Alé Ultrà
Nel nostro Paese il calcio arriva alla fine del XIX secolo a Genova, Livorno e Palermo, città che avevano più rapporti con l'Inghilterra e che introdussero anche nel nostro Paese le regole della Football Association. Il calcio italiano nasce come espressione dei ceti medi e dell'alta borghesia in quanto attività legata al leisure time (tempo libero); solo nel primo decennio del 1900 il riposo settimanale diventa obbligatorio per tutti i lavoratori e questo determina un notevole aumento di spettatori negli stadi, ora appartenenti a diversi strati sociali, anche se risulta ancora esclusa la società contadina.
All'inizio fu Herrera
Gli anni Sessanta possono essere considerati un punto di svolta per il tifo italiano, impregnato inevitabilmente degli sconvolgimenti socio-economici del Paese. I giovani italiani cominciano ad appassionarsi al calcio, organizzandosi in gruppi che seguono la squadra anche in trasferta; si viene, così, a costituire la Federazione Italiana Sostenitori Squadre di Calcio (FISSC). Nel 1967 Herrera, allenatore dell'Inter, propone al suo presidente di finanziare la trasferta dei tifosi per sostenere la squadra: è questa la genesi dei rapporti tra Società e gruppi organizzati tanto discussi in questi ultimi anni.
Conseguenza diretta dei movimenti giovanili del '68 è la nascita dei primi gruppi ultras: la “Fossa dei Leoni” del Milan (1968), i “Boys” dell'Inter, gli “Ultras” della Sampdoria e del Torino (1969).
Il modello adottato è quello degli hooligans inglesi: petardi, fumogeni, tamburi, pratiche militarizzate. Questa proposta di valori “virili” attecchisce facilmente tra gli ultras italiani in quanto soddisfa il loro bisogno di identità, di riconoscimento e auto-riconoscimento, deluso dai movimenti politici e dalla situazione socio-economica del Paese.
La preparazione del rito partita
Il movimento ultrà si è, però, distinto sin dall'inizio dagli hooligans inglesi per la sua trasversalità socio-economica, la sua composizione sociale interclassista e la rilevante presenza femminile. I gruppi ultrà italiani coinvolgono i loro membri in luoghi e tempi anche molto distanti dall'evento partita, organizzano coreografie che coinvolgono l'intera curva e richiedono
Negli anni Ottanta il movimento ultras cresce fino a raggiungere il suo apice: migliorano le coreografie – esteticamente e numericamente – e aumenta il numero di partecipanti alle trasferte, grazie a un'organizzazione interna più sofisticata, che prevede anche attività di autofinanziamento tali da rendere le curve delle potenze economiche. Si osserva un ricambio generazionale che porta alla proliferazione di piccoli gruppi di giovanissimi che rivendicano la propria autonomia rispetto alla “vecchia guardia” rifiutando i valori diffusi nel mondo ultras. Compaiono nuove forme di violenza: atti vandalici, aggressioni a calciatori e a tifosi normali e a ultras della stessa squadra, saccheggi degli autogrill sul percorso della trasferta e nelle stazioni ferroviarie. Questo porta a una progressiva militarizzazione degli stadi e all'adozione da parte della polizia di imponenti misure di sicurezza per arginare il fenomeno. Gli incidenti, che si sono ormai spostati al di fuori degli stadi, spesso sono frutto non più di scontri tra gruppi, ma dell'iniziativa di cani sciolti, non controllati né controllabili dai nuclei storici del tifo.
La violenza esplode
Nel 1995 Vincenzo Spagnolo, tifoso genoano, viene accoltellato a Genova prima della partita Genoa-Milan; la partita viene sospesa e il campionato verrà fermato. È un momento importante per il movimento ultrà. È, infatti, a partire da questo episodio che viene organizzato a Genova il primo raduno di tutti i rappresentanti dei principali gruppi ultras italiani; da esso nasce il documento “Basta lame, basta infami”, tentativo importante di auto-regolamentazione interna, che condanna l'utilizzo di armi da taglio durante gli scontri e auspica un ritorno alle vecchie norme e ai codici di comportamento dei gruppi storici. Dopo un campionato di “tregua”, gli incidenti sono riapparsi negli stadi italiani, causando ulteriori morti.
Negli ultimi anni gli episodi di violenza allo stadio si sono trasformati sempre più da scontri tra ultras a scontri con le forze dell'ordine; questo se sicuramente può essere spiegato dal crescente numero di agenti presenti proprio per non far venire a contatto tifoserie opposte, lascia intravedere anche un mutamento nell'oggetto dell'ostilità: gli agenti di polizia diventano il gruppo “ultras” avversario per eccellenza.
Leggi inutili
La risposta legislativa all'allarme sociale relativo alla violenza da stadio è stata, negli anni, segnata da varie leggi speciali che hanno aumentato la repressione senza però ottenere risultati duraturi: dai dati diffusi si può notare come il numero degli incidenti decresca esclusivamente nella stagione successiva all'applicazione della nuova legge per tornare subito dopo ai livelli delle stagioni precedenti.
Nel 2002 vari gruppi ultras si sono dati un coordinamento nazionale, il Movimento Ultrà, che ha promosso raduni, dibattiti e manifestazioni di piazza per lottare proprio contro questi interventi sempre più repressivi, ma anche contro il ‘calcio moderno' e la pay tv. Sembra essere, dunque, una lotta contro chi vuole distruggere quella cultura popolare di cui gli ultrà italiani si sentono i legittimi depositari.
È forse poco nota al grande pubblico – che viene però informato sistematicamente di ogni piccolo incidente che vede protagonisti i tifosi ultras – la molteplicità di iniziative benefiche organizzate e portate avanti negli anni dai diversi gruppi (da quelli la cui squadra milita in serie A a quelli che seguono i propri colori nei più dispersi campi delle serie minori).
Due progetti
In quest'ottica di promozione degli aspetti aggregativi, sociali e di solidarietà che caratterizzano le tifoserie si concretizzano le iniziative dei Fan Projekt tedeschi e del Progetto Ultrà a Bologna.
Quest'ultimo, su ispirazione dei colleghi tedeschi, lavora dal 1995 alla limitazione di episodi di violenza e razzismo negli stadi e alla diffusione della cultura popolare del tifo attraverso attività di raccolta del materiale di numerose tifoserie d'Italia e d'Europa (l'Archivio del Tifo).
Inoltre, attraverso l'organizzazione di incontri e dibattiti, promuove la collaborazione tra gruppi diversi – anche di tifoserie storicamente ostili – per il perseguimento di fini comuni (la lotta alla repressione e al calcio moderno ecc.) con lo scopo di abbassare il livello di tensione negli stadi.
Allegati
- Le tifoserie calcistiche in Italia x 1000 (stime Nielsen 2002) (11 Kb - Formato rtf)