Donne disobbedienti
Esempi di dissidenza generativa.
Questa riflessione non vuole essere un momento celebrativo del genio femminile (concetto che, peraltro, troviamo che abbia poco aiutato l’autonomia del pensiero femminile negli ultimi decenni) o una rivendicazione di un’uguaglianza che, in verità, è solo astratta; è più un dialogo di due amiche al bar, cercando di vedere cosa accade e darne un’interpretazione. Provvisoria e parziale, ma pur sempre un modo di abitare in modo attivo questa storia, come donne.
Negli scorsi mesi ci siamo rese conto (la stampa prima di noi) dell’emergere di azioni separate tra loro che colpivano per un comune denominatore: azioni e parole di donne disobbedienti. Non tanto nel senso letterale di “trasgredire a un ordine o una legge” (anche!), ma una disobbedienza volta a rompere un costume, un modo di agire che sembrava non appartenere a queste donne. Donne che hanno osato porre domande etiche sullo status quo, che non si sono fermate davanti a una narrazione che tiene conto solo della situazione contingente, perdendo di vista il contesto e le conseguenze a lungo termine. Donne disobbedienti concrete, di età e provenienze culturali molto diverse tra loro, ma che sono diventate protagoniste in questo tempo.
È emersa, dunque, di recente una protesta con un volto nuovo, che non aspira a ruoli, a posti di potere. Probabilmente non condivide nemmeno completamente la posizione per cui raggiungere posti di potere sia automaticamente garanzia di cambiamento, di quel cambiamento sostanziale di cui le società contemporanee occidentali necessitano. È piuttosto fortemente simbolica, allusiva, incarnata da donne assai diverse, pensiamo a Greta Thunberg, a Carola Rackete, a Olga Misik, alle monache di clausura italiane che hanno sottoscritto una lettera aperta per i migranti e i rifugiati indirizzata al presidente Mattarella e al Primo Ministro Conte. Giovinezza, marginalità, testimonianza personale di vita, gesti inusuali ed emblematici illuminano su un altro modo di esserci, di vivere e di sperare. Un invito al pensiero critico, uno sguardo che sposta la lotta nell’area della trascendenza di sé verso l’altro e verso la Terra.
Kairos
Si è parlato per questo momento storico di un kairos del femminile. Qual è lo status quaestionis da questa prospettiva? Kairos, traducibile come momento opportuno, tempo decisivo, veniva rappresentato dagli antichi come un uomo completamente calvo, ma con un gran ciuffo sulla fronte, a significare che una volta lasciatolo passare, nella sua rapida corsa, non poteva più essere riacchiappato per quella nuda nuca. Cosa allora in questo momento le donne possono, devono riuscire a cogliere? Ed è possibile rintracciare un filo unitario nelle varie prese di posizione, nelle manifestazioni, nelle azioni di donne così distanti per età, status, storie di vita nelle tante parti del mondo? L’idea di fondo è che un filo unitario, nelle sue diverse declinazioni esista, sia molto chiaro, ma che il kairos, nel senso di cui sopra, per come si è configurato il tempo presente in Occidente, sia connesso a una molto specifica declinazione, dalla cui azione efficace, dalla cui capacità di ispirare nuovi modelli di crescita ed esistenza, di motivare nuove prassi, dipende non solo il futuro delle donne, ma dell’umanità tutta e del pianeta. Così, significativamente, ci sembra che se da una parte le donne di tutto il mondo continuano opportunamente a lottare con forza per i loro diritti, per la pari dignità e il pari trattamento in ambito sociale, economico, politico, altre donne si stanno ponendo in maniera fortemente critica, contestando il modello culturale all’interno del quale pure operano e combattono per la parità. Contestano il pensiero unico, gli stili di vita che depauperano il pianeta, la colonizzazione di un immaginario sempre più omologato.
