Rompere la catena
La mia storia è molto complessa e molto complicata da raccontare.
Si potrebbe dire di me “Giuseppe è un bravo ragazzo, apparteneva ad una famiglia mafiosa e ne è uscito”. In realtà non è così.
I Messina Denaro non sono la mia famiglia. Sono la famiglia di mia madre. La mia famiglia era composta da mio padre, mia madre, mio fratello e mia nonna. Nella mia famiglia non si è mai parlato di mafia: né in positivo né in negativo. La mafia non era un argomento di cui si parlava in famiglia. Forse perché era troppo vicina a noi.
Ho capito chi erano i miei parenti quando andavo alla scuola media. Me lo hanno fatto capire i miei compagni. A Castelvetrano nella cerchia dei ragazzi si favoleggia sul personaggio di Matteo Messina Denaro, come se egli fosse un eroe o un supereroe dei fumetti… Chi poteva si vantava di avere avuto un contatto anche lontanissimo con lui. Io che avrei potuto tranquillamente pormi come uno dei rampolli di quella famiglia … io mi allontanavo da questi discorsi, me ne vergognavo. Alcuni dei miei amici che sapevano che io ero parente, si avvicinavano a me con un atteggiamento reverenziale. Il mio essere “parente di…” mi dava una simpatia in più.
Tutto ciò avveniva alla scuola media. Al superiore (io ho fatto il liceo classico) questo non avvenne mai, perchè era un ambiente diverso… I miei compagni erano lontani da questi pensieri. Questo forse ci dice come anche l’ambiente di Castelvetrano, dove vivo, è molto complesso. C’è una fetta di società che ha un modo di pensare particolare… dipende da quale contesto familiare e intellettuale si proviene.
Io sono cresciuto quindi in questo modo, rendendomi subito conto di avere questi parenti “pericolosi” e questa cosa non mi faceva piacere, loro potevano essere un pericolo reale per la mia famiglia, soprattutto per mio padre. Mia madre la vedevo distante da questi discorsi, malgrado fosse lei la “parente”. Mia nonna (che è la zia di Matteo) lo stesso. Mia madre e mia nonna sono le donne che mi hanno cresciuto. Vedevo invece mio padre molto più compromesso perchè aveva un atteggiamento simile a quello dei miei compagnetti che ne parlavano di Matteo Messina denaro con ammirazione. Ed io odiavo mio padre per questa cosa, perché io avrei voluto un padre che, quanto meno, non ne parlasse…
Ho vissuto quindi un infanzia difficile, tormentata. Vivevo in una famiglia in cui mi davano tantissimo amore però avevo addosso questa sofferenza pesante, perché non ero orgoglioso di questi parenti… non mi faceva stare bene questa cosa. Io ero diverso già da piccolo e loro, la mia famiglia, erano abituati alla mia diversità.
Le famiglie dei mafiosi percepiscono la mafia e la cultura mafiosa come una cosa normale. Ma io non sono folle o realmente diverso dalla mia famiglia. Io sono esattamente il figlio di mia madre, perché mia madre, cugina di primo grado di Matteo Messina Denaro era diversa da tutti gli altri cugini. I Fratelli di Matteo Messina Denaro sono sei o sette, nella famiglia di mia madre sono quattro fratelli. Quindi erano un gruppo di cugini, più o meno della stessa età. Mia madre era “diversa”. Non si mescolava con loro già da piccola, quando giocavano. Poi, crescendo fu l’unica che volle studiare, voleva fare l’infermiera e divenne infermiera. Per questo era già guardata male perché una donna che studia in quella famiglia non va bene. Poi si era sposata con mio padre. Loro non volevano che si sposasse con mio padre perché mio padre era orfano. Mio nonno, il padre di mio padre, Giuseppe Cimarosa era un comunista ed era stato ucciso dai mafiosi, quando mio padre aveva solo cinque anni.
Non posso più dimenticare quel giorno.
