Trattative Ttip
Siamo seri quando parliamo di salvaguardia dell’ambiente e del creato?
Siamo seri quando sfiliamo nella basilica di Assisi promettendo impegno sulle linee della Laudato Si’ di papa Francesco, ma quando l’Europa e l’Italia si mettono a ragionare su import ed export e sui trattati di liberalizzazione commerciale, tutta questa dedizione passa decisamente in secondo piano. Ed è una tristezza morale ed emotiva doverlo constatare.
Facciamo tre esempi, gli ultimi in ordine di arrivo, i più cocenti. Nel 2015 un’imponente mobilitazione di organizzazioni ambientaliste, associazioni della società civile, sindacati, movimenti contadini, produttori e consumatori di tutta Europa e negli Stati Uniti portò all’attenzione dell’opinione pubblica e delle istituzioni i rischi per la salute pubblica, l’occupazione, l’ambiente, il cibo, la produzione italiana, la biodiversità, i diritti fondamentali, i servizi pubblici e la democrazia presentati dal Trattato transatlantico di liberalizzazione commerciale tra Usa e Ue, il Ttip.
Trattative
Il negoziato subì una pausa con l’elezione di Trump, ma proseguì sotto traccia fino all’estate scorsa, quando Juncker volò a Washington e sottoscrisse un accordo di principio per ricominciare a negoziare, sotto la minaccia di una pioggia di dazi. Gli effetti già solo della propaganda, vantati dalla Commissione stessa, e i risultati sono stati impressionanti: le importazioni di soia dagli Usa – in gran parte Ogm, destinata all’alimentazione degli animali e agli agrocarburanti – sono aumentate fino a inizio 2019 di oltre il 121%, e le importazioni agricole Ue dagli Usa del 14% (https://terraevita.edagricole.it/featured/semi-soia-121-esportazioni-usa-ue/). Il tutto con un export italiano che rallenta e in assenza di una qualunque valutazione d’impatto seria. La notizia si diffonde, i governi dell’Unione si spaccano, Macron afferma – e terrà la posizione – che con Trump, che si è sfilato dall’Accordo di Parigi contro i cambiamenti climatici, non si tratta né ora né mai. Il compromesso è che si tratti, ma non sull’agricoltura.
La nuova presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, nonostante il lancio del Green New Deal e della promessa di fare la differenza sui cambiamenti climatici anche in economia, non soltanto accelera per un nuovo accordo da realizzare nel giro di poche settimane, ma appoggia la richiesta di Trump perché si negozi sull’agricoltura, argomento escluso nel mandato conferitole dai governi.
Ad oggi, anche in assenza di alcun impegno concreto sui dazi già imposti da parte di Trump su circa 360 milioni di euro di esportazioni italiane, lo 0,8% del totale (https://www.ispionline.it/it), anche l’Italia sembra disposta a cedere su un trattato che disinneschi per sempre il principio di precauzione, forzi le regole europee attualmente in vigore su pesticidi, ogm vecchi e nuovi, apra un canale permanente di negoziato al di fuori di ogni controllo democratico e parlamentare transatlantico sugli standard di protezione sociale, ambientale e di sicurezza alimentare che sono il più grande ostacolo, attualmente, all’arrivo di merci Usa nel mercato europeo. Né si pensa di procedere a una preventiva valutazione dell’impatto di un possibile accordo e sulla sua sostenibilità ambientale e sociale e sulla quantità e qualità dell’occupazione e delle produzioni coinvolte. Non lo si pensa al punto tale che la ministra dell’Agricoltura Bellanova, nonostante le sue competenze siano fuori dal mandato Ue come si è visto, ha recentemente accolto a Roma a braccia aperte il suo collega americano Sonny Perdue e gli ha offerto su un piatto d’argento una cooperazione sulle nuove biotecnologie e un dialogo aperto su regole e standard, nonostante tutte le preoccupazioni espresse a più riprese dalle organizzazioni ambientaliste e dalla società civile (https://stop-ttip-italia.net/2019/05/03/risposte-ttip-zombie/#more-6254).
Ad aggravare il quadro, il Parlamento europeo sembra intenzionato ad approvare i trattati gemelli di liberalizzazione di commercio e investimenti tra Europa e Vietnam, nonostante i sindacati e le organizzazioni a difesa dei diritti umani gli abbiano chiesto ripetutamente e con dovizia di dettagli di non fare questo “regalo” al governo e alle imprese vietnamite e multinazionali prima di avere strumenti certi per perseguire le innumerevoli violazioni riportate.
Infine, la ciliegina sulla torta. Abbiamo scoperto di recente da un’agenza stampa di un’autorevole sottosegretaria con un curriculum nella cooperazione che il governo italiano “si batte” per portare a casa il trattato di liberalizzazione commerciale con i paesi dell’area Mercosur – Argentina, Brasile, Uruguay, Paraguay – dopo vent’anni dal suo avvio, proprio quando il Brasile è in mano al democratico Bolsonaro. Proprio quando l’Amazzonia brucia. Proprio quando un’indagine indipendente sostenuta dal partito dei Verdi europei denuncia che, con una piena implementazione, il Trattato porterebbe a un aumento nell’area delle attività estrattive minerarie, della carne bovina e del pollame oltre alle monocolture di soia e cereali, e, sotto questa spinta, a un ancora più intenso disboscamento e attacco alle aree forestali e indigene (https://www.greens-efa.eu/files/doc/docs/- e1009b28fc610106352c9-cca4511f460.pdf). Proprio una delegazione indigena ha chiesto a Bruxelles di fermare il trattato da loro definito “una guerra, una nuova colonizzazione” (http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2019/11/06/indigeni-brasile-a-ue-cambiare-mercosur_de3e2c3a-2e13-4ade-b3a8-6dbc92d958bb.html). Come associazione Fairwatch e come campagna Stop Ttip/Ceta Italia mi sento di dire che la nostra attenzione, lotta, obbedienza va a loro, come sempre, e a noi, ai nostri più giovani che per l’Amazzonia in tante e tanti sono scesi in piazza nei venerdì di sciopero per l’ambiente.
Obbediamo ai nostri territori, al nostro futuro come umanità, come comunità tenuta insieme da terra, valori e sentimenti e passioni, non da meri interessi.
Restiamo insieme: sostenete la campagna in questi anni di dura battaglia.