Dossier
Ricordi Romero?
A cura di Francesco Comina e Alberto Conci
A venticinque anni di distanza il martirio di Oscar Romero, assassinato nella cappella dell’hospedalito di San Salvador il 24 marzo 1980, rimane attuale e provocatorio.
Prima di tutto perché la sua esistenza e la sua morte violenta lo collocano nella linea di coloro che sono stati perseguitati e uccisi per causa di giustizia; e i martiri e i testimoni rappresentano una forma di memoria che esercita una pressione critica mai sopita sul presente. Sono i martiri a farci sentire quanto “pericolosa” sia, direbbe Metz, la memoria del Vangelo di Gesù Cristo. Pericolosa perché la teologia dei martiri non è una teologia a buon mercato, adattata al buon senso del mondo, accattivante o intrisa di slogan, non è una teologia addomesticata che abbassa le esigenze della fede. Al contrario essa è paradossalmente una teologia ‘di conservazione’, che bada a non perdere l’essenziale, che non esprime nessuna pretesa se non quella di richiamare continuamente alla sequela e alla logica del Regno; ma è, se così si può dire, una ‘conservazione rivoluzionaria’, che intacca il presente e ne mette in rilievo l’insufficienza e, soprattutto, l’ingiustizia.
Ma non c’è solo questo. Quel martirio continua a provocare perché la teologia che scaturisce dal martirio è anche una teologia politica: come fu anche per Gesù, i martiri di ogni tempo non vengono uccisi a caso, ma perché la loro teo-logia, il loro parlare di Dio non lascia nulla al suo posto e richiama a una giustizia di Dio che sovverte, nel presente come nel futuro, i rapporti di forza che sostengono la politica e i rapporti di potere fra gli uomini.
Forse per questo continuiamo ad essere interpellati ancora oggi dalle parole e dal martirio di Romero: perché la teologia dei martiri è una teologia essenziale, che mette al centro la ‘parzialità’ di Dio “verso ciò che è debole in questo mondo, i poveri, i disprezzati, gli emarginati nelle più diverse forme, i peccatori, verso tutti coloro per i quali vivere è un carico pesante”. Una parzialità essenziale poiché, scriveva un altro martire del Salvador, padre Ignacio Ellacurìa, “senza conversione ai poveri, come luogo dove Dio si rivela e chiama, è impossibile accostarsi adeguatamente alla realtà viva di Dio e alla sua luce chiarificatrice, e senza la presenza e la grazia di Dio dataci dai poveri e attraverso di essi, non c’è possibilità piena di conversione”.
Sommario:
- MONS. ROMERO
La differenza fondamentale
Si identificò con i poveri. Fino a chiamarli per nome. Fino a condividere le loro ingiustizie. Mons. Romero fu ammazzato per questa scelta. Breve storia di una Chiesa incarnata. Come poche altre.
Ettore Masina - SALVADOR
Perché era mio padre
Sono passati venticinque anni. Dal giorno in cui monsignor Romero fu freddato mentre consacrava l’ostia dell’Eucarestia. Una lettera per dirgli cosa ha rappresentato per l’America latina. E come vanno le cose oggi.
Rodrigo Rivas - TEOLOGIA
Conservatore di sinistra
Arcivescovo della liberazione. Che partiva dalla condizione dei suoi contadini più che da una ideologia. Romero conservatore scomodo ancora oggi. Anche per la Chiesa. Intervista ad Alberto Vitali, uno dei maggiori esperti del vescovo salvadoregno.Francesco Comina - ANNIVERSARIO ROMERO
Senza spazio neutro
In Salvador e in America Latina si muore ancora. Come ai tempi di mons. Romero. Forse in modo più subdolo. Senza dittature militari. L’attualità di una fede che s’incarna fino al sacrificio di sé.Marcelo Barros
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