EDUCAZIONE SPORTIVA

Il bello della sconfitta

Gli altri sono nemici. La sconfitta è un'umiliazione. Nello sport prevale un solo pensiero. Unico. Ciò che conta è la vittoria. Quali sono i guasti educativi di questa cultura? Ma, soprattutto, è ancora sport?
Giulio Bizzaglia

Viviamo una sorta di conformismo tifoso che viene spacciato per corretta socializzazione sportiva: essere di qualche squadra è normale, simpatico, dovuto; una sorta di lasciapassare a sostegno della comunicazione e della socializzazione. Addirittura in non pochi casi l'appartenenza tifosa arriva a configurarsi e a essere vissuta come luogo specifico dell'identità. Un'identità secondaria ma così coesa e stringente da diventare dominante nel caso di molte persone rispetto all'insieme assai più composito di appartenenze, conoscenze, sentimenti, relazioni.
Le responsabilità dei media – dall'incapacità di elaborare un linguaggio libero finalmente dalle assonanze con i codici comunicativi militari – non alleggeriscono quelle degli educatori, che dovrebbero portare per mano i giovani a considerare ragionevolmente, insieme alle altre manifestazioni culturali, anche le pratiche del corpo. A riconoscere quale sia il rovescio dell'affascinante spirito che affratella la fazione tifosa. Un rovescio niente affatto simpatico, che spinge indietro l'orologio del processo educativo.

L'opzione di rivalità
Ad esempio, come è sostenibile l'assunto (nella prospettiva tifosa) che i nostri beniamini – che in quanto nostri non possono essere altro che giusti, forti, migliori – debbano necessariamente primeggiare, vincere?
Quando si smarrisce il senso della realtà, il “giusto” è identificato, a priori, con la propria parte; l'opzione di rivalità – a prescindere da ogni ragione e considerazione – mentre nega la semplice possibilità della virtù altrui, afferma la propria: tutto questo, paradossalmente, avviene mentre ci si dichiara “sportivi”, civili, rispettosi del fair play, degli altri.
Invece è sciovinismo, è paura dell'altro da noi, del diverso, del barbaro; è supponenza, è ignoranza che genera aggregazione sollecitando istinti di pancia.
Oltre tutto è la negazione del gioco (fondato – non dimentichiamolo – sull'alea, sull'imprevedibilità dell'esito) e del principio di realtà; perché il mancato successo è in relazione al gioco, ne fa parte, coinvolge anzi la totalità delle parti. Meno una, quella che vince.
E allora è illogico, diseducativo, masochistico, insensato, attribuire valore soltanto alla vittoria. Perché così si prepara il terreno all'ansia da prestazione, all'esame continuo, allo stress, anticamera e strada maestra verso la delusione e l'abbandono. Che infatti dilagano tra i nostri ragazzi e le nostre ragazze, ormai ampiamente caratterizzati come i meno sportivi d'Europa e i più soggetti a rischi relativi a sovrappeso e obesità.

Primum vincere
Ma c'è dell'altro. Questo clima alleva giovani aggressivi a priori (in molti sport l'espressione dell'aggressività è ottimamente reputata), incapaci di elaborare tutti i vari e diversi esiti del gioco e del confronto. Non lavorando ad accogliere questi possibili, probabilissimi esiti, anzi sprezzando ogni prestazione non vittoriosa, ci si dispone oggettivamente ad accettare ogni altro mezzo che favorisca l'affermazione, nella sua “giusta” capacità di ristabilire l'ordine gerarchico introiettato: io (noi) al primo posto, poi gli altri.
Quando invece al primo posto si trovano altri (e la cosa accade assai spesso), questi non possono che essere considerati non antagonisti ma nemici, usurpatori; l'ingiustizia è palese, all'affronto si deve rispondere con una reazione forte, catartica, compensatrice; i mezzi ammessi, tutti.
Ecco, di fronte a una prospettiva come questa (eccessiva forse. Forse), credo si debba trarne materia di riflessione, perché la contrapposizione, l'ostilità così intensamente coltivate non vengano più trasferite negli altri contesti dell'esistenza.
Basterebbe partire da un'affermazione di Carlo Vittori, che di sport di prestazione è maestro: “lo sport è vai e corri, non vai e vinci”.
Non vi pare una buona prospettiva educativa per lo sport?

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