SOS Artico
A rischio il popolo inuit e molte specie animali. Anche l'orso polare. Dal 2000 la temperatura nell'Artico è salita di 4 gradi e in trent'anni il ghiaccio è diminuito del 36%. Conseguenze devastanti, se gli Stati uniti (e non solo) non cambieranno politica.
«Dove mio padre mi diceva erano gli icerberg, d'estate io ora vedo solo zanzare, un insetto sconosciuto ai miei avi». Sono le parole di un inuit canadese alla Cbc, la radio nazionale del Canada. O meglio, è un grido d'allarme di chi, gli indigeni canadesi come gli allevatori di renne lapponi, dagli anni Settanta parla del riscaldamento del pianeta. Nessuno ha ascoltato, fino a oggi. Ma in questi giorni, più di duecentocinquanta scienziati degli otto Paesi del Consiglio Artico - Canada, Usa, Russia, Svezia, Finlandia, Norvegia, Danimarca e Islanda - hanno reso noti i risultati degli studi fatti per quattro anni sui ghiacci dell'Artico: il riscaldamento terrestre si sta manifestando nel circolo polare artico a velocità doppia rispetto a ogni altra zona della terra. Solo a partire dall'anno 2000, la zona si è riscaldata di quattro gradi Celsius. In alcune parti dell'Artico negli ultimi trent'anni il ghiaccio è diminuito del 36%. Le conseguenze che si faranno sentire sono devastanti. Sebbene il messaggio contenuto nel rapporto di 140 pagine, dal titolo Impacts of a Warming Arctic (Impatto del riscaldamento dell'Artico) non sia del tutto nuovo, i possibili effetti sono allarmanti. L'uomo sta entrando in un periodo di cambiamenti climatici mai sperimentati da almeno 10.000 anni.
I cambiamenti
Secondo la previsione fatta dal pool internazionale di scienziati dell'Artic Climate Impact Assessment (Acia), gli orsi polari e molte altre specie scompariranno entro la fine del secolo, le acque degli oceani si alzeranno di 90 centimetri, con rischi di inondazione per la Florida e parte dell'Asia. «L'innalzamento della temperatura nelle zone artiche porterà a grandi cambiamenti con conseguenti problematiche per la salute dell'uomo e la sicurezza alimentare», sostengono i ricercatori dell'Acia. Nel 2100 la temperatura si potrebbe innalzare fino ai 4-7 gradi centigradi. Cresceranno alberi nell'area di Kugluktuk, Rankin Inlet, Coral Harbour e persino a Cambridge Bay (una vastissima area del nord del Canada, nel territorio di Nunavut, un tempo costantemente coperta dai ghiacci). In estate ci saranno piccoli blocchi di ghiaccio in tutti mari eccetto al Polo Nord. Foche e trichechi, di cui oggi si contano moltissimi esemplari, saranno specie in estinzione. I lemming, i gufi bianchi e le volpi artiche dimenticati. Strutture costruite su masse d'acciaio che dovessero scontrarsi con la durezza delle rocce si chinerebbero per poi sprofondare. E soprattutto, cancro, cataratte e malattie del sistema immunitario, causate dalle radiazioni dei raggi ultravioletti, prolifererebbero tra gli abitanti dell'Artico.
«L'Arctic Climate Impact Assessment - commenta sul Globe and Mail Mark Nuttal, un antropologo dell'Università dell'Alberta, una delle province canadesi - mostra chiaramente i cambiamenti drammatici che sono già avvenuti nel nord del pianeta». La colpa? La produzione di combustibile fossile, la principale risorsa del diossido di carbone, negli Stati uniti. Cioè i gas di scarico delle auto, in Europa e in tutto il mondo.
Le prime popolazioni a pagare saranno i lapponi in Finlandia e gli inuit in Canada. Quindi, il problema non riguarda soltanto l'assetto ambientale, ma viola gravemente i diritti umani, come cita la stessa ricerca. «Stiamo collegando i cambiamenti climatici ai diritti umani - ha detto Sheila Watt-Cloutier, presidente dell'Inuit Circumpolar Conference - perché perderemo il nostro modo di vivere se non si agisce subito».
La storia
Il dominio nell'Artico è cominciato nel 1670 con l'Hudson Bay, compagnia britannica. Il primo titolo ufficiale di appartenenza fu attribuito all'azienda, oggi canadese, dal re Carlo II. Nel 1821 la proprietà fu ampliata per includere i Territori del Nord Ovest e Nunavut. La Compagnia Hudson Bay cedette poi il titolo di sovranità al Canada nel 1869. Nel 1880 il Canada accettò, dalla Gran Bretagna, di essere curatore ufficiale di tutto l'Arcipelago Artico. E così, quella che era stata l'avventura britannica, diventò canadese. I principali rivali sono sempre stati gli scandinavi. All'inizio la battaglia tra scandinavi e americani era più forte, escludendo i canadesi. Dopo la Seconda guerra mondiale, gli americani costruirono una catena di stazioni radar per scoprire missili, razzi e aerei sovietici. E i canadesi, per avere la sovranità nella zona, risposero in modo, definito da loro stessi inumano, spostando un villaggio di inuit dal Quebec all'Artico, con la motivazione che nella provincia francese morivano di fame. Così dal Quebec, gli inuit furono costretti a vivere a 1.500 chilometri dal Polo Nord. Ancora oggi gli inuit sono i principali componenti dei Rangers dell'Artico, un corpo speciale dell'armata canadese.