Ma andiamo con ordine. Quando io ero ancora molto piccolo è successo un episodio strano. Noi vivevamo in una casa in affitto, nello stesso quartiere dei Messina Denaro. La proprietaria di questa casa che avevamo in affitto era legata ai Messina Denaro, era una loro “comare”. Si creò una diatriba perché questa signora non voleva fare il contratto d'affitto ai miei genitori. Si sentiva forte in quanto spalleggiata dai Messina Denaro e durante un diverbio aggredì mia madre con una scopa, si ruppe un vetro… Mia madre era incinta, ebbe un aborto e perse il bambino. L’altra signora si tagliò col vetro. Mia madre, piangendo, prese me dal girello, corse da mia nonna e andò a fare una denuncia dell'accaduto ai carabinieri. Apriti cielo! Questa era una cosa impensabile in quell'ambiente… mia madre da quel momento fu chiamata “fimmina di caserma”. Quella stessa notte noi fummo costretti a traslocare. Mia nonna, la madre di mia madre, nonché sorella della madre di Matteo Messina Denaro, volle conto e ragione, lei è l’unica, che non ha mai avuto paura di loro. Nacque quindi una lite tra mia nonna e la sorella e ci fu una conseguente rottura tra le due famiglie. Non ci siamo parlati per trent’anni.
Questa lite durata tanti anni non impedì agli uomini della nostra famiglia di continuare ad essere attratti dal fascino dei Messina Denaro e cercavano quindi di riconciliarsi. Quando io avevo circa 9-10 anni, fu arrestato Filippo Guttadauro, palermitano, cognato di Matteo Messina Denaro, sposato con la sorella più grande. Succede in questi casi che tutti vanno a fare la visita alla famiglia come se fosse morto qualcuno. Mio padre insisteva con mio nonno: andiamoci, andiamoci. Mia nonna non ci volle andare manco morta: “andateci voi. Io non voglio andare da nessuna parte!” Mia madre invece si fece trascinare da mio padre. Così si recarono, con me piccolo a casa dei Messina Denaro. Io non posso più dimenticare quel giorno. Ce l’ho ancora scritto nella testa. Eravamo io, mia madre, mio padre e mio nonno (il padre di mia madre). Quando siamo arrivati in questa casa c’erano solo donne: le quattro sorelle di Matteo Messina Denaro che sono peggio degli uomini. Sono proprio mafiose di nascita. Mi ricordo che c’era la sorella grande (la moglie della persona arrestata) vicino al camino che neanche proferì parola, poiché era già tutto organizzato. Dopo che siamo entrati, senza che nessuno dicesse una parola, chiamano mia madre fuori . “Dobbiamo parlare con te, Rosa”. Se la portano fuori. Poco ci mancava che le alzavano le mani… la cacciarono di casa, le dissero che non si doveva permettere di tornare più, che non era degna di entrare in quella casa. Io sentivo le urla da fuori… Mia madre rientrò in lacrime, mi prese per il braccio e mi disse: andiamo!.
Mia madre pensava che mio padre e mio nonno l’avrebbero seguita. Invece mio padre rimase immobile e così anche mio nonno. Mia madre, vedendo che loro non si erano alzati, mi prese e andammo via. Mio padre e mio nonno rimasero là e non difesero mia madre. Ebbero paura.
Mia madre fu cacciata fuori e loro non si sono mossero, non la difesero. Per me fu un trauma. Perché vedere mio padre e mio nonno non difendere mia madre che stava piangendo… Io lì li ho odiati tutti, non solo i Messina Denaro, odiavo mio nonno, mio padre … tutti odiavo! Questo smosse qualcosa dentro di me..
