GLOBALIZZAZIONE

Crisi di governo mondiale

Terrorismo. Esclusione. Crisi ambientale. Nessuno dei principali problemi del mondo si può risolvere con la guerra. A meno di conseguenze catastrofiche. Occorre la politica. Una vera democrazia mondiale. La visione aperta del padre della perestroika, Mikhail Gorbaciov, in esclusiva.
Vanni Salvemini

Mikhail Gorbaciov. Forse di Mikhail Gorbaciov la presentazione è inutile. I più giovani lo studiano già sui libri di storia, quelli appena un po' più grandi lo ricorderanno come protagonista della svolta più importante della seconda metà del Novecento, l'unico vero grande mutamento politico globale avvenuto senza spargimento di sangue, l'unica rivoluzione senza vittime. Ma forse pochi sanno che Gorbaciov ancora oggi è innamorato del potenziale nonviolento della politica. Si batte perché la scarsità dell'acqua e di altre essenziali risorse naturali non diventi nuovamente causa di altre guerre. A questo fine osservatore della politica abbiamo chiesto di condividere con noi una fotografia dello stato di salute del pianeta.

Cosa resta di Beslan? Com'è cambiata la democrazia russa dopo il conflitto ceceno?
La guerra insensata cominciata nel 1994 da Boris Eltsin e dai suoi consiglieri ha portato conseguenze tragiche non solo ai ceceni e al Caucaso, ma a tutta la Russia. L'attuale establishment aveva assicurato la propria intenzione a sistemare la situazione e risolvere il problema. Si è cercato di “ripartire da zero” per ricostruire città e villaggi, rimettere in piedi uno sviluppo economico in quella repubblica e nelle confinanti. Ma oggi è evidente che l'auspicata normalizzazione non c'è stata. È stata dichiarata anche l'intenzione di una soluzione politica del problema. Ma quanto è stato fatto non è bastato per avviare un processo politico reale. La guerra continua, la gente muore ancora. Per gli eventi tragici di Beslan, molte cose non sono ancora chiare, la dinamica degli eventi non è stata rivelata. Non si è trattato di singoli errori, ma di un pesante fallimento dei servizi segreti russi. La catena del comando non ha funzionato, la situazione è sfuggita al controllo. Le conseguenze sono state catastrofiche. Fronteggiare il terrorismo a questo livello è inammissibile. Il dolore ferisce sempre. Ma è impossibile risolvere il problema combattendolo in un singolo Paese. Il terrorismo è un male globale. Per vincerlo bisogna essere uniti.

Una delle radici principali dei conflitti è divenuta la religione. Come si dovrebbero fronteggiare i fondamentalismi?
La temperatura politica del pianeta sta crescendo. Il processo di pace è stato spezzato e il rischio di un contagio, cioè di un'estensione delle operazioni belliche in corso, cresce di giorno in giorno. Ho ripetutamente sollevato l'allarme per la degenerazione della situazione internazionale. Occorre alzare il livello dell'azione politica internazionale collettiva verso l'organizzazione della pace, contro l'organizzazione della guerra. Non possiamo arrenderci di fronte alla complessità. Se ci guardiamo attorno con realismo vediamo che le tendenze più pericolose possono essere circoscritte e bloccate e che si può aprire la strada per processi inversi, positivi. Nessuno riuscirà in quest'impresa da solo. Seppure tardive, oggi in Medio Oriente sono in corso ricerche collettive di una soluzione di stabilizzazione, di proseguimento del processo di pace. nella soluzione concordata dei problemi. Il quadro che abbiamo di fronte richiede dunque una nuova visione politica e culturale per sfide colossali: primo, la sicurezza, la lotta al terrorismo; secondo, il superamento della povertà e dell'arretratezza; terzo, la minaccia ecologica globale. La lotta contro il terrorismo non può essere risolta in termini militari, questo dovrebbe essere chiaro a tutti, ma è certamente impossibile risolverla senza modificare le condizioni che producono il terrorismo e gli offrono il terreno di coltura e di sviluppo.