Una puntuale testimonianza della lotta per i diritti, che non può e non deve arrestarsi, è il ben documentato libro “Orgoglio e Pregiudizi. Il risveglio delle donne ai tempi di Trump” in cui Tiziana Ferrario scrive: “Questo è accaduto durante l’anno elettorale (per le elezioni presidenziali in Usa), non è stato un momento isolato di ribellione. È suonata una sveglia, che ha fatto comprendere come i diritti conquistati dalle donne siano in pericolo e non possono più essere considerati scontati. Per questo vanno difesi con coraggio e determinazione”; poi aggiunge: “Parlare di parità e di lotta agli stereotipi non può che aiutare il nostro paese (Italia) a uscire dal torpore e dalla ritualità della pura cronaca che tiene il conto delle donne uccise, ma non indaga a fondo le ragioni”. Un richiamo alla vigilanza, alla lucidità, a proseguire il cammino, riaffermato con energia nella Marcia delle donne (Women’s March), sabato 21 gennaio 2017, il giorno dell’insediamento di Trump. Sempre nel contesto statunitense, esemplare in questa direzione il processo intentato (e perso) da Ellen Pao contro le élite della Silicon Valley. Figlia di immigrati cinesi, con una storia di sacrifici, sogni, studi brillanti, arrivata alla Silicon scopre il peso di essere di genere femminile e di appartenere a una minoranza etnica. La sua battaglia politico-legale è un atto di accusa contro la discriminazione sul posto di lavoro, rovello quotidiano per milioni di persone in tutto il mondo, monito a non abbassare mai la guardia. (Cfr. Ellen Pao, Il risveglio delle donne della Silicon Valley).
Spazi nuovi
Ma poi c’è l’altra via, l’altra lotta, una dissidenza altra. Le donne disobbedienti appunto. L’agire coraggioso di queste donne ci ha ricordato, andando indietro nei secoli, altre donne che, nel loro contesto, sono state capaci di seguire quel desiderio profondo che le abitava e che le ha rese madri di nuovi progetti, ma soprattutto, di nuove visioni della vita. Pensiamo alle tante donne che hanno fondato istituti religiosi o di vita consacrata che, forti di ciò che sentivano dentro, sono state capaci di pensarlo e attuarlo. Spesso contro tutti e tutto. Donne disobbedienti in una realtà che stava loro stretta, che sembrava non dare più respiro al nuovo e al mistero.
Se veramente oggi un apporto delle donne è necessario, a nostro avviso, si muove su due linee: la disobbedienza, nel senso di rompere il già conosciuto; e il fare spazio. Del primo abbiamo parlato. Il secondo richiama questo bisogno di sostenibilità e di recupero del limite che ci viene dai popoli che soffrono e dal cosmo: fare spazio per non occupare quello di altri; fare spazio per accogliere la novità che mi arriva dall’alterità; fare spazio per generare nuovi paradigmi. In definitiva però, è ormai divenuto chiaro che, per un’inclusione autentica della parola delle donne ai diversi livelli, a nostro avviso, non è più sufficiente l’opzione delle “quote rosa” o la categoria dell’uguaglianza di diritti: sembrano rimanere entrambe poco efficaci sul piano di una visione che realmente si muova dalla diversità, e non nonostante la diversità. A noi sembra che, oggi, le donne siano presenti perché invitate in spazi spesso pensati, organizzati e narrati al maschile. Crediamo si debba investire nella creazione di uno spazio che non appartenga all’uno o all’altro genere, ma che sia il frutto di una visione del ‘noi’, dove entrambi si riconoscono senza avere l’esclusiva e il controllo assoluto della narrazione.
Si tratterà di lavorare per passare da un modello quasi totalmente di dominio, nei diversi ambiti della società, a un modello di partenariato e cooperazione, dalla dimensione personale a quella globale e cosmica.
“Primum vivere” è stato il titolo dell’incontro nazionale femminista di Paestum 2012, cioè come rimettere al centro la complessità della vita, la sua cura, le relazioni, in un nuovo rapporto con il tempo, l’ambiente, i consumi, il lavoro, come trovare delle teorie e delle pratiche politiche che siano all’altezza di tale radicalità, ripensando il presente e l’ovvio, che ovvio non è.
Primum vivere: a partire dalle donne, dai corpi, dalle esperienze che le attraversano e le caratterizzano, dai vissuti di produzione e riproduzione. Questa la sfida vera oggi, questo il kairos.