Quando io avevo quindici anni, arrestarono mio padre in un’operazione antimafia che si chiamava “Terra bruciata”. Dopo poco decadde per mio padre l’accusa di associazione mafiosa. Mio padre non aveva avuto nessun ruolo in questa cosa…fecero un’unica retata… Rimase l’accusa di danneggiamento nei confronti di un altro socio di una cava… Non era stato mio padre a fare quel danneggiamento. Io posso essere orgoglioso di mio padre per un fatto: che lui non ha mai fatto male a nessuno. Lui non era un mafioso che avrebbe ucciso che avrebbe fatto estorsioni, non avrebbe mai fatto cose del genere. Però mio padre pur non avendo fatto questo danneggiamento e pur sapendo chi lo aveva fatto, non parlò, tacque e quindi si fese i sui cinque anni di galera (in realtà quasi sei) tacendo. Ovviamente agli occhi della famiglia Messina Denaro apparve come uno “affidabile” e quindi si fece una sorta di “servizio militare”. Io però stetti sei anni senza mio padre e quindi se lo odiavo prima, dopo ancor di più. Quando uscì trovò me che ero ormai grande e con le idee molto chiare. Ovviamente tutti in famiglia gioimmo quando lui uscì, voleva solo vivere del suo lavoro in pace. Iniziò di nuovo lavorare come operaio, poi aprì una piccola ditta (mio padre lavorava nell’edilizia). Mio padre voleva starsene lontano ma, se anche non vuoi, sono loro che a un certo punto ti vengono a cercare e tu no non lo puoi dire. Il meccanismo è questo. Poi, se sei parente, sei condannato, non hai scelta. Quando mio padre uscì dal carcere io gli feci una promessa. “Vedi che se capita di nuovo, stai attento a cosa fai perché guarda che mi perdi. Io mene vado. Faccio le valigie.” Io però continuavo a non stare bene a Castelvetrano, continuavo a vedere ingiustizie che non mi andavano giù... Me ne andai, me ne andai a vivere a Roma. Feci il mio percorso lì.
Me ne andai…
Me ne andai via perché, a quel punto, io non potevo più restare a Castelvetrano, non potevo più restare a casa perché con mio padre era una lite continua. Io cercavo sempre un pretesto per aggredire mio padre. Ma non parlavamo dell’argomento nello specifico perché io non sapevo cosa dirgli, non sapevo cosa chiedergli… Io soffrivo perchè avrei soltanto voluto un padre di cui essere orgoglioso e non mi sentivo orgoglioso di quel padre perché comunque lui era reverente nei confronti di quella gente che io odiavo, che erano assassini.
Questo stare a Roma lontano dai miei genitori mi aiutò ad riavvicinarmi a loro. Dopo otto anni desideravo tornare, pensavo mio padre ora lavora tranquillo, dissi: non succede più. Tornai giù, aprii il maneggio dove avevo una casa in campagna.
Nella mia mente avevo l' obiettivo del Teatro equestre. Avevo però bisogno di un entrata economica sicura e così ho avviato la scuola di equitazione. Questo mio lavoro è tutto per me, è la mia benzina, è la mia anima. Non ne potrei fare a meno.
Così, lontano da tutte queste dinamiche, conobbi un maestro di equitazione a cui mi affezionai e quasi lo chiamavo papà… perché io cercavo delle figure paterne, delle figure alternative di cui poter dire di essere orgoglioso e da cui poter prendere l’esempio. Cominciai a coltivare la mia grande passione: i cavalli. Io non ricordo neanche quando è nata in me questa passione… È stata l’attività che ho sempre pensato di fare, sin da quando ero bambino. Penso che sono nato con questo desiderio. Da bambino ero molto attratto dai cavalli, ho subito desiderato di averne uno... ogni cavallo era per me fonte di fascino. Nel tempo questo desiderio si è evoluto ed è cambiato un po’, nel tempo è diventato anche interesse un po’ “intellettuale” ed adesso il mio lavoro e la mia vita.
Decisi in seguito di provare a tornare Castelvetrano. Nella mente avevo questo obiettivo del Teatro equestre. Avevo però bisogno di un entrata, di una base economica che è stata la scuola di equitazione.
Questa lontananza mi avvicinò. Io mi avvicinai molto di più ai miei genitori restando a Roma. Poi, dopo otto anni desideravo tornare, pensavo: mio padre ora lavora tranquillo e dissi: non succede più. Tornai giù, aprii il maneggio. Dopo un anno e mezzo due da che io ero rientrato, mio padre venne arrestato di nuovo, perché nel frattempo, era stato ri-assoldato. A gestire tutto il monopolio Messina Denaro, delle loro faccende era il fratello di mia madre, Giovanni Filardo con il quale io non mai avuto rapporti. Questo mio zio venne arrestato nell’operazione Golem e, automaticamente, il suo posto lo prese mio padre. Ovviamente, questo mio padre a noi non lo raccontava, questo avveniva alle nostre spalle. Noi eravamo all’oscuro. Io però non sono scemo e un po’ me l’aspettavo, dei movimento strani li vedevo… e un giorno è accaduto…
… e lì, per la prima volta, vidi mio padre.
