IRAQ

Il voto è vuoto

Né libere, né democratiche. Elezioni in un Iraq, senza elettricità, senza cibo, senza scuole. E diviso in due parti. Anzi molte di più. Sciiti e sunniti con le loro mille frazioni. Con una sola cosa in comune. La voglia di vendetta.
Barbara Schiavulli (Giornalista di guerra)

Se ci saranno elezioni in Iraq, non saranno né libere né democratiche. Una responsabilità importante quella che si prende il governo provvisorio iracheno capeggiato dal primo ministro Iyad Allawi, uno sciita sponsorizzato dagli

Piccolo glossario
Dopo la morte del Profeta (632), la comunità (umma) musulmana si è divisa drammaticamente sulla definizione dei criteri di successione di Maometto. Gli sciiti sono coloro che rivendicavano la successione in forza del legame di parentela e riconoscevano Alì, cugino di Maometto, e i suoi discendenti in linea maschile come unici successori legittimi di Maometto. I sunniti rifiutarono invece la trasmissione del potere in base al sangue e ritenevano che il capo della comunità dopo Muhammed dovesse essere il vicario del Profeta – il califfo (Khalifa, successori) – scelto nel novero dei più fedeli al Profeta stesso. Per i sanniti, che si mantengono fedeli alla tradizione (Sunnah), vi sono “capi politici” che dirigono i rapporti economici e sociali sulla base alla sharia. La Sunnah è il testo che raccoglie gli insegnamenti di Maometto ed è ritenuta di pari validità normativa rispetto al Corano. Gli sciiti fanno riferimento direttamente al Corano e agli hadit, in cui sono raccolte le parole, la vita e l’operato di Maometto. In realtà, gli sciiti non nacquero da una spaccatura dottrinaria, ma si posero come forza politica di opposizione rispetto alla comunità sunnita. Col tempo, la frattura politica tra sciiti e sunniti è diventata una differenza teologica. Le divergenze riguardano, soprattutto, il ruolo della gerarchia religiosa.
americani che non vuole rimandare per nessuna ragione il voto alle urne previsto per il 30 gennaio prossimo. Anche il suo partito tentenna per quanto riguarda le elezioni, così come quasi tutti i partiti più importanti sunniti. L'Iraq, come se non bastasse, anche qui si spacca in due.

Due e più parti
L'appello all'unità nazionale, del governo, è finito tra le macerie di una delle tante case distrutte durante i raid della coalizione. Il Paese si divide essenzialmente in due parti, per quanto in realtà siano molte di più; due sono le grandi fazioni, gli sciiti con il 60% e i sunniti con il loro 20. Gli sciiti vogliono votare e vogliono farlo subito, i sunniti, chiedono di rimandare le elezioni di sei mesi. “Un posticipo è inaccettabile”, ha tuonato Muhammad Husain Al Hakim, il portavoce dei leader religiosi sciiti di Najaf. Lo dice Bush, che non vuole ammettere che le truppe americane resteranno ancora a lungo, e lo ripete l'ambasciatore Usa in Iraq Negroponte, barricato nella Zona Verde: “Noi pensiamo che vi sarà sicurezza adeguata perché le elezioni si tengano il 30 gennaio”. Sei delle 18 province irachene sono sunnite. E in ognuna di queste sono in corso pesanti operazioni militari. Gli insorti si annidano in quelle zone, ed è in quelle aree che gli americani e le forze di sicurezza irachene ogni giorno lavorano. Ed è lì che ci sono la maggioranza degli attentati, la totale mancanza di sicurezza e soprattutto, la grande probabilità che in poche settimane non si riuscirà a stabilizzare tutta una fetta del Paese che dovrebbe uscire di casa, se l'ha ancora, andare a votare senza sapere bene chi, perché senza elettricità, cibo e cure mediche, non è facile seguire la campagna elettorale. Entrare in quei seggi, che per magia, spunteranno non si sa bene dove, visto che in città come Falluja neanche le scuole sono rimaste in piedi.

