NOVEMBRE 2004

Altra infanzia, altro mondo

A cura di Natalina Mosna e Alberto Conci

Quando il 20 novembre 1989, a trent'anni esatti dalla Dichiarazione sui Diritti del Fanciullo, l'assemblea delle Nazioni Unite approvava all'unanimità la Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia, era da poco caduto il muro di Berlino.
Nell'arco di soli undici giorni il mondo viveva due grandi segni di speranza: da un lato la speranza che, caduto il simbolo dell'equilibrio del terrore, potesse aprirsi un'epoca nella quale fosse possibile riportare la logica della nonviolenza e della pace fra le priorità della politica internazionale; e dall'altro la speranza che i bambini, che rappresentano realmente e a pieno titolo il nostro futuro, potessero diventare protagonisti di un mondo nuovo.
E queste due speranze erano accompagnate dal sogno che, finita la guerra fredda, si potesse pensare a una globale redistribuzione della ricchezza, congelata per decenni negli arsenali di morte.
Apparentemente questi sogni si infransero in fretta: la guerra del Golfo, la tragedia della ex Jugoslavia, lo spaventoso conflitto rwandese, la guerra mondiale africana, fino alla vergognosa logica della “guerra preventiva” contro il terrorismo che insanguina ogni giorno il Medio Oriente, sembrano dire che un mondo senza violenza non è possibile e che i bambini non hanno diritto a crescere, a dispetto di quanto gli Stati si impegnano a dire, al riparo dalla sopraffazione, dal sopruso, dalla guerra.
Eppure… eppure a quindici anni di distanza, nel mezzo della follia della guerra, la Convenzione continua a essere un documento provocatorio, il cui valore va ben oltre il semplice richiamo morale al dovere di garantire ai bambini un mondo di pace.
Sappiamo bene che il cammino è ancora lungo, che i bambini non hanno in troppe situazioni l'autorità che un mondo civile dovrebbe riconoscere ai suoi soggetti più deboli.
Ma la Convenzione, cui sono dedicate queste pagine, rimane un punto di non ritorno, sul quale si dovrebbe far leva, forse con maggiore convinzione, per orientare una politica che troppo spesso cede alle illusorie lusinghe della violenza.

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