La notte che si portarono mio padre io iniziai a fare la valigia. Mi sfogai con le forze dell’ordine, loro mi consolarono dicendomi: Giuseppe, noi ti conosciamo sin da quando eri piccolo… (perché, ovviamente, eravamo “intercettatissimi”) . Sapevano chi ero. Nel bene e nel male… Intercettando tutta la famiglia sapevano benissimo chi eravamo. Loro mi dissero: “Giuseppe, noi sappiamo chi sei, fatti il tuo lavoro, coltiva i tuoi sogni. Io comunque decisi di andarmene, perché volevo comunque ‘schifarla’ la mia famiglia. Mia madre mi disse: “Almeno diglielo di persona” e insistette affinchè io incontrassi mio padre almeno una volta, al primo colloquio, una settimana dopo l’arresto. Mia madre non si aspettava niente, era completamente distrutta. Aveva perso mio padre, ma stava perdendo anche il figlio perché io me ne stavo andando. Ci andai incattivito. Nella mia testa dicevo: “io prima che me ne vado, ti distruggo. Ti sputo addosso tutto il veleno di cui dispongo, e poi me ne vado. Volevo vomitargli addosso le peggiori cose.
Invece è successa una cosa strana e straordinaria. Mai mi sarei aspettato questo! Lui è entrato nella stanza, noi eravamo lì che aspettavamo. Lui piangeva, si è seduto, non ha neanche detto “ciao”. Ha preso la mano di mia madre e ha detto: “io ti devo parlare… vi devo parlare”. Io non avevo mai visto mio padre piangere. Stavo per partire… poi non so che cosa mi ha frenato e ho detto tra me “Vediamo che cosa ha da dire”. Ci disse che aveva cominciato a collaborare, che era stanco ed era distrutto, perché collaborando, ovviamente, avrebbe accusato anche il fratello di mia madre… Non era tanto per il fratello ma perché questo significava anche perdere mia nonna. Mia madre e mia nonna sono molto legate e non sapeva quindi come mia madre avrebbe potuto reagire In realtà mia nonna ha sorpreso tutti perché poi rimase con noi. Mia madre disse che era la cosa giusta, che eravamo noi la famiglia… Io non ci potevo credere e mi dicevo: “quello che sento lo sento veramente?” Incredibile! In quel momento io mi sentii rinascere e lì, per la prima volta, vidi mio padre. Provai orgoglio nei confronti di mio padre. Nella mia testa pensai “ Ecco, finalmente il padre che voglio!
… sono loro che se ne devono andare!
… è tutto top-secret per ora…dice mio padre. “ Ma poi, non si sa come ( ma ce lo immaginiamo) … neanche il tempo che siamo usciti dal carcere… sapete come funziona il carcere? non puoi portarti il cellulare dentro. Il mio cellulare era rimasto in macchina e …quando sono ritornato in macchina, ho visto che c'erano 36 chiamate senza risposta! di cui una quindicina di un mio amico giornalista di Castelvetrano che scrive in un blog. E mi chiede se è vera la notizia della collaborazione di mio padre. Già la notizia era di dominio pubblico e noi in pericolo. Ci vediamo come catapultati in un film. Ci proposero il programma di protezione
Dissi “Ma voi siete pazzi!”. Io avevo aperto il maneggio da anni, avevo già i miei clienti non potevo arrivare al maneggio con la scorta!
Io Cominciai a pensare a tutto quel lavoro fatto, ai miei sogni, al mio lavoro… Entrare nel programma di protezione significava che non mi sarei potuto chiamare come mi chiamo, significava sparire, perdere l'identità. Io è tutta la vita che mi ammazzo per creare la mia identità e poi per colpa di una persona che non conosco, di Matteo Messina Denaro e tutto il suo entourage io mi dovevo annullare? Ma neanche per sogno! Preferisco rischiare la vita! Se ne devono andare loro! All'inizio è stato terrificante… la notte non dormivo più! Io non uscivo più o quando uscivo ero terrorizzato.
