L’oro nero della Basilicata

10 maggio 2019 - Rosa del Giudice (Punto Pace Andria a nome del Coordinamento Sud di Pax Christi)

Sabato 4 e domenica 5 maggio u.s., si è svolto nel capoluogo lucano, presso la struttura parrocchiale di S. Anna e Gioacchino, l’incontro del Coordinamento Sud di Pax Christi.

Il programma si è snodato in due segmenti: il primo, sabato pomeriggio, si è tradotto in un convegno aperto agli abitanti dell’intera regione e incentrato sullo sconquasso ambientale conseguente alla colonizzazione del territorio da parte dell’Eni, azienda multinazionale creata dallo Stato italiano come ente pubblico nel 1953, convertita in società per azioni nel 1992, attualmente ottavo gruppo petrolifero mondiale per giro d’affari; il secondo dedicato alla socializzazione e condivisione delle esperienze di cui ciascun Punto Pace è stato promotore nel proprio ambito operativo.

Il tema dello sfruttamento indiscriminato della Basilicata per l’estrazione del petrolio e dell’inevitabile sconvolgimento dell’ecosistema nell’utilizzo del “capitale umano” e delle risorse naturali, nell’assetto economico-finanziario, nei risvolti sismici, nella bellezza paesaggistica di una terra verde e ricca di acqua, ha trovato ampia, documentata ed esaustiva trattazione in un dossier (Dossier Basilicata 2018 - ambiente, salute) e in un filmato, entrambi curati e sottoscritti da scienziati e studiosi a vario livello, nonché dai numerosi e combattivi  movimenti popolari e associazioni presenti sul territorio.

L’invasività capillare dell’ENI, favorita e resa possibile dai vari governi nazionali e dagli amministratori locali, ha fatto sì che la Lucania diventasse eni-dipendente, come è successo nel passato e succede ancora oggi per numerosi Paesi dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina, la cui economia nei secoli scorsi fu scientificamente calibrata sulle esigenze e sulla volontà dei Paesi colonizzatori, attualmente sulla smania di profitto delle multinazionali. Lo stesso fenomeno si è registrato negli ultimi decenni del Novecento prima con l’Italsider, poi con l’Ilva a Taranto dove, nonostante le speranze suscitate dai 5 stelle, i Tarantini sono costretti a scegliere tra salute e lavoro.

Per tornare alla Lucania, l’impegno profuso dagli ecologisti nella divulgazione e nella denuncia dei danni perpetrati ha trovato riscontro negli interventi della magistratura con l’apertura di indagini e procedimenti giudiziari per inquinamento a carico dei dirigenti Eni.

L’ultima, ma non definitiva tappa, in ordine cronologico, è stata la consegna di una lettera indirizzata a papa Francesco, il pontefice che all’ecologia integrale e al risveglio delle coscienze per un’inversione radicale degli stili di vita ha dedicato l’enciclica “Laudato si’”.

Il documento, tra l’altro, ha sollecitato l’invito ai rappresentanti dell’associazionismo lucano, da parte della Santa Sede, a partecipare al prossimo Encuentro Mundial de Movimientos Populares, che il papa riserva ai responsabili dei movimenti popolari impegnati in tutto il  mondo nella difesa della dignità umana, nella salvaguardia del creato e nell’affermazione della giustizia sociale, snocciola dati allarmanti sull’attuale situazione ambientale della Basilicata. Essi, come è intuibile, non riguardano soltanto una piccola regione, ma si trasmettono, in una sorta di meccanismo perverso, in ben più ampi raggi di spazio in virtù dell’ineludibile principio di interconnessione che lega gli elementi vitali del nostro pianeta (terra, aria acqua): tanto per cominciare, l’acqua delle dighe lucane, inquinata dagli sversamenti e dalle scorie del petrolio, colpevolmente ed imprudentemente finiti nel terreno, alimenta anche  i rubinetti della Puglia e della Campania; per di più il petrolio estratto, dopo un primo e sommario trattamento nei luoghi di estrazione, subisce ulteriori processi di raffinazione a Taranto.

Cito testualmente dalla suddetta lettera, che ha come destinatario anche il cardinale Peter Turkson:

“...Sebbene la nostra sia una piccola regione poco popolata, ben 5 milioni di persone circa usufruiscono di quest’acqua per bere, per lavarsi, per la pulizia delle loro case, per irrigare i campi e per alimentare il lavoro delle tante piccole realtà produttive che da sempre hanno caratterizzato la nostra e le regioni limitrofe.

Purtroppo, però, nelle viscere della nostra terra si nasconde anche tantissimo petrolio che da circa mezzo secolo alimenta l’ingordigia di rapaci multinazionali; esse si sono installate in Basilicata devastandola, inquinando senza remore le terre, che un tempo producevano buoni alimenti e buon vino, e contaminando tanta parte della nostra acqua.

