Un calcio al razzismo
Gli stadi di calcio sono da sempre degli anticipatori e amplificatori di problematiche presenti all'interno della nostra società e il razzismo e la xenofobia trovano spesso, purtroppo, una loro espressione. Dalle frasi ingiuriose di alcuni striscioni come quello “Auschwitz la vostra patria, i forni le vostre case” (esposto nel derby dalla curva laziale nel 1999) al verso della scimmia nei confronti di giocatori neri (ultimo della serie nell'amichevole Spagna-Inghilterra del 17 novembre 2004).
Ma spesso non sono solo i tifosi ad avere atteggiamenti razzisti: allenatori che discriminano i gay, giocatori che in campo si offendono per la loro provenienza etnica, media che usano metafore a sfondo razziale.
La repressione non basta
Come per il discorso relativo alla violenza, per combattere questo fenomeno diffuso nel mondo del calcio nella sua interezza, le sole misure repressive non servono se non vengono affiancate da misure di carattere preventivo ed educativo.
Proprio con questo scopo nel 1999 è nata la rete FARE (Football Against Racism in Europe) che in un unico network europeo e transnazionale raccoglie oltre 100 organizzazioni che s'impegnano a combattere il razzismo e le discriminazioni nel calcio.
In Italia le due organizzazioni di riferimento per il FARE sono il “Progetto Ultrà – Archivio sul Tifo” di Bologna e la “UISP – Unione Italiana Sport per Tutti”.
L'obiettivo principale del FARE è quello di sensibilizzare e prendere posizione contro qualsiasi forma di discriminazione nello sport, sul campo o tra i tifosi: razzismo in primis, naturalmente, ma anche pregiudizi legati al sesso, alla cultura, alle religioni o a qualsiasi altro fattore.
Per raggiungere questo obiettivo la rete FARE organizza e promuove campagne che vedono così la partecipazione di varie organizzazioni antirazziste,
• Francia. Il movimento ultras si sviluppa solo nella seconda metà degli anni Ottanta e conosce un’impennata dopo la Coppa del mondo ’98. Psg e Marsiglia ricorrono a steward, che operano nelle curve in accordo con le tifoserie.
• Germania. Dal ’92 opera il Fan Project, con impiego di operatori sociali riconosciuti dai club e capaci di mediazione. Il progetto, con adesione volontaria, vede la partecipazione di 35 club. Significativa diminuzione degli incidenti e dell’aggressività neonazista.
•Spagna. Il fenomeno non ha mai toccato livelli allarmanti, ma cresce in relazione all’uso politico da parte di movimenti etnici. Lo Stato ha promosso soltanto un inasprimento delle sanzioni.
In cinque anni di attività è riuscita anche a ottenere il riconoscimento della UEFA, che negli ultimi anni si sta impegnando sul versante della sensibilizzazione delle proprie Federazioni verso una maggiore considerazione delle attività promosse dalla base.
Infatti, sempre più spesso negli stadi alcuni gruppi di tifosi si mobilitano per promuovere messaggi antirazzisti, per eliminare dalle proprie curve fenomeni di discriminazioni e in alcuni casi trasferiscono queste attività anche fuori nelle proprie città (come nel caso di Veneziani e Perugini che hanno promosso progetti di cooperazione internazionale o di associazioni sportive che organizzano feste multiculturali).
Antirazzismo globale
Fra le varie iniziative promosse dalla rete FARE, ogni anno viene organizzata la Action Week – Settimana d'Azione Antirazzista Europea. Questa iniziativa, sostenuta ufficialmente dalla UEFA nel 2004 con il coinvolgimento delle squadre della Champions' League, coinvolge società calcistiche, tifoserie e tutte le associazioni che si occupano di lotta al razzismo e alle discriminazioni. L'ultima edizione si è conclusa nell'ottobre di quest'anno e ha visto la partecipazione di ben 33 Stati europei con l'organizzazione di 150 eventi.