La collaborazione di mio padre era già iniziata, però il fatto che noi avevamo rifiutato il programma di protezione creava dei problemi. Mio padre si rese conto che aveva fatto un casino, perché stavamo rischiando solo noi, in realtà… io mia madre e mio fratello. Noi eravamo esposti e potevano farci di tutto. Ma con il sostegno dei magistrati abbiamo incoraggiato mio padre a continuare a collaborare.
Capiva che si sarebbe rotto tutto quello che aveva costruito: la sua famiglia. Lui si è reso conto quindi che l'unico modo che l’unica soluzione era quella di tagliare e l'unico modo di tagliare è stato quello che ha fatto. Devo anche riconoscere che è stato seguito da persone che lo hanno aiutato molto. C'è in particolare una persona dei Ros (un maresciallo di cui non voglio fare il nome) che è stato per mio padre è un grandissimo punto di riferimento. È stata la persona che lo ha portato via quella notte e con cui ha parlato, che lo ha realmente aiutato. Mio padre si è molto legato a lui e la cosa è stata reciproca. Ancora oggi, quando io mi incontro con questa persona e lui parla di mio padre non ne parla in maniera fredda, come una questione di lavoro. Io mi rendo conto ora che certe volte sono stato spietato quando parlavo di mio padre, perché mio padre avrebbe potuto sempre scegliere. Ma questo maresciallo mi contrastava in quest’atteggiamento, mi diceva: “Tu non devi trattare così male così tuo padre, perché non se lo merita. Io lo conosco.” Questa cosa mi ha fatto capire che mio padre era migliore di quello che io pensavo. Io avevo dentro di me la rabbia e quindi non vedevo le cose per come erano realmente e questa persona, che aveva quel ruolo e che, tra virgolette, doveva essere il suo “nemico”, mi ha fatto rivalutare tanto mio padre.
Gli effetti della collaborazione di Lorenzo Cimarosa
Da quella collaborazione sono scaturite non so quante operazioni antimafia. Gente che era stata assolta in primo grado, tra cui mio zio, venne condannata in secondo grado.
Venne condannata la sorella di Matteo Messina Denaro, il nipote di Messina Denaro, i cognati di Messina Denaro. Hanno sequestrato i beni a tutti, hanno commissariato il comune di Castelvetrano grazie alla collaborazione di mio padre. È come se mio padre avesse acceso i fari di uno stadio su un territorio completamente buio. Nessuno aveva mai parlato del contesto familiare mafioso dei Messina Denaro. È stata la prima volta che si è rotto un muro di omertà e in quel contesto. L’aiuto di mio padre è stato importantissimo. È questa l'eredità più preziosa che mi ha lasciato. Io sono contentissimo di questo. Poi nel frattempo è accaduto che mio padre si è ammalato, probabilmente anche a causa di questo. Mio padre infatti era un gigante, era uno sportivo, non aveva mai avuto problemi di salute nella sua vita, neanche una febbre, ma ha preso il cancro che nel giro di nove mesi lo ha devastato e ucciso, è stato terribile. Fino a tre giorni prima di morire (era già nella clinica per malati terminali) i magistrati ancora lo venivano a trovare per avere chiarimenti su alcune cose e lui, anche malato, moribondo fu sempre disponibile, perché per lui quella era diventata la sua missione. Questa cosa lui l'aveva veramente presa a cuore. Mi consolo per il fatto che è morto per una causa naturale. Non me lo ha ucciso nessuno ed è morto da persona onesta.
Come mai non si sono vendicati?
