Quest'Europa in armi
È ora di puntare seriamente lo sguardo sull’Unione Europea per quanto riguarda le armi. Ci siamo impegnati quest’anno contro la modifica della 185/90, la legge che controlla l’export bellico italiano: modifica richiesta dal governo Berlusconi proprio con il pretesto della ratifica del Trattato di Farnborourgh che prevede accordi militari tra sei nazioni dell’UE.
È chiaro che il complesso militare-industriale europeo andrà rafforzandosi e mostrando i muscoli. Proprio quando, per la prima volta dalla seconda guerra mondiale, l’Europa non si è schierata con gli USA e l’Inghilterra nella guerra in Iraq.
È ora in atto una grossa pressione sull’UE perché si armi fino ai denti per poter controbilanciare lo strapotere militare americano (così come avveniva nella guerra fredda). Potremmo presto vedere una nuova spirale di investimenti militari. È uno scenario che fa paura, soprattutto se si tiene conto che la pace non è tra i principi su cui si fonda l’ispirazione della politica estera dell’Unione Europea, e il ripudio della guerra non è stato preso in considerazione nella stesura della nuova costituzione, nella quale ciò che si vuol salvaguardare sono invece “gli interessi fondamentali dell’Unione”. Ed è chiaro come la pace, non venendo prima di questi, possa venir interrotta da missioni militari che sono contemplate per “assistenza militare, prevenzione dei conflitti e mantenimento della pace, combattimento nella gestione di crisi, stabilizzazione al termine dei conflitti, lotta contro il terrorismo anche sul territorio di Stati terzi”. Tutto ciò suona in grande sintonia con la nuova dottrina Bush.
Inoltre per l’UE un’Agenzia europea per gli armamenti servirebbe a potenziare le capacità militari degli Stati e il bilancio dell’Unione, oltre a un fondo costituito da contributi degli Stati membri, dovrebbe contemplare e sostenere il riarmo e gli interventi previsti. Teniamo presente che in tutto questo il Parlamento Europeo ha solo una preminente funzione consultiva mentre è il consiglio che ha il potere decisionale.
Per questo ritengo importante il lancio della campagna europea “Addio alle armi” proprio per iniziare a pesare di più a Bruxelles. Queste le possibili finalità espresse dal comitato che si era battuto contro le modifiche alla 185/90:
controllo della spesa militare e del commercio delle armi;
controllo del rispetto dei vincoli all’esportazione di armamenti;
rifinanziamento di fondi per progetti di riconversione (l. 185/90) o altri, come lo sminamento;
facilitare il lancio di campagne su obiettivi politici specifici e importanti.
A questo però si aggiunga il problema della Nato. “La sola esistenza della Nato – come scrive il prof. A. Baracca nel dossier – implica un’ipoteca pesantissima che vanificherebbe la migliore costituzione europea, per gli aspetti della difesa, ma vuole della democrazia effettiva e della libertà”.
La Nato è nata per difenderci dai Paesi comunisti. Ora che non ci sono più a che cosa serve? Ritengo che come sono spariti i Paesi comunisti dovrebbe svanire anche la Nato. Tra l’altro la Nato è diventata qualcosa d’altro dal trattato istitutivo dell’alleanza, attraverso una serie di accordi rimasti segreti, mai sottoposti ai parlamenti e che hanno per i governi nazionali – dice Baracca – una cogenza più forte delle rispettive norme costituzionali.
Ma ancora più grave è che la finalità stessa della Nato (che era difensiva) è stata cambiata nel vertice della Nato a Washington (1999) ad essere Alleanza offensiva: strumento per difendere gli interessi vitali americani ed europei ovunque siano minacciati.
Ancora più grave è che quest’anno nel vertice di Praga la Nato ha sposato la strategia dell’attacco preventivo già sperimentata dagli Stati Uniti nella guerra contro l’Iraq. Tutto questo non è mai stato discusso in nessun Parlamento nazionale né da parte dei cittadini. Quello che rende la situazione Nato ancora più grave è la pressione sui Paesi dell’est europeo perché entrino a far parte del trattato, rinnovando il proprio armamentario sui modelli occidentali.
Altra corsa alle armi, altri investimenti in armi!
E in tutto questo, il silenzio delle Chiese d’Europa. Che amarezza.