Ad oggi in Basilicata si estrae più dell’80% del petrolio italiano, ci sono ben 487 pozzi petroliferi, 19 concessioni di coltivazione, 6 permessi di ricerca già accordati, una concessione di stoccaggio, 130 Km. di oleodotto e ben tre centri oli (impianti di prima desolforizzazione del greggio).

Il primo realizzato in Basilicata e ancora funzionante ha sede a Pisticci, in Val Basento, e accompagna la stagione dello “sviluppo” vanamente promesso sin dalle sostituzioni operate, agli inizi degli anni Sessanta, da parte degli interessi petroliferi ai danni dell’agricoltura; esso ricade in una zona SIN fortemente inquinata, dove vengono smaltiti ogni giorno enormi quantità di reflui presso l’impianto Tecnoparco ValbasentoS.p.A, attualmente al centro di un processo ribattezzato “Petrolgate” per reati, tra l’altro, di contraffazione dei codici CER (Catalogo Europeo Rifiuti, contenente l’elenco dei codici di classificazione dei rifiuti).

Il secondo, il Centro Olio Val d’Agri (COVA – la più grande piattaforma estrattiva in terraferma d’Europa), funziona dal 1996 e durante lo scorso anno provocò lo sversamento di ben 400 tonnellate di petrolio che sono finite nel sottosuolo, con un probabile inquinamento anche delle falde acquifere.

Il terzo, quello di Tempa Rossa, sta per entrare in funzione. Milioni di metri cubi di gas e ben 85.000 barili al giorno – che potrebbero diventare 104.00 in base ad un accordo del 1998 – vengono estratti oggi in Val d’Agri ed altri 50.000 (forse 60.000) si estrarranno ogni giorno a Tempa Rossa.

Né sembra che queste grandi imprese multinazionali, incontentabili nella cupidigia, vogliano interrompere o ridurre la loro attività, visto che ben 17 nuove istanze di permesso ad estrarre petrolio e gas pendono sulle nostre teste come una spada di Damocle: se esse venissero concesse, più del 60% del nostro territorio sarebbe interessato da attività estrattive.

Intanto qui le malattie aumentano, tanto che da ottobre del 2016 don Giuseppe Ditolve, un giovane sacerdote di Pisticci, un borgo situato in Val Basento, ha promosso l’iniziativa “Per non dimenticare: una Messa per la vita”, in cui invita i propri parrocchiani a pregare, durante la Messa dell’ultima domenica di ogni mese, per i compaesani morti di tumore negli ultimi anni, leggendo l’elenco dei loro nomi: ad oggi 359 dagli anni Settanta, di cui 187 negli ultimi 8 anni.

Inoltre, paradossalmente, la nostra terra si spopola progressivamente ed è sempre più povera perché tantissime piccole attività devono chiudere, proprio a causa dell’inquinamento, costringendo giovani e meno giovani a emigrare per cercare una vita più dignitosa.

Tutto questo è un male non solo per la nostra terra, ma anche per l’intero pianeta che, secondo i molteplici ed accorati allarmi lanciati unanimemente dagli scienziati, rischia ormai il collasso anche in conseguenza dell’uso smodato di energia da fonti fossili, con la possibilità che il genere umano e le tante altre specie che popolano la nostra casa comune non abbiano più, in brevissimo tempo, un habitat adatto alla sopravvivenza”.

Fin qui il testo della lettera al Papa, che si conclude con una richiesta: sostenere il lavoro dei movimenti popolari  invitando la Chiesa lucana a condividere i percorsi di volta in volta proposti e rivolgendo un messaggio pubblico al governo nazionale e ai nuovi amministratori della Regione perché:

  • “….nella questione energetica ci si attivi subito per interrompere le nocive attività in corso, per bloccare la concessione di nuovi permessi ad estrarre, per iniziare la bonifica di acque e terreni inquinati e per avviare immediatamente la transizione verso un sistema produttivo e di consumo più sobri ed equi, basati sulla produzione di energia pulita e democratica, ossia prodotta e controllata direttamente dai cittadini sulla base delle loro reali necessità e non ispirata, ancora una volta ed esclusivamente, alla massimizzazione dei profitti di speculatori e grandi gruppi. Purtroppo è proprio questo che sta accadendo in Basilicata anche nell’uso dell’eolico, realizzato con l’installazione selvaggia di pale di ogni dimensione, molto spesso obsolete, che deturpano e svalutano il paesaggio….
  • nella tutela dell’acqua si provveda subito ad ancorare saldamente in mano pubblica la gestione della abbondante e buona acqua lucana creando un’Azienda Speciale Pubblica, allo scopo di evitarne ogni possibile forma di privatizzazione, tenuto conto anche del fatto che la Basilicata è oggi l’unica regione italiana in cui le multinazionali dell’acqua non sono ancora riuscite a mettere le mani su questo bene comune indispensabile alla vita e oggi sempre più scarso….”.

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