ANNIVERSARIO ROMERO

Senza spazio neutro

In Salvador e in America Latina si muore ancora. Come ai tempi di mons. Romero. Forse in modo più subdolo. Senza dittature militari. L’attualità di una fede che s’incarna fino al sacrificio di sé.
Marcelo Barros

La celebrazione dei 25 anni del martirio dell’arcivescovo Oscar Romero raduna a El Salvador comunità ecclesiali di base, movimenti cristiani popolari, così come fratelli e sorelle legati alla Teologia della Liberazione. L’evento, che negli ambienti più importanti della Chiesa cattolica è poco valorizzato, propone a queste comunità, figlie ed eredi della missione di monsignor Romero, la responsabilità ancora più grande di ricordare il suo martirio e di riflettere sull’importanza della sua profezia per l’America Latina, per le nostre Chiese e per il mondo attuale.

Violenza più subdola
Le persone che parteciperanno alle cerimonie di ricordo per l’anniversario dalla morte di Romero a El Salvador troveranno un Paese in alcuni aspetti simile e in altri molto differente dal 1980. La prima cosa che noterà qualsiasi persona che viene da fuori è che la povertà del popolo non solo

Questa è la Chiesa che voglio. Una Chiesa che non conti suo privilegi e sui valori delle cose della terra, una Chiesa sempre più svincolata dalle cose terrene, umane, per poterle giudicare con maggiore libertà dalla propria prospettiva evangelica, dalla propria povertà.
Omelia 28/8/77
continua, ma si è aggravata. Tutti gli indici sociali rivelano che la concentrazione del reddito a El Salvador e in tutta l’America Latina è ancora più ingiusta e scandalosa che al tempo in cui Romero predicava dal pulpito “il vero peccato è l’ingiustizia sociale!”. Oggi la violenza urbana, la corruzione politica e l’ingiustizia istituzionalizzata sono presenti in tutti gli strati sociali. La violenza che uccise tante persone a El Salvador continua anche oggi con l’assassinio di poveri e indifesi. Non si tratta più di una repressione militare contro il tentativo di una rivoluzione socialista come era il “Frente Farabundo Martí” per la “Libertação Nacional” e i diversi gruppi di linea rivoluzionaria. La violenza si è polverizzata e si accende in un clima di confronto che oppone ricchi che ricercano sicurezze private ed emarginati che tentano di derubarli; gruppi di para-polizia che assassinano adolescenti e bambini di strada e la violenza generalizzata che ogni giorno accerchia la popolazione. Non significa che il passato era semplicemente migliore. Ogni tempo ha il proprio aspetto. Oggi le dittature militari non interessano più di tanto ai signori del capitale. Ma c’è una tirannia più efficiente e più difficile da abbattere. Viene dal dogma neoliberale che considera i poveri dei superflui.

Dichiarazione di morte presunta
Un altro elemento che non è cambiato, e negli ultimi anni per alcuni aspetti si è incancrenito, è l’orientamento teologico e la pastorale chiusa della Idolo Zemi dei Taìno, Roma, Museo Pigorini. gerarchia cattolica. In tutti gli Stati la solidarietà con gli oppressi continua a essere tema di discorsi episcopali e di documenti, oltre a essere agenda per organizzazioni cattoliche come la Caritas e la Commissione di Giustizia e Pace alle quali le conferenze episcopali e molti vescovi – non tutti – danno il loro apporto. Ma per la maggioranza dei casi la solidarietà è diventata un assunto generico come lo è nei discorsi dei governi e delle organizzazioni ufficiali dell’Onu. Ha smesso di essere impegno di vita quotidiana e cammino concreto di inserzione evangelica e di missione, come era per Romero, Proaño, Mendes Arceo, Hélder Câmara e fino a oggi per Tomas Balduino, Pedro Casaldaliga, Samuel Ruiz, Franco Masserdotti e per altri vescovi profeti latino-americani. L’impressione è che l’insieme della gerarchia cattolica sembra esser sempre più distante dalle attese del popolo. In varie occasioni prelati di alte responsabilità nella Chiesa hanno dichiarato con piacere che la teologia della liberazione è morta. Essi sanno che in quasi tutti gli Stati dell’America Latina continuano a esistere delle comunità ecclesiali di base, una pastorale indigena, afroamericana e di contadini, tutte animate dalla teologia della liberazione. Sanno che i teologi della liberazione continuano con eccellenti produzioni e che l’anno 2005 è incominciato con un Forum Mondiale della teologia della liberazione a Porto Alegre (dal 21 al 25 gennaio). Però continuano ad affermare: “La teologia della liberazione è morta”. Probabilmente stanno dicendo che essa è morta nel loro ambiente, che è anche una verità, giacché lì non ha avuto alcuna radice.

