DICEMBRE 2004

Leva la leva

A cura di Guglielmo Porte

È passata come una riforma bipartisan, caso molto raro di questi tempi. La legge che abolisce la leva obbligatoria e costruisce un esercito solo professionale fu approvata nel 2000, quando il nostro Parlamento era a maggioranza di centro-sinistra. Oggi, quella stessa legge, viene gestita da un governo di centro-destra il quale ha addirittura cercato di “migliorarla”, anticipando la fine della leva al 31 dicembre di quest'anno, anziché al 2006, come inizialmente deciso.
Dunque, tutti d'accordo (o quasi): la leva va in soffitta. Sicuramente non la rimpiangeranno i giovani italiani, almeno quelli che non avevano ancora “scoperto” il servizio civile alternativo o, peggio, il modo per sottrarsi sia al servizio militare sia a quello civile. Prima ancora dei giovani, a essere contente saranno le mamme, che in Italia, si sa, contano molto e che non hanno mai visto di buon grado questa “tassa” pagata allo Stato. Forse la rimpiangeranno molti di coloro che il servizio militare l'hanno fatto e che la ritengono magari una cosa buona da far fare ai propri figli. Ma ancor prima la rimpiangono gli stessi militari, almeno una parte di essi ai quali spetta ora il compito più arduo visto che sono proprio le Forze Armate a doversi trasformare radicalmente.
Infatti, la sospensione della leva non incide solo sul reclutamento del personale, ma costringe anche a ripensare il ruolo dell'esercito nella nostra società, la sua collocazione all'interno della prospettiva sovranazionale nella quale ormai anche le Forze Armate si trovano, i compiti ad esse affidati, l'immagine stessa del “nuovo” soldato.
E i pacifisti, come si pongono di fronte a questa svolta? Escluso un loro rimpianto per la leva obbligatoria come “scusa” per poter avanzare obiezione di coscienza, nasce proprio ora, forse, il compito più arduo.
Oggi più di ieri, infatti, occorre vigilare perché la deriva militarista cui assistiamo, in nome della sicurezza, della lotta al terrorismo ecc., non dilaghi anche nel nostro Paese senza che ce ne accorgiamo, perché la pretesa di “primi della classe” sulla scena internazionale non spinga a scelte pericolose e sbagliate, perché restiamo convinti che più che preparare la guerra occorra costruire la pace. Senz'armi.

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