Evento principe della rete FARE sono comunque i Mondiali Antirazzisti, manifestazione ideata nell'ormai lontano 1997 da Progetto Ultrà, in collaborazione con Istoreco, da un'idea molto semplice ma dimostratasi poi efficace e vincente: organizzare una vera e propria festa che vedesse il coinvolgimento diretto e la contaminazione fra realtà considerate normalmente contrastanti e contraddittorie, quella dei gruppi ultrà, spesso etichettati come razzisti, e quella delle comunità di immigrati.
Si è fatta molta strada dalla prima edizione dei Mondiali, nati quell'anno con otto squadre e un'ottantina di partecipanti. La formula che ha voluto coniugare calcio non competitivo, tifo e colore sugli spalti, concerti di trend musicali eterogenei, in un'esperienza di vita comune in campeggio, è risultata vincente. Tant'è che il numero di partecipanti e delle squadre è aumentato in maniera esponenziale: l'edizione del 2003 ha accolto la cifra record di 168 squadre e di oltre 5.000 persone presenti! Nel 2004, infine, pur non potendo incrementare il numero delle squadre per ragioni di spazio, è aumentato ancora il numero dei partecipanti: 6.000 persone. Oltre al torneo di calcio, sempre rigorosamente non competitivo, si è organizzato per la prima volta anche un torneo di basket, che ha visto la partecipazione di 16 squadre.
Non solo calcio
Nel corso degli anni, comunque, i Mondiali sono andati configurandosi sempre più come vero e proprio festival multiculturale ed esperienza concreta di lotta al razzismo. Alle partite si affiancano infatti importanti momenti di riflessione, dibattiti, concerti e proiezioni di film. La manifestazione si propone quindi di contribuire a rompere quegli schemi che impediscono una maggiore apertura verso l'altro e a ridurre la tendenza a chiudersi all'interno dei propri gruppi di riferimento (siano essi ultrà o comunità). Un lavoro che, quindi, oltre a contrastare il razzismo negli stadi e nella società promuovendo la contaminazione e l'integrazione, porta spesso anche al non indifferente risultato di favorire una riduzione delle antiche tensioni fra tifoserie avversarie, solitamente acerrime nemiche ma presenti fianco a fianco ai Mondiali.
Nel 2004, infine, durante gli Europei 2004 in Portogallo, la rete FARE ha organizzato una serie di attività di sensibilizzazione e lotta contro le discriminazioni: tornei di streetkick (calcio di strada) fra tifoserie e gruppi di migranti, distribuzione di materiale informativo sul razzismo nel mondo del calcio e incontri con alcune comunità di migranti.
Razzismo ignorante
Anche se ovviamente la strada da percorrere è ancora lunga, queste attività hanno dimostrato come sia possibile ottenere dei risultati visibili e soprattutto duraturi. La discriminazione nasce dalla non conoscenza, dalla paura del diverso, per questo attività che vanno nella direzione di creare punti di incontro e confronto, di scambio e di conoscenza reciproca sono i soli che nel tempo producono dei reali cambiamenti.
Il calcio, e lo sport più in generale, viene considerato uno strumento che supera le barriere per il suo linguaggio non verbale, per la semplicità del gioco e la passione che riesce a suscitare. Ma lo sport vive le contraddizioni presenti nelle nostre società e finché non si genererà un cambiamento radicale nel modo di pensare finché le diversità verranno considerate una ricchezza e non una barriera, episodi di razzismo saranno sempre visibili.
Occorre, quindi, puntare sull'educazione e la sensibilizzazione, dare voce alle attività che vengono svolte dalle curve non solo puntando l'indice accusatore verso le più razziste, ma soprattutto mettendo in luce quelle che si impegnano in tutta Europa per ricordarci che un altro calcio è possibile. Solo in questo modo sarà possibile arrivare a una società multiculturale e rispettosa dei diversi stili di vita, colori, culture.