La giustizia è la nostra forza, la verità è ciò che rende grande la piccolezza dei nostri mezzi.
Omelia 8/10/78
Questa realtà rivela che il messaggio profetico di monsignor Romero non solo è attuale ma urgente per le società latino-americane e per le nostre Chiese. Continua nel dialogo con i diversi gruppi politici attuali come fece Dom Romero con quelli del suo tempo. Approfondisce l’inserimento nel mezzo della gioventù a lui così cara. Rielabora la relazione dei pastori con i mezzi di comunicazione sociale, ancora così poco trasparente, quando sappiamo l’importanza che Romero dava alla radio e alla relazione affettuosa che aveva con la stampa.

Un uomo che credeva in Dio
Pochi giorni dopo il martirio di monsignor Romero scrisse di lui il suo amico e teologo Jon Sobriño: “Anche se può apparire estremamente semplice o addirittura estraneo dire questo, Romero fu un uomo che ha creduto in Dio”. Oggi queste parole assumono una forza ancora più grande. Qualcuno fece riferimento a Giovanni XXIII come a un “cristiano nel Vaticano”. Senza fare allusioni al fatto che non sia normale che vescovi o papi credano in Dio, Sobriño riflette su quello che significa credere in Dio e sulle conseguenze di questa fede per un pastore come Romero. In un mondo nel quale perfino le banconote del dollaro usano il nome di Dio e governanti come Bush si pongono come protettori di popoli indifesi, secondo un mandato divino, è normale che persone benpensanti sentano più fortemente la tentazione dell’ateismo. Dio è diventato una parola vuota o una realtà astratta e lontana. Romero ebbe il coraggio di credere in Dio, distruggendo le immagini di Dio difese dai governi e dalle Chiese del potere. Per lui questo fu anzitutto un cammino di conversione personale, di ricerca e approfondimento interiore. Per Romero credere in Dio significò assumere radicalmente la causa di Dio, ossia quello che egli scopriva essere la volontà di Dio. La prima eredità forte di Romero per la nostra spiritualità ecumenica è questa: credere in Dio è aderire alla sua causa. Realizzare la sua volontà è difendere la vita di tutte le persone, di tutti gli esseri viventi. All’università di Lovanio (Belgio) dichiarò: “Essere a favore della vita o della morte: con immensa chiarezza vedo che in questo non esiste neutralità possibile. O serviamo alla vita o siamo complici della morte di molti esseri umani. Qui si rivela quale sia la nostra fede: o crediamo in un Dio della vita, o usiamo il nome di Dio servendo ai tormenti della morte”. Nella misura in cui vide la tragedia della repressione dei contadini, delle “sparizioni” di persone, di come i poveri erano indifesi, percepì che l’unica forma di credere in Dio era quella di mettersi in questa lotta pacifica in difesa della vita. Monsignor Romero fu in primo luogo difensore della vita. Lavorò per giuste strutture che rendessero possibile la vita per tutti i salvadoregni, contadini, operai e abitanti delle favelas. Diceva che l’estrema povertà dei contadini toccava il cuore di Dio. E che la negazione dell’essere umano è la strada per la negazione di Dio.

La profezia del martirio
Monsignor Romero è un martire che illumina il mondo intero. Non perché la sua morte sia stata peggiore o più crudele di tante che testimoniamo. Nemmeno egli è l’unico vescovo martire del cammino latino-americano. Solo per citare prelati cattolici prima di lui, Enrico Angelelli, vescovo di Riajain Argentina, difensore della causa dei poveri, fu assassinato nel 1976. Dopo di lui Juan Gerardi diede la sua vita per la giustizia in Guatemala (1998).

