Convegno Pax Christi 30/31 dicembre 2018 Santeramo in Colle

Elementi provvisori e conclusioni della prima giornata

Christian Medos

Rileggendo le sintesi dei lavori degli otto gruppi possiamo notare come ci siano alcune tematiche che risuonano in modo trasversale nella discussione dei presenti:

 

Il tema del Linguaggio:

una sfida complessa ed affascinante contemporaneamente. Va visto sotto diverse angolature:

  • il problema del linguaggio tra generazioni diverse:

sempre tra generazioni ci sono state difficoltà comunicative… oggi però siamo di fronte non solo a nuove parole, nuovi pensieri, nuovi stili… ma pure a modi nuovi di percepire il linguaggio e la comunicazione (è un cambiamento di epoca anche dal punto di vista linguistico: i giovani parlano con immagini e slogan, noi adulti siamo ancorati alla lettura e alla scrittura) A partire da questi nuovi linguaggi, cambiano anche le percezioni e le interpretazioni della realtà!)

  • le differenze culturali tra popoli e religioni

che generano sempre più spesso paure, chiusure, pregiudizi.

Oltre alla questione faticosa del comunicare tra generazioni e culture diverse con paradigmi diversi ci stanno altre sfide in gioco altrettanto importanti:

  • la ricerca delle fonti e l’autorevolezza del sapere:

viviamo una stagione dove il mondo digitale ha liberato le diverse forme del sapere  rendendole accessibili a tutti. Il problema è però la scomparsa di un confine chiaro tra la verità oggettiva e  l’opinione personale, tra la certezza della notizia e la distorsione della realtà se non addirittura l’invenzione deliberata e voluta della bugia. Le notizie e i fatti narrati dai social hanno lo stesso valore (se non addirittura superiore) a quanto scrivono fonti giornalistiche o comunque documentabili. Il continuo discredito dei politici, dei giornalisti, delle fonti di informazione, degli scienziati, ha procurato una diffidenza tale che ciascuno oggi percepisce la verità come il proprio punto di vista, dimenticando il valore del sapere, delle competenze.

  • I linguaggi della creatività e dell’arte:

sembrano essere una piattaforma dove ancora, pur con le dovute attenzioni, possono riconoscersi ed incontrarsi le persone. I livelli di scontro dentro a quei clichè comunicativi sembrano essere molto più bassi. Ci si incontra e si dialoga mossi da qualcosa che ci parla a un livello più profondo rispetto a quello razionale.

Dentro a questo quadro non ci è difficile comprendere come il livello di scontro, accresca nei singoli individui, nei gruppi chiusi, nelle società e nelle nazioni. L’assolutizzazione del proprio punto di vista e l’incapacità di vedere “le ragioni” dell’altro/del diverso (giovane, straniero, non cristiano, non schierato politicamente allo stesso modo ecc) generano nella persona un senso di rifiuto dell’altro, una necessità di difendersi o di escluderlo dalla propria vita, o dal proprio paese.

 

Che cosa possiamo fare?

Dobbiamo riconoscere che anche noi come singoli e come Movimento non riusciamo spesso a trovare le “parole” giuste ed incisive capaci di scaldare i cuori, di accendere sogni, di mettere in crisi le idee spesso radicate delle persone…  Forse non abbiamo la capacità o la possibilità di comunicare con i canali più avanzati della comunicazione… (dobbiamo riconoscere che un bel po’ di spazio nel periodo recente ci è stato dato sia in Tv 2000 che in Avvenire, alla radio ecc…)

  • Anzitutto abbiamo bisogno di imparare la desueta arte di ascoltare l’altro, di decentrarci dalle nostre convinzioni, dai nostri temi, dalle nostre verità. Ascoltare l’altro vuol dire lasciare che si racconti come sa e come può… è nostra la fatica di sintonizzarci con chi comunica con noi… Si tratta di un disarmo culturale e verbale… affinché chi ci è prossimo possa trovare la prima forma di accoglienza che è l’ascolto. È LA REALIZZAZIONE DELLA CHIESA IN USCITA.
  • Abbiamo anche bisogno assoluto di invocare lo Spirito Santo affinché compia nella nostra epoca una nuova PENTECOSTE: ci dia la capacità di parlare lingue comprensibili a tutti, aldilà dei propri punti di vista: il linguaggio affettivo fatto di carezze, di gesti concreti, di strette di mano, di condivisione del pane, ci rendono persone credibili e rispettabili. Ed è a partire da questa credibilità che possiamo compiere passi con chi è “altro” da noi… portando anche le nostre istanze, le nostre ragioni.
  • Certamente dobbiamo offrire le nostre competenze ed energie a servizio delle persone, affinché imparino a smascherare le ideologie violente e discriminatorie, che serpeggiano dietro ai tanti discorsi sul “bene comune” della propria nazione. Disarmare il linguaggio e la cultura del pregiudizio sembra essere una priorità.

