondo (che ricava anche dal teologo gesuita Erick Przywara), esprime la tensione credente che deve percorrere una Chiesa del servizio e della riconciliazione. Nel messaggio del 1 gennaio ribadisce che la responsabilità politica riguarda tutti e che governare vuol dire costruire la civiltà del diritto per difendere i deboli. L’invito diventa un monito a cercare un’alternativa credibile ai sovranismi. Dove sono i credenti nell’epoca delle paure e del nascente populismo totalitario, alimentato da ossessioni identitarie e dalla strumentalizzazione dei simboli religiosi?