Interessi economici Usa
Ma nonostante ci siano in gioco diritti umani, ancora una volta - prevedono gli scienziati - saranno gli interessi economici a prevalere. In vista del prossimo vertice del 24 novembre a Reykjavik, in Islanda, gli Stati uniti stanno cercando di minimizzare i risultati dello studio e si prevede un loro veto contro l'adozione di misure per ridurre l'effetto serra.(E COSI' è STATO) . Tutti i membri del Consiglio dell'Artico hanno chiesto agli Usa di intraprendere «robuste» iniziative per ridurre gli effetti dei cambiamenti climatici al Nord e adattarsi a impatti inevitabili, come lo scongelamento su larga scala del permafrost (la porzione di terra dove la superficie terrestre non si scioglie mai completamente). Ma l'amministrazione Bush si è rifiutata di intraprendere qualsiasi azione governativa per ridurre il consumo di carburante fossile, affermando che questo danneggerebbe l'economia degli Stati uniti. Anzi, la Casa bianca ha rilanciato, affermando che non ci sono prove concrete che le attività umane abbiano contribuito a questo aumento senza precedenti nella temperatura media dell'emisfero nord negli ultimi 50 anni. L'innalzamento della temperatura, afferma qualcuno, potrebbe portare anche alcuni vantaggi, come la maggiore pescosità dei mari e la facilitazione nell'estrazione del petrolio e del gas naturale.
«Si agirà - ha commentato amaramente Pete Ewins, del World Wildlife Fund - solo quando nelle città del Sud (negli Usa, appunto, ndr) si dovrà fare i conti con un disastro o una tragedia che li tocchi in prima persona». Nel 2001, George W. Bush non ha siglato l'accordo di Kyoto per la salvaguardia ambientale, sostenendo che gli standard richiesti fossero ingiusti per i paesi industrializzati, che sono i maggiori produttori di materiali inquinanti.
Il passaggio a Nord Ovest
Ci sono altri fattori che sono causa di impedimento di un cambiamento di direzione della politica americana e di altre nazioni industrializzate. Uno è il passaggio del Nord-Ovest, che permette di accedere dallo Stretto di Bering a quello di Davis, cioè dal Pacifico all'Atlantico. Anche Cristoforo Colombo cercò di attraversarlo, senza successo, nel 1497. Il primo passaggio nella striscia fu effettuato dai norvegesi, nel 1906, da Roald Amunamundsen. All'epoca, solo navi speciali in grado di rompere il ghiaccio potevano effettuarlo. Oggi il passaggio è possibile, anche se ancora con difficoltà. Tra qualche anno, sarà molto più semplice. Anzi, intorno al 2050, non ci sarà più ghiaccio d'estate. Il passaggio taglierebbe di cinquemila miglia la distranza tra l'Asia e l'Europa. E il Canada potrebbe essere il guardiano di questo passaggio e potrebbe far pagare tasse, con un incremento economico molto significativo. L'apertura del passaggio a Nord Ovest sarebbe l'avvenimento più importante dell'industria della navigazione, dopo l'apertura del Canale di Panama, nel 1914. Anzi, potrebbe diventare anche più essenziale del canale di Panama, perché potrebbero accedervi i cosiddetti supertancher, navi che trasportano centinaia di migliaia di tonnellate di petrolio, che non possono passare attraverso Panama.
Anche la Cina e la Corea del Sud hanno interesse e programmi scientifici nell'Artico. Se i ghiacci si sciogliessero meno rapidamente - e l'accordo di Kyoto potrebbe aiutare in questa direzione - il Canada avrebbe più tempo per poter rivendicare la sovranità territoriale dell'area. Il ministro federale canadese dell'ambiente, Stéphane Dion, ha confermato che difenderà i risultati del rapporto. Ma nel paese stanno divampando le polemiche: nessuno in Canada saprebbe come limitare l'impatto del riscaldamento dell'Artico. I giornali lamentano che il governo di Nunavut, territorio canadese in parte autonomo, non ha una politica energetica chiara, e ha minima, o addirittura nessuna, capacità di svilupparne una e portarla avanti.
Il riscaldamento globale, afferma il Toronto Star, è in fondo un tema legato all'energia, alla combustione di petrolio, benzina e carbone, per riscaldare i palazzi, creare elettricità e far funzionare i motori delle macchine.
Canada impreparato
Il governo federale sarebbe altrettanto impreparato. Come hanno sottolineato alcuni esperti capitanati dall'inuit Tapiriit Kanatami, il Canada non ha un ufficio che controlli i cambiamenti climatici nazionali. Anzi, il paese, nonostante rivendichi la gestione di un terzo della regione artica, ha piuttosto uno scarso controllo su tutta l'area a nord. Sta anche perdendo peso negli studi scientifici sull'Artico. Le basi di ricerca nella zona sono state pian piano smantellate per mancanza di fondi. Il Canada è l'unico Paese dell'Artico che non ha un istituto scientifico di ricerca dedicato all'Artico. Negli ultimi anni, gli inuit si sono lamentati per lo scarso controllo che viene effettuato in generale nei confini al Nord, specialmente nei mari, che sarebbero pattugliati da sottomarini di vari paesi del mondo, senza ispezioni e verifiche sufficienti da parte del governo federale.
Gli inuit, 27.000 abitanti per circa 2 milioni di chilometri quadrati, finora sono stati i guardiani del Nord del Canada. Ma non hanno ricevuto per questo abbastanza gratitudine. Il Canada ha un dovere morale nei loro confronti, visto che gli inuit sarebbero i primi a pagare le conseguenze del disastro ambientale.
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Alex Foti, foreign rights editor Università Bocconi Editore/ Egea
Fonte: Renato Bossi (renato.gbh@libero.it)