AMBIENTE

Conversione ecologica

Stringiamo un’alleanza per il clima, la terra e la giustizia sociale.
Come i cambiamenti climatici sono legati al debito
e possono essere disinnescati.
Antonio De Lellis

Il 19 gennaio 2019, con la convocazione di un Forum cui hanno preso parte attivisti, studiosi e numerose realtà dei movimenti e dell’associazionismo italiano, è stato aperto un tavolo di lavoro sui cardini dell’enciclica Laudato Si’, vista come un testo pienamente politico, capace di comprendere nel medesimo orizzonte la dimensione della giustizia sociale, del rispetto dei diritti, della cura della casa comune e del vivente – nella consapevolezza dell’urgenza di una pratica di resistenza culturale, educativa e comunicativa. 

Ne nasce un documento, pubblicato il 13 maggio, importantissimo, che per la prima volta connette, misura, declina riflessioni, ricerca e impegno in un orizzonte comune, ponendo il disastro climatico come dimensione politica del nostro tempo e come terreno della battaglia per i diritti. Il clima è il cardine di tutte le lotte di giustizia sociale e ambientale. È un principio di valenza costituzionale, come emerge anche da una proposta d’integrazione della costituzione tedesca avanzata fin dal 2006 in base alla quale “Lo stato deve osservare il principio di sostenibilità nelle sue azioni e proteggere gli interessi delle generazioni”. Questa consapevolezza sembra emergere anche dal Fridays for future, il movimento messo in moto dalla protesta di Greta Thunberg. 

La vita umana sul pianeta è messa in discussione da poteri globali che ne traggono vantaggio, con depredazioni sistematiche di suolo e risorse idriche, privatizzazioni dei beni comuni, liberalizzazioni del commercio di materie prime, trattati economici iniqui e politiche di “risanamento del debito”. È in questa cornice che vanno ristabiliti i diritti delle comunità e dei singoli. 

Connessioni

Perché è fondamentale conoscere le interconnessioni tra cambiamenti climatici, economia, lavoro, migrazioni, conflitti, debito, da una parte, e, dall’altra, tutela del vivente, eco-femminismo, comunità resistenti, nuovi stili di vita e di produzione? Perché senza questa conoscenza non possiamo impostare una strategia di costruzione sociale planetaria. 

Una delle novità assolute dell’enciclica Laudato Si’, soprattutto di questo documento, è che il debito, e la relativa speculazione finanziaria, vengono rappresentati come strumenti formidabili di estrattivismo di ricchezza da tutti verso una rarefatta élite potente e indefinita che è contro il vivente e la Terra. Già nel 2014 Francesco scriveva: “Penso ai traffici illeciti di denaro come alla speculazione finanziaria, che spesso assume caratteri predatori e nocivi per interi sistemi economici e sociali, esponendo alla povertà milioni di uomini e donne” (Messaggio Giornata mondiale per la Pace 2014). Su questo versante della critica al sistema finanziario, nel 2018 il Vaticano scrive un documento fondamentale “Oeconomicae et pecuniarie quaestiones – Considerazioni per un discernimento etico circa alcuni aspetti dell’attuale sistema economico-finanziario”. 

In tale documento si rileva anche come numerose economie nazionali sono appesantite dal dover far fronte al pagamento degli interessi che provengono dal debito e devono perciò dolorosamente intraprendere degli aggiustamenti strutturali a tale scopo. Di fronte a tutto ciò, da una parte, i singoli stati sono chiamati a correre ai ripari con assennate ripartizioni delle spese e oculati investimenti, dall’altra, a livello internazionale, pur mettendo ogni paese di fronte alle sue ineludibili responsabilità, occorre anche consentire e favorire delle ragionevoli vie d’uscita dalle spirali del debito, non mettendo sulle spalle degli stati – e quindi sulle spalle dei loro concittadini, vale a dire di milioni di famiglie – degli oneri che di fatto risultano insostenibili. Ciò anche mediante politiche di ragionevole e concordata riduzione del debito pubblico, specie quando questo è detenuto da soggetti di tale consistenza economica da essere in grado di offrirla (Opq 32). Nonostante l’evidenza quotidiana, le ricadute ambientali legate al cambiamento climatico e quelle legate alla trappola del debito continuano a essere considerate separatamente, come temi specifici e raramente interconnessi. Eppure, basterebbe leggere il reportDon’t owe, shouldn’t pay” pubblicato dalla “Jubilee Debt Campaign” in occasione della Cop24 del dicembre scorso a Katowice, per rendersi conto dei nessi. Focus della ricerca è la situazione in cui si trovano 29 paesi che rientrano sotto la categoria di Small Island Developing States. 

