Mondi orwelliani
Il movimento per la pace e i diritti umani ha richiesto l’adozione in passato di norme per la limitazione del commercio delle armi verso nazioni in guerra o che commettano gravi abusi verso i cittadini. La legge 185/90 è stata il frutto di questa nuova coscienza che, da sensibilità originariamente di pochi, è divenuta poi consapevolezza maggioritaria e, infine, norma giuridica. Per quanto le lobby delle armi abbiano ripetutamente chiesto e ottenuto modifiche della legge e della sua interpretazione, i principi ispiratori non sono stati spazzati via, anche grazie a una forte mobilitazione. Ma è bene avere consapevolezza che le tecnologie si sono evolute e che occorre andare oltre. Oggi le armi propriamente dette sono ormai solo la parte visibile di un commercio disumanizzante “invisibile” fatto di programmi e scatoline nere apparentemente innocue ma che controllano le comunicazioni radio, telefoniche e via internet. In mano ai dittatori queste cose sono più pericolose delle
Ad esempio in Office ’97 la rubrica dei “contatti” di Microsoft Outlook non consente la memorizzazione di indirizzi relativi a Iran, Iraq, Libia e Siria. Ma nell’elenco delle nazioni c’è la Cina.
Nelle versioni successive di Office questa limitazione sembra sia stata rimossa. Una “severa” limitazione verso Cuba era stata adottata anche per gli antivirus tanto che McAfee non poteva essere portato legalmente a L’Avana.
Quanto questa politica sia collegata alla difesa dei diritti umani è evidente da sé.
Controllo orwelliano
Ne accrescono il potere repressivo a dismisura. Consentono una militarizzazione totale per regimi dittatoriali e aggressivi, e in queste società soffocate da un controllo orwelliano milioni di cittadini oggi vengano schedati ogni giorno con tecnologie fornite da multinazionali americane, europee ecc. I messaggi e-mail che inviano e ricevono, le parole che digitano sui motori di ricerca, i siti che consultano, sono archiviati e posti sotto la lente d’ingrandimento di sistemi automatici capaci di spiare, rintracciare e allertare in tempo reale le forze di polizia. Sono sempre di più i cyberdissidenti che finiscono in carcere e vi muoiono. Chi usa internet può essere sospettato di “violazione della sicurezza dello Stato” in quanto è potenzialmente in grado di inviare all’estero segreti militari, segreti di Stato, segnalazioni di abusi, torture, uccisioni e arresti arbitrari.
Per chi si occupa di pace e diritti umani è il momento di fare un salto di qualità. Occorre richiedere ai governi che alcune tecnologie informatiche e telematiche siano considerate “armi” da non vendere ai regimi dittatoriali e aggressivi: nessuna cooperazione, nessuna complicità. Già da alcuni anni, Amnesty International ha cominciato a porre sotto accusa diverse multinazionali, tra cui Microsoft e Cisco. Ad esempio Yahoo e altri motori di ricerca sono accusati di essersi addomesticati ai voleri del governo cinese. Non basta il solo controllo di quella categoria delle armi che assumono la forma evidente del cannone o delle bombe. Occorre estendere il controllo ai sistemi “invisibili”. Internet e le tecnologie telematiche sono la frontiera in cui si combatte la lotta fra libertà e controllo repressivo.