Dove non entrano nemmeno gli aiuti
E tutto questo, non pensando che ci sono precise minacce contro chi mette solo un piede in strada per andare a votare. E soprattutto non ci sono abbastanza

La comunità islamica irachena
Il nord dell’Iraq è abitato in maggioranza dai curdi. Dopo la prima Guerra del Golfo godono di una sostanziale autonomia che sembra aver sopito i propositi secessionisti. Al sud la grande maggioranza della popolazione è araba e musulmana di confessione sciita. Politicamente vicini al governo iraniano, gli sciiti riconoscono solo l’autorità dei loro leader spirituali, divisi tra moderati e integralisti. Pur essendo la maggioranza nel Paese (circa il 60%), hanno per anni subito la dominazione della minoranza sunnita, concentrata nel centro del Paese e numerose repressioni nel corso del regime di Saddam Hussein. Nella convulsa situazione del dopo-Saddam, vogliono finalmente contare e, pur non fidandosi delle promesse americane, reclamano comunque la democrazia, perché democrazia vuol dire governo della maggioranza (e loro sanno di essere maggioranza). Sono presenti nel Paese anche delle minoranze, di cui turcomanni e assiri rappresentano le comunità più numerose.
In Iraq la contrapposizione tra sciiti e sunniti è meno marcata rispetto a quanto accade in altri Paesi musulmani. Il diverso peso specifico delle due comunità, sciita e sunnita, dall'indipendenza in poi ha piuttosto radici di carattere storico e sociale.
È da ricordare inoltre che non ci sono solo sunniti e sciiti, ma anche sciiti di diverso orientamento, così come ci sono sunniti arabi ma anche sunniti curdi e turcomanni, con i quali i possibili motivi di rivalità o di contrasto hanno motivazioni diverse da quella religiosa.
Fonte: Peacereporter, Liberazione
poliziotti, quotidiani obiettivi della guerriglia, per proteggere i più volenterosi. Chi controllerà i seggi? Chi verificherà che non ci saranno brogli? Chi proteggerà le persone, che ormai hanno paura di andare a fare la spesa? Secondo i sondaggi che ogni giorno spuntano sui giornali iracheni, il 70 % della popolazione vuole andare a votare. Ma in questi sondaggi, non si sa mai chi viene intervistato, né quanti. In Iraq, dove non riescono a entrare gli aiuti umanitari nella provincia di Anbar (di cui fanno parte Falluja e Ramadi, roccaforti della resistenza sunnita), è lecito dubitare che le interviste riguardino settori della popolazione tranquilla, come i quartieri benestanti di Baghdad, di sicuro non lo specchio della società. La scorsa estate, quando a fatica un giornalista, poteva ancora mettere piede a Falluja senza essere embedded con gli americani, si sentiva nell'aria che quella città avrebbe dato filo da torcere. Bastava passeggiare, lo feci con un fruttivendolo che era scappato con la sua famiglia, ma che era voluto tornare nel suo quartiere, ora raso al suolo, per controllare la casa. Era il primo fornitore di cibo, lo conoscevano e rispettavano tutti, andare con lui
Sciiti e Sunniti tra resistenza ed elezioni
In vista delle elezioni, si è accentuata la divaricazione di posizioni per le due principali comunità religiose: gli sciiti verso un inserimento nel gioco politico e i sunniti verso la continuazione della lotta armata contro l’occupazione. Con il rischio di possibili nuove contrapposizioni fra le due comunità, contrariamente a quanto avvenuto nel conflitto in cui le diverse comunità hanno animato la resistenza irachena. Quest’ultima è variegata: fedelissimi di Saddam o terroristi internazionali, sciiti estremisti filoiraniani al sud in lotta tra loro e criminalità comune… I curdi controllano sostanzialmente il nord del Paese. La guerriglia sunnita è estesa ed è difficile tracciare un suo quadro preciso. I suoi principali ispiratori sono i salatiti, integralisti che danno un’interpretazione rigida del Corano e della sharia e che predicano il ritorno ai valori dell’epoca del profeta Maometto, proclamatore che il jihad è un dovere di ogni musulmano. La loro guida spirituale in Iraq è lo sceicco Mahdi al Sumeidai della moschea Ibn Taimiya, a Bagdad.
Fonte: Internazionale, Peacereporter, Liberazione
garantiva un minimo di sicurezza. Per le strade giravano uomini con i caratteristici cappelli pakool dell'Afghanistan, iraniani, arabi. Non serviva un'accurata perquisizione per capire che la città era diventata il rifugio, la base dei militanti stranieri, in qualche modo tollerati dalla resistenza locale, che invece era fatta di persone normali, per lo più contadini amareggiati, che combattevano contro l'occupazione.

