OTTOBRE 2004

Conflitti dimenticati?

A cura di Nicoletta Dentico e Diego Cipriani

Negli anni '90 si sono registrate nel mondo 57 guerre in 45 Paesi; nel 2000 sono state 25 e l'anno dopo 24. Quest'anno sono già 25 i conflitti armati che hanno fatto vittime. Se provassimo a elencare i nomi dei Paesi in guerra, quasi sicuramente la nostra memoria vacillerebbe. E allora nascerebbe il dubbio: siamo proprio noi che non ce ne ricordiamo, oppure è qualcun altro che non ci aiuta a ricordare?
Non tutte le guerre, infatti, ricevono la stessa attenzione da parte dei mass media e, di conseguenza, dell'opinione pubblica. Diversi sono i motivi che fanno sì che questo accada proprio nell'era dell'informazione globale nella quale viviamo. La tragica conclusione è che esistono guerre di “serie A” e guerre di “serie B”, conflitti cioè che occupano (almeno per qualche giorno) le prime pagine dei giornali e altri invece che vengono del tutto ignorati.
E il passaggio dal vuoto di conoscenza al vuoto di coscienza è tanto veloce quanto drammatico, visto che, secondo questa logica perversa, “ciò che non si vede… non esiste”.
Questo dossier, che non ha la pretesa di essere esaustivo, vuole fornire un contributo di destrutturazione della logica che giustifica la morte prematura ed evitabile di una parte dell'umanità in nome di un bene comune superiore. Ovviamente non si tratta solo di informazione, seppur parziale o mancante, e dunque colpevole. Analizzando alcuni conflitti risulta evidente il legame stretto tra la “dimenticanza” e le ragioni strategiche, economico-politiche, che ogni guerra porta con sé.
In queste pagine, l'attenzione si focalizza su tre conflitti in corso e dimenticati. La scelta avrebbe potuto ricadere su altri conflitti (il campionario è purtroppo vasto!), ma questo vuol essere solo uno spunto per continuare a riflettere (per poter poi agire) sulla tragica realtà della guerra che non è solo quella che le tv e i quotidiani ci propinano.
Apparteniamo al drappello di quanti hanno preso la radicale decisione di stare dalla parte delle vittime che la società ha deciso di sacrificare. E questo esercizio di memoria è un atto di resistenza contro la banalità del male che accetta la scomparsa di questa nostra comunità globale “senza importanza”.

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