Sono state intercettate persone di Castelvetrano, che, parlando di mio padre, si augurano la nostra morte e una di queste è un ex consigliere comunale…Quindi, se non si è attivata nessuna vendetta, fino ad ora, è grazie a Matteo Messina Denaro che non l'ha voluta. La mafia in questo momento non agisce per vendetta, ma, eventualmente, per arginare un danno che può essere evitato. Mio padre il danno ormai l'ha fatto. Per di più è morto e quindi per loro io non sono un problema, perché non so niente, non gli ho arrecato nessun danno materiale. Per “loro” sono soltanto un povero cretino che se ne va in TV per la notorietà e, possibilmente, mi sfottono anche per questo. Non sono un pericolo… ma sempre là siamo… non puoi mai sapere cosa può avvenire nella mente delle persone in un contesto sociale assurdo quale è quello di Castelvetrano. Per fare un esempio, tornando un po' indietro nel tempo, quando si è saputa la notizia nella collaborazione di mio padre (e la notizia è uscita sui giornali) tutti i miei clienti sono spariti. Dopo una settimana da quel colloquio eravamo rimasti in quattro al maneggio e io ero disperato. Non sapevo neanche che cosa dare a mangiare ai cavalli. Per fortuna esiste una parte di società buona, pulita. Con la nuova storia e per la nuova storia, si sono avvicinate altre persone. Una mamma è venuta da me e mi ha detto: “Questa è mia figlia: voglio che cresca insieme a te”… Ecco queste sono soddisfazioni, sono doni. Diciamo che mi sono ricreato una mia clientela con tutt’altre persone, ma purtroppo la maggior parte dei castelvetranesi…sono lontanissimi.
Le vere eroine sono loro…
Attualmente mia nonna vive con noi. I suoi figli non la guardano più, perché mio padre con la sua collaborazione ha fatto condannare i figli, ma mia nonna è rimasta con noi perchè condivide la scelta fatta da mio padre. Ha scelto la legalità. I veri eroi anti-mafia, le vere eroine sono loro due, mia madre e mia nonna, non io. Per me è facile perché io sono giovane, ho respirato altra aria, ma per loro è molto più difficile perché vengono dal quel contesto familiare, quella è la loro famiglia….
Un incontro importante
Poi crescendo è normale che mi documentavo sempre di più. Poi vidi il film “I cento passi” che mi sconvolse perché io non conoscevo la storia di Peppino Impastato. Quando la scoprii sono rimasto colpito fortemente perché ho visto che c’era un'altra storia simile alla mia e c’era la possibilità di… , c’era un modo per ribellarsi… però quella storia finiva male perché lui moriva… quindi questo mio desiderio di ribellione si esauriva nella fine di quel giovane perché mi rendevo conto che era un fuoco acceso che comunque si sarebbe dovuto spegnere… perché io non volevo morire, non volevo fare quella fine! Quindi mi sentivo “perdente”, perchè io pensavo dentro di me: non riuscirò a vincere questa battaglia, sono da solo… e quindi decisi a quel punto di fare la mia strada. Ho incontrato molti anni fa Giovanni Impastato. Lui mi disse che voleva venire a trovarmi. Venne da me e abbiamo fatto un incontro con i ragazzi del maneggio. In quell’occasione scrissi un articolo in cui ho invitavo tutti i castelvetranesi al maneggio per incontrare Giovanni Impastato. Non venne nessuno. C’erano solo quelli del mio entourage. Giovanni è stata la persona con la quale ho parlato di più, con la quale mi sono capito. Quando parlai con Giovanni Impastato mi sembrava di parlare con un mio parente, con una persona che conoscevo da sempre …e saperlo fratello di quell'uomo che mi aveva ispirato, anche semplicemente toccarlo mi emozionava. Io ho un legame fortissimo con Peppino Impastato. A volte lo sento vivo. Lui è vivo dentro di me. Tante volte mi ha dato molta energia… Io poi ho incontrato tanti giovani …
Ora da pochi mesi c’è stata la dichiarazione di un ragazzo napoletano, Piccirillo, che nonostante sia figlio di un camorrista ha condannato la camorra dicendo che suo padre ha sbagliato. Questa cosa mi ha dato una gioia immensa, infatti ho cercato di contattarlo, ma ancora non ci sono riuscito. Siamo stati ospiti tutti e due di una trasmissione e io avrei voluto parlargli in privato per dirgli che lo comprendevo. Volevo parlargli perché io, quando sono stato al suo posto, non ho avuto nessuno, sono stato solo. Ho ricevuto solo bastonate.