Non c'è mai il momento giusto
Ma la guerra si sa, può sfuggire di mano e oggi Falluja, è una montagna di macerie, con uomini feriti che nessuno va a prendere, con intere famiglie fuggite, con una rabbia che respira sotto le mura abbattute. Dunque i sunniti chiedono sei mesi e gli sciiti rispondono no. Tanto per qualcuno non cambierà niente tra sei mesi. Il rischio forte è che più tempo passa, più le zone per ora assopite del sud potrebbero risollevarsi, come è successo l'estate scorsa con il focoso Moqtada Al Sadr, il giovane religioso sciita, che con tanta pazienza i leader sciiti sono riusciti a placare, ma se elezioni si fossero tenute il giugno scorso, in pieno assedio delle città sante (Kufa, Karbala, Najaf), un pezzo importante della politica religiosa dell'Iraq, sarebbe rimasto fuori. Il problema è che non ci sarà mai il momento giusto. L'Iraq è un Paese in guerra e così come non si può pensare che la democrazia la si esporta a suon di cannonate e la si impianti in una Paese dopo trent'anni di dittatura, così non si può credere che le elezioni in Iraq saranno libere e democratiche. Perché non c'è nulla di tutto questo. All'appello dei 15 partiti sunniti, capeggiati da Adnan Pachachi, ex candidato presidenziale (spalleggiato dalle Nazioni Unite), il cui posto venne soffiato da Yawar sostenuto dagli americani, si sono uniti i due partiti principali curdi.

Il Paese in cifre
Ordinamento politico: amministrazione transitoria
Capitale: Baghdad
Superficie: 434.128 Kmq (1 volta e mezzo l’Italia)
Popolazione: 22,5 milioni; 65% arabi, 23% curdi, 5,6% azeri, 6,4% altri
Lingua: arabo (ufficiale), curdo
Religione: 62% musulmani sciiti, 35% musulmani sunniti, 3% cristiani
Alfabetizzazione: 58% (Italia: 98%)
Mortalità infantile: 60 per mille (Italia: 5,7 per mille)
Speranza di vita: 66 M, 68 F (Italia: 76 M, 82 F)
Popolazione sotto la soglia di povertà: n.d.
Prodotti esportati: petrolio
Debito estero: 10 miliardi di $
Spese militari: n.d.
Fonte: Peacereporter
Comprensibile la scelta dei sunniti, meno ovvia quella dei curdi, politicamente ben organizzati e di cui si prevede una massiccia presenza alle urne.

La rivincita degli sciiti
Ma loro vogliono la promessa autonomia, che gli sciiti non approvano, e gli uomini del nord hanno da mesi attivato proficui negoziati con le Nazioni Unite perché riconoscano una costituzione ad interim, che dia loro il potere di veto sulla futura costituzione permanente. Ma le cose non sono semplici neanche all'interno della maggioranza sciita. Ben consci che per loro si presenta una svolta, considerati storicamente un po' i “perdenti” dell'Islam, hanno l'occasione di porre fine a secoli di oppressione in ostaggio dei sunniti che hanno avuto sempre la meglio, durante l'impero ottomano, la colonizzazione britannica, e il regime di Saddam Hussein. Da una parte ci sono i seguaci del Grand Ayatollah al Sistani, una delle massime autorità sciite, moderato, venerato, rispettato che vuole elezioni e che intorno a sé ha concentrato decine di partiti, riuscendo anche a controllare, anche se non si sa mai per quanto, il burrascoso Al Sadr, seguito almeno da due milioni di persone a Baghdad. Mentre non riesce ad attirare a sé il partito del premier Allawi, sciita sì, ma laico, intenzionato a crearsi un'immagine di “uomo per tutti”, e poi in un Paese, dove vale ancora “l'occhio per occhio”, al premier non va per nulla di ritrovarsi a fianco di Ahmed Chalabi, capo dell'Iraqi National Congress, ex uomo degli americani, caduto in disgrazia. Lista separata anche per il presidente Ghazi al Yawer, sunnita, ma capo di una serie di tribù talmente grandi che sconfinano in molte sciite e quindi

Vittime
dall’inizio della guerra in Iraq (19 marzo 2003)
al 1 dicembre 2004


Iracheni: 14.571-16.750
Americani: 1254
Altre vittime: 146
Fonte: Internazionale
appetibile candidato per l'anziano al Sistani, che però non riesce a convincerlo. Gli elettori dovranno scegliere i futuri 275 membri dell'Assemblea (su ognuno di loro già è stata espressa la minaccia di morte dei gruppi radicali, come quello di Zarqawi, l'inafferrabile capo della cellula locale di Al Qaeda), che produrrà anche i formulatori della Costituzione Permanente. Che se approvata dal successivo referendum, rappresenterà la base di lavoro per successive elezioni generali che si terranno nel dicembre 2005. Se ci saranno elezioni, sarà un momento difficile, soprattutto se i sunniti decideranno di ufficializzare il boicottaggio come chiede il Consiglio degli Ulema, la massima autorità spirituale dei sunniti. Ma in Iraq i momenti difficili si susseguono, quotidianamente, questo non è che uno dei tanti, le elezioni forse sono più rilevanti per il resto del mondo che per gli iracheni comuni, la cui unica speranza è di sopravvivere solo un altro giorno.

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