È evidente che la soluzione politica di problemi complessi richiede strategie, strumenti, mezzi. Ma a livello internazionale il quadro non è molto confortante. Le istituzioni del “governo globale” sono paralizzate e insufficienti…
Noi stiamo compromettendo gli equilibri naturali del pianeta e non vi sono organismi dotati dei poteri necessari per realizzare una governance democratica e consensuale dei processi, che difenda la collettività umana tenendo conto degli interessi nazionali e di quelli globali. Sia l'Europa che alcune agenzie dell'ONU sono latenti sotto questo punto di vista.
Dovremmo attrezzarci a costruire in fretta agenzie sovranazionali, cui delegare una parte della sovranità degli Stati, affinché possano prevedere, controllare, gestire, i temi critici dello sviluppo del pianeta. Bisogna agire. Per la pace serve l'ONU. Proprio l'ONU è chiamata a essere l'anello decisivo nell'organizzazione di azioni collettive di dimensione planetaria. Però, occorre cambiare l'atteggiamento nei suoi confronti, assicurarle sostegno e mettere mano a una sua riforma. Un nuovo atteggiamento è indispensabile anche nei confronti delle altre organizzazioni internazionali, come il Fondo Monetario Internazionale e l'Organizzazione Mondiale per il Commercio, e probabilmente si renderà necessaria la creazione di nuove strutture sovranazionali in grado di occuparsi dei maggiori problemi globali. Proposte in tal senso sono state avanzate ma, per ora, senza risultato. Nel mondo globalizzato di oggi si fa sentire, in modo abbastanza inquietante, la tendenza al regionalismo, che si esprime nella formazione di ampi raggruppamenti economici e politici di Stati, a volte anche di dimensioni transcontinentali.

Resta l'Europa, questa grande speranza di pace ancora incompiuta, non ancora in grado cioè di esercitare un ruolo attivo nei principali conflitti.
Il problema maggiore per l'Europa (dopo l'allargamento a 25) è “conservare” l'identità culturale dei singoli Paesi, cioè, salvaguardare l'immenso patrimonio rappresentato dalla varietà culturale dell'umanità. Questa varietà non rientra in alcun modo nel modello attuale di globalizzazione che tende invece alla standardizzazione o, per essere più precisi, all'unificazione dei modelli esistenziali, delle abitudini di consumo, delle esperienze culturali, insomma al livellamento delle condizioni di vita dei diversi popoli. Naturalmente, nessuno propone esplicitamente nulla del genere, ma la realtà stessa dà prova dell'esistenza di una tendenza in questo senso. La perdita di molteplicità culturale, la formazione di un modello universale di personalità per il momento non sono ancora realtà. Nel mondo, come in Europa, si sono già formate forze che in modi diversi spingono verso l'inizio di un'era di pace. I popoli e larghi strati dell'opinione pubblica in realtà desiderano ardentemente che la situazione migliori, vogliono imparare a collaborare. A volte colpisce persino quanto sia forte questa tendenza. Ed è importante che questi stati d'animo comincino a trasformarsi in politica. Sono convinto che i tempi che stiamo vivendo, le realtà del mondo contemporaneo impongano di puntare alla internazionalizzazione del dialogo e dei processi negoziali.