Beati i liberatori che pongono la propria forza non nelle armi, non nel sequestro, non nella violenza né nel denaro, ma che sanno che la liberazione deve venire da Dio: che sarà l’unione meravigliosa del potere liberatore di Dio e dello sforzo cristiano degli uomini.
Omelia 30/10/77
Quello che caratterizza Monsignor Romero è il fatto che fu assassinato un po’ alla volta. Era tanto evidente che operando come egli operava, sarebbe stato assassinato, che le persone più “giudiziose” della Chiesa e del mondo evitavano di frequentarlo per non morire assieme, come frequentemente avviene in questi casi. Lo stesso Monsignore aveva coscienza di questo e, da quando cominciò a ricevere minacce di morte, non accettò più di andare in macchina con altre persone. Non accettava passaggi e non aveva autista per non mettere in pericolo di vita nessuno, se non lui stesso. Per almeno due volte i tentativi di assassinarlo andarono a vuoto. Alla fine il lunedì 24 marzo 1980 ci riuscirono.

L’attualità del messaggio
Il nostro tempo è adesso e non vale la pena idealizzare il passato. Al contrario l’appello profetico è come dice il salmo 95: “Ascolta ora la parola di Dio e non chiudere il cuore”. Se ritornassero oggi alle loro diocesi e potessero dire qualcosa sulla Chiesa cattolica attuale profeti come Oscar Romero, Hélder Câmara, Sergio Mendes Arceo, Leônidas Proaño e altri, non si lamenterebbero solo per il fatto che noi oggi viviamo in una Chiesa nella quale non sarebbero accettati come vescovi. Oggi ci sono nuove sfide. Al tempo di monsignor Romero, non c’era ancora l’Aids che uccide milioni di persone in Africa e devasta vite in tutti gli Stati del Terzo Mondo. Cosa direbbe questo profeta? Sarebbe d’accordo con una posizione ecclesiastica che condanna i preservativi? O come diceva in una intervista il cardinal Arns: “Preferisco peccatori vivi, che peccatori morti”? E come si comporterebbe di fronte alla così detta globalizzazione economica? Parteciperebbe ai Forum sociali appoggiando la causa dell’altro-mondialismo arricchendola con una spiritualità ecumenica. Nel 1982 in una lettera al suo amico Jerônimo Podestá, vescovo argentino che si era sposato, Dom Hélder Câmara parlava del suo desiderio, quando avesse lasciato la sua diocesi, di dedicare il resto della sua vita per preparare un nuovo Concilio ecumenico che egli sognava per l’anno 2000 e nella linea di un secondo Concilio di Gerusalemme. Non ebbe la salute e la forza per fare questo. Intanto oggi vescovi che continuano la linea profetica di Romero e Hélder Câmara propongono un processo conciliare che aiuti la Chiesa a preparare un nuovo Concilio veramente ecumenico, un’assemblea di tutto il popolo di Dio e non solo di vescovi sul tema proposto dal Consiglio mondiale delle Chiese: “Pace, giustizia e difesa del creato”. Tale evento dipenderà da un lungo processo di preparazione nelle basi, dal dialogo e riflessione che, a cominciare dalle comunità, crei un clima conciliare.
Il 25° anniversario del martirio di monsignor Romero viene a coincidere, in questo 2005, con il giovedì santo. È proprio un forte segnale. Per molti aspetti il martirio di Romero assomiglia al martirio di Gesù Cristo, suo maestro. Dire questo non è idealizzare Romero. La stessa riflessione sulla passione di Gesù tenta di riscattare la realtà storica che sta dietro i rapporti teologici dei Vangeli. L’attualità della profezia di Romero è ricevere la grazia per comprometterci e dare la nostra vita per la causa per la quale Romero diede la sua, che è il seguire concretamente Gesù di Nazareth, testimone di Dio amore, fonte di vita per tutti.

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