 

Persone e comunità tra paure e bisogni

Le persone, e la società nel suo complesso come soggetto culturale, vive oggi una dicotomia a livello di sentire profondo: da una parte cresce la sensazione della minaccia che fa emergere atteggiamenti di paura, di chiusura fino addirittura alla violenza, dall’altra ci si sente profondamente soli, fragili, bisognosi di qualcuno che ascolti, che legga i nostri disagi e che indichi spiragli nuovi, ricette (e da qui la ricerca di un leader forte e autorevole capace di proporsi come rassicurante, concreto, nuovo) …

Guardando le paure ci possiamo soffermare in particolare ad alcune: 

  • Paura del diverso:
    • lo straniero (inutile girarci troppo intorno… soprattutto paura dell’Africano, della persone dal colore di pelle scura);
    • paura di chi proviene da una cultura diversa (ed in particolare dalla cultura e dalla religione islamica);
    • paura di chi mette in discussione la presunta “normalità” manifestando il proprio orientamento sessuale diverso da quello della maggioranza.

La paura di queste MINORANZE  è spesso frutto di

  • ignoranza
  • pregiudizi

à e da queste deriva la chiusura e la violenza!

 

  • Paura del futuro: e anche qui classificabili in:
  • Paura dei giovani che sentono essere derubati del futuro
  • Paura per il futuro del pianeta e la situazione ecologica
  • Paura per il futuro della democrazia/dell’Europa/ dei disastri nucleari
  • Paura nostra come movimento … di essere insignificanti, di sparire…

 

Come affrontare queste paure? Cosa possiamo fare?

  • Saper dare un nome alle nostre paure personali e collettive (esercizio non semplice, perché si tratta di mascherare ciò che si annida dentro di noi). In tal senso non ha poco valore il silenzio, la preghiera, il confronto con la Parola di Dio per discernere ciò che si muove dentro di noi)
  • Incontrare e ascoltare a partire da noi… e poi far incontrare le persone, le culture, le religioni, le diversità…  (la paura diminuisce quando ci si incontra con ciò che fa paura). Nell’incontro reale si abbattono pregiudizi e si vince l’ignoranza con la conoscenza vera! Diventa allora importantissimo il lavoro in tutti gli ambiti della vita sociale ed ecclesiale: scuola, famiglia, lavoro, parrocchie, punti pace, associazioni, ecc… anche noi come movimento siamo chiamati a “costruire ponti” anche se faticosi, cercando di scorgere il bene presente negli altri…  il dialogo apre al terzo obiettivo:
  • Fare progetti assieme ad altri, aprire cantieri: provare a organizzare eventi, iniziative locali con singoli e gruppi, dentro la Chiesa e anche fuori, con i cristiani di altre confessioni e nel dialogo interreligioso (dimensione su cui crescere), e con membri della società civile. Non avere paura di annacquarci, non avere la pretese che tutti conoscano, capiscano e sposino per intero tutte le nostre azioni. Iniziare dal “bene possibile” come insegna papa Francesco.
  • Uscire dallo scoraggiamento e vedere il bene già esistente: 15000 giovani a Madrid con la comunità di Taizè, i giovani presenti quest’anno e i rappresentanti della diocesi che ci ospita, i vescovi della Sardegna e della Sicilia che sono usciti con comunicati forti e dal sapore profetico, il riconoscimento di una attenzione ai nostri temi da parte dei mezzi di informazione ecclesiali: Avvenire, Radio in blu, Tv 2000… ecc…

 

Concludendo:

Più volte, anche nel messaggio del 1 gennaio 2019  Francesco ci definisce “artigiani della pace”!

Gli artigiani non sono i professori, gli scienziati i tuttologi della pace. Gli artigiani sono coloro che “apprendono”, “conoscono” ed “insegnano” a partire dall’esperienza, dal lavoro manuale svolto. L’artigiano impara a conoscere gli strumenti di lavoro, il materiale da lavorare… fa esperienza. Forse anche noi siamo chiamati (pur senza rinunciare alla nostra formazione e alle nostre competenze specifiche) a tornare ad aprire BOTTEGHE ARTIGIANALI della pace. Luoghi dove l’arte della pace si  impara a partire dalla capacità di incontrarci, di ascoltarci, di stimarci, di perdonarci… luoghi dove far incontrare le diversità, dove sciogliere assieme le paure…

Che i nostri punti pace possano diventare BOTTEGHE ARTIGIANALI dove incontrare non maestri ma testimoni, dove confrontarci sugli stili di vita, dove porre azioni concrete che dicano visibilmente le nostre convinzioni: la pace, la fraternità universale, la nonviolenza attiva, la giustizia distributiva, la cura e la custodia del creato. 

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