Ci sono poi i problemi dell'ambiente e delle risorse naturali. Lei da anni si sta occupando del cruciale, drammatico problema della scarsità dell'acqua che ora colpisce una parte significativa del pianeta ma domani investirà tutti. Qual è lo stato attuale del nostro pianeta?
L'acqua, come la religione e l'ideologia, ha il potere di muovere milioni di persone. Sin dalla nascita della civiltà umana, i popoli si sono trasferiti in prossimità dell'acqua. I popoli si spostano quando l'acqua è troppo scarsa e quando ce n'è troppa. I popoli viaggiano sull'acqua. I popoli scrivono, cantano, danzano e sognano l'acqua. Combattono per l'acqua e tutti, in ogni luogo e ogni giorno, ne hanno bisogno. Ne abbiamo bisogno per bere, per cucinare, per lavare, per l'agricoltura, per le industrie, per l'energia, per i trasporti, per i riti, per il divertimento, per la vita. E non siamo soltanto noi esseri umani ad averne bisogno: ogni forma di vita dipende dall'acqua per la propria sopravvivenza. Al centro del problema c'è il valore che attribuiamo ai diversi impieghi dell'acqua. Ancora una volta, non esiste un progetto valido a livello universale, ma è chiaro che non è auspicabile nessuna delle due posizioni estreme, l'una che sostiene che l'acqua deve essere gratuita per tutti e l'altra che spinge per la determinazione del prezzo in base al costo pieno per tutte le forniture idriche. Dobbiamo ricordare che il valore e il prezzo dell'acqua sono due cose assai differenti; è un elemento che deve essere usato in modo efficiente, ma deve essere disponibile per il sostentamento di tutti, compresi gli ecosistemi naturali. Questo rende la determinazione del prezzo dell'acqua una questione complessa.

È indubbio che in questi ultimi anni una concezione omologante della globalizzazione abbia ispirato le politiche dell'amministrazione Bush. I costi, per l'umanità, non sono stati solo le guerre ma anche lo stallo di diversi tentativi di dare alle istituzioni internazionali effettività. Il fatto è che il presidente Bush è stato rieletto…
È inevitabile ricordare all'attuale Presidente degli Stati Uniti la conclusione cui giunse un altro Presidente degli Stati Uniti, nell'ormai lontano 1963. Disse allora John Kennedy: “Se c'è qualcuno che pensa che il futuro del pianeta si chiamerà pax americana, allora è bene che ci ripensi, perché è un errore. O il mondo sarà di tutti, oppure non sopravvivrà”. Parole profetiche. Eppure negli ultimi tempi in America capita sempre più spesso di sentire cose del tutto opposte a quelle sagge parole: “Il XX secolo è stato il secolo americano? Ebbene anche il XXI secolo dovrà esserlo”. E per gli altri popoli e Paesi resterà posto? E i loro interessi, le loro aspirazioni, i loro piani, quelli per i loro figli e i loro nipoti, in che secolo dovranno realizzarsi? Di questo si rendono conto in molti, anche all'interno degli Stati Uniti. Molti capiscono che queste pretese sono semplicemente insopportabili. E allora, per dirla in breve, che cos'è che spinge l'attuale Amministrazione americana verso una tale direzione? Faccio fatica a respingere l'idea che le cause vadano cercate non in Iraq, ma nella difficile situazione di crisi in cui si trovano gli Stati Uniti d'America. Non intendo disegnare scenari apocalittici, ma non può non preoccuparci tutti, americani inclusi, una così grande frattura nel mondo, che può condurre alla rovina tutti gli istituti esistenti della cooperazione internazionale. Ma un mutamento di rotta non potrà avvenire se non comincerà negli stessi Stati Uniti una riflessione sul modello di sviluppo economico e sociale da essi scelto e se non ci sarà un grande sforzo per guardare al futuro con maggiore realismo. È necessaria una profonda perestrojka per gli Stati Uniti d'America.

Deficit di politica, dunque, incapacità di dare una risposta adeguata ai problemi globali di oggi. Forse manca un valore di riferimento su cui fondarla. Potremmo concludere provando a isolarlo…
Superare la grave crisi di politica è possibile, ma solo attraverso un nuovo modo di considerare il passato e il presente, che tenga conto delle amare lezioni di un tempo che scorre così velocemente. Per il momento, a giudicare dalle posizioni prevalenti nelle capitali mondiali, questo passo appare ancora impossibile. È necessario un serio cambiamento del pensiero politico, dell'approccio stesso alla politica, almeno un ritorno al noto principio del liberalismo “Vivi e lascia vivere”. È vero che spesso la politica odierna afferma di volere per gli “altri” migliori condizioni di vita. Ma in pratica questo si traduce, troppo spesso, nel tentativo di imporre agli “altri” modelli e approcci a loro estranei, nel tentativo di controllare, opprimere e, in ultima analisi, dominare. Altro che liberalismo!

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