“I disastri naturali incidono negativamente sul prodotto interno lordo e aumentano il debito pubblico”, si legge nel report di Jubilee Debt Campaign. Entro il 2030, la perdita di produttività causata da un mondo più caldo potrebbe costare all’economia globale 2000 miliardi di dollari. E, per rimanere in Italia, secondo gli studi del Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici (Cmcc), se parliamo di percentuali di Pil perso ogni anno, si stima che in Italia il cambiamento climatico sia responsabile di un 10% di Pil in meno, la stessa cifra del declino economico dovuto alla crisi economico-finanziaria del 2008. Da qualunque postazione la si osservi, la connessione tra cambiamento climatico e debito pubblico appare evidente. Ma chi sono i soggetti coinvolti e causa di questo disastro? 

Dalla firma dell’accordo di Parigi sul clima, nel 2015, 33 grandi banche hanno investito 1.900 miliardi di dollari nello sfruttamento delle fonti di energia fossile. Il tutto è contenuto nel rapporto Banking on climate 2019. Ma il sistema finanziario non produce solo effetti devastanti sul clima naturale, ma anche su quello sociale, attraverso le guerre provocate e minacciate. E questo anche a causa dell’Italia: sono 11 gli istituti bancari italiani che hanno concesso finanziamenti per oltre 4 miliardi di euro a compagnie internazionali coinvolte nella produzione di armi nucleari. È quanto viene affermato nel rapporto 2019 Don’t Bank on the Bomb, condotto da Pax in collaborazione con Profundo. Tra i gruppi bancari pubblici e privati nostrani che avrebbero finanziato aziende produttrici di ordigni bellici atomici vengono elencati il Banco di Monte dei Paschi di Siena, Banca Popolare dell’Emilia Romagna, Gruppo Carige, Gruppo BPM, Banco di Sardegna, Banco Popolare di Sondrio, UBI Banca, Banco Popolare e Anima. Ma soprattutto Intesa San Paolo e Unicredit, con finanziamenti di circa un miliardo di euro in più rispetto alla media degli istituti bancari citati in precedenza. E poi c’è il filo conduttore che tiene unite tutte le 11 banche citate dal rapporto, ovvero l’azienda italiana leader nel settore della difesa, di cui il ministero italiano dell’Economia e delle Finanze è detentore al 30,2 per cento: Finmeccanica. Su scala globale, stando ai dati di Don’t Bank on the Bomb, da gennaio 2012 a oggi almeno 382 fra istituti bancari, fondi di pensione o di investimento hanno messo a disposizione enormi finanziamenti destinati ad aziende produttrici di armi nucleari. Chi non ferma la finanza distruttiva, deregolamentata e speculativa non affronterà le questioni epocali come il clima, le guerre e le migrazioni, strettamente correlate fra loro. 

Cambiamento di rotta

Nel documento si declina una conversione ecologica e produttiva. In mancanza di un radicale mutamenti di rotta, i cambiamenti climatici diventeranno irreversibili nel giro di uno o due decenni al massimo.  Come investire nelle misure di contrasto al cambiamento climatico? Solo attraverso una Conferenza europea e globale sul debito si potranno individuare le risorse necessarie per un Giubileo globale. In questo modo il debito economico-finanziario potrà essere “rimesso”. 

Le risorse liberate investite in possibilità di vita per tutti e tutte. Davanti all’imponenza e pervasività degli odierni sistemi economico-finanziari, potremmo essere tentati di rassegnarci al cinismo e pensare che con le nostre povere forze possiamo fare ben poco. In realtà, ciascuno di noi può fare molto, specialmente se non rimane solo. 

Numerose associazioni provenienti dalla società civile, rappresentano in tal senso una riserva di coscienza e di responsabilità sociale di cui non possiamo fare a meno (Opq 34). Ed è in questo senso che il documento del Forum Laudato Si’ rappresenta un tentativo di declinare collettivamente e praticamente il cambiamento sociale, necessario per un contrasto effettivo al cambiamento climatico, per una conversione ecologica integrale.

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