Vorrei invece essere di aiuto e conforto per altri che come me si trovano in queste situazioni dolorose potrei dire loro“ Parliamo, comunichiamo, perché io posso immaginare che cosa hai vissuto è solo io posso capire che cosa hai dentro”
E per finire… l’antimafia
Anche il mondo dell'antimafia non è stato tenero con me. All'inizio ho dovuto patire. Avevo i mafiosi contro, la società contro, i parenti (ovviamente) contro… ma questo è normale. Cosa mancava? L'antimafia! L’ “anti-mafia” mi ha fatto vivere altri incubi, perché c'erano tantissimi personaggi dell'antimafia… Io qui non parlo dell'antimafia intesa come “forze dell'ordine”: loro sono stati i nostri angeli custodi. Io parlo di personaggi che si sono esposti nel panorama “antimafia” per delle denunce o altro. Ebbene, alcune di queste persone sono state i miei peggiori nemici! Hanno fatto terra bruciata attorno a me. Assurdo!
Poi a rompere il ghiaccio fu Don Luigi Ciotti che mi chiamò per telefono. Io non ci potevo credere… “Sono Don Luigi Ciotti…” e siamo stati un'ora al telefono . Mi disse che gli era arrivata la mia storia, che gli avevano detto che mi stavano bastonando pure i “buoni”… che questa cosa era stata devastante per me. Queste persone che mi dovevano sostenere mi stavano bastonando! Questo non era più tollerabile. Lui mi disse che voleva conoscermi, che voleva venire a conoscere anche mia madre, mia nonna e mio fratello. Nel giro di una settimana prese un volo e venne. È stata una mattinata con noi al maneggio e ci spiegò tante cose. Mi ha chiesto scusa. Io gli ho detto che non avevo bisogno di scuse, che il fatto che lui era lì a me bastava. Lì ci fu l'abbraccio di LIBERA e io non mi sono sentito più. Dopo meno di un mese (mio padre era già morto) hanno distrutto la tomba di mio padre. Non credo siano stati i Messina Denaro. Forse qualcuno ha voluto fare una bravata per accattivarsi simpatie… Uscì la notizia e Don Luigi mi richiamò, volle ritornare per andare al cimitero a fare una preghiera per mio padre.
Io ormai ho superato tutte queste cose. Io adesso ne parlo senza piangere, ma prima piangevo quando le raccontavo.
La mafia la rompi solo da dentro
La mafia la rompi solo da dentro. Io penso che mio padre abbia agito per amore, per amore dei suoi figli. Lui capiva che altrimenti noi saremmo stati “condannati” Io voglio dare un seguito al percorso iniziato da mio padre. Io ho sofferto tanto e soffrirò ancora tanto nella mia vita, penso che forse non smetterò mai di soffrire, la sofferenza ci sarà sempre. Io però vorrei dare uno scopo positivo a questa sofferenza, sentirmi utile. Vorrei raccogliere più frutti possibile da questo albero quando io sarò vecchio prima di morire… Quello che faccio adesso lo faccio con l'ansia del giovane che vuole sconfiggere la mafia nell’arco di una vita. Probabilmente non sarà così …però io voglio che sia così io voglio che sia così.
Potrei essere un arma contro la mafia
Io dico “usatemi”. Non sono io che lo devo chiedere. Io potrei essere un'arma che può servire o potrebbe anche non servire, ma un tentativo lo farei. Si sono provate tante cose contro la mafia e quest'arma potrebbe essere sperimentata. Io penso poi che non è la mafia che bisogna sconfiggere. Ma la mafiosità. Ma come si fa a sconfiggere la mafiosità? Non puoi certo entrare nella testa delle persone… devi dare degli esempi. C'è un'idea diffusa secondo la quale la mafia è qualcosa di invincibile perché usa la violenza, una violenza a volte terribile. Per questo io cercavo esempi, cercavo di trovare la forza in qualcuno e l'ho trovata in Peppino Impastato. La storia di Peppino Impastato finì male. Ma quella storia mi ha ispirato nel profondo. Io ho fatto poco per cambiare la mia vita. Il vero gesto potente è stato fatto da mio padre. È lui ci ha dato la possibilità di intraprendere un percorso… se non ci fosse stata la sua scelta io sarei rimasto a tormentarmi dentro di me in silenzio, anche perché l’esempio che avevo scelto, l'esempio di ribellione di Peppino Impastato finiva male, per destino, per fatalità .Grazie solo ed esclusivamente a mio padre c'è adesso un'altra storia simile a quella di Peppino Impastato che però sono qui a raccontare.