EDITORIALE

Tonino Bello: profezia di pace per la chiesa

Alex Zanotelli

È un numero speciale, questo di Mosaico di pace. Interamente dedicato a don Tonino Bello, nel decimo anniversario della sua morte. Che cade proprio in questi tempi cupi, di guerra e di morte. Quando don Tonino assunse una posizione molto chiara sulla prima guerra all’Iraq (in sintonia con le posizioni del papa), si trovò ben lontano dalle dichiarazioni della conferenza episcopale italiana e della segreteria di stato vaticana.
Non era solo la condanna alla guerra contro l’Iraq che disturbava, ma soprattutto la scelta della nonviolenza attiva come opzione fondamentale cristiana. “Oggi, dopo il lampo di Hiroshima, non è più possibile difendersi con la guerra” scriveva Tonino sul Manifesto (6 febbraio 1992). Da quel tragico fungo nucleare è finita l’epoca della guerra giusta. Nulla può più essere come prima. Ogni guerra è divenuta iniqua.
La difesa armata, perciò, risponde a una logica preatomica che tutto può partorire fuorché pace e giustizia. Una posizione chiara e inequivocabile. Ma altrettanto chiara l’alternativa che egli indicava: la difesa nonviolenta che non è un tenero sentimento per novizie, ma una scienza articolata e complessa che si avvale di grandi maestri, trovando in Gandhi il suo principale assertore moderno.
E Tonino aveva ben chiaro il legame della nonviolenza attiva con Gesù. Lo scriveva nella Lettera aperta ai parlamentari italiani (16 gennaio 1991): “Come cristiani poi, ci sentiamo in dovere di ricordare, senza operazioni di sconto, che uccidere è sempre un gesto immorale e contrario al Vangelo. (…) Risparmiateci, vi preghiamo, la sofferta decisione, quella ‘extrema ratio’ di dover esortare direttamente i soldati, nel caso deprecabile di guerra, a riconsiderare secondo la propria coscienza la gravità morale dell’uso delle armi che essi hanno in pugno”. Queste sono scelte dirompenti con la tradizione cattolica!
E dobbiamo dire che la chiesa in generale è ancora lontana dall’aver assunto la profezia della pace di Tonino Bello (il catechismo della chiesa cattolica insegna ancora la guerra giusta!). Oggi il papa, certo, si è schierato contro la seconda guerra all’Iraq. Però il papa e la Santa Sede non sono arrivati alla scelta della nonviolenza attiva come c’era arrivato Tonino Bello.
E invece penso che in questo momento gravissimo per l’umanità non ci rimanga che tradurre nella storia, come ha fatto don Tonino, la profezia di pace di Gesù di Nazareth. Sulle orme di Gesù dobbiamo avere il coraggio di dire con il papa “Mai, mai, mai la guerra”. Di scegliere fra il Bene (la pace) e il Male (la guerra) e non fra l’Impero del Bene (l’America) e quello del Male (l’Iraq). Di assumere il movimento per la pace come un frutto dello spirito, così come aveva fatto Tonino a suo tempo.
Davvero, come ha detto Giovanni Paolo II, “la guerra come strumento di risoluzione delle contese fra gli Stati è stata ripudiata, prima ancora che dalla Carta delle Nazioni Unite, dalla coscienza di gran parte dell’umanità, fatta salva la liceità della difesa contro un aggressore. Il movimento contemporaneo a favore della pace traduce queste convinzioni di uomini di ogni continente e di ogni cultura”.
Il papa ha colto così bene il sensus fidelium, il sentire della chiesa. Ma questo richiede altri due passi decisivi: la scelta della nonviolenza attiva e la proclamazione che essa è intrinseca al Vangelo, cioè è intimamente connessa alla vita e all’insegnamento di Gesù di Nazareth. Occorre allora una nuova cultura di pace che deve essere impartita con il latte materno e con la prima catechesi.
Ma servono anche precise scelte se la chiesa vuole essere coerente con questa profezia di pace. Primo: un no secco non solo all’uso, ma anche al possesso delle armi atomiche. Dovremo arrivare a dire “o Dio o la Bomba”. E poi il disarmo a tutti i livelli, con chiare opzioni morali per i soldati nell’esercito, per i parlamentari chiamati a votare sulla guerra, per la presenza dei cappellani militari.
È un lungo cammino, ma si tratta ormai di vita o di morte per tutti. Consapevoli sempre della nostra debolezza come la sperimenta Tonino Bello di ritorno il 15 dicembre 1992 dal suo viaggio a Sarajevo: “Poi rimango solo, e sento per la prima volta una gran voglia di piangere. Tenerezza, rimorso o percezione del poco che si è potuto seminare o della lunga strada che rimane da compiere? Attecchirà davvero la semente della nonviolenza? Sarà davvero questa la strategia di domani?”.

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