In piedi costruttori di pace
un impegno da sviluppare
Alcuni giorni prima di morire don Tonino aveva incontrato Giuliana Bonino, che per tanti anni era stata segretaria prima e vicepresidente poi di Pax Christi. Fu un incontro toccante perché don Tonino le aveva presentato un’unica richiesta: “Rimarrò sempre iscritto a Pax Christi, non cancellatemi mai”. Un’affermazione ingenua, singolare forse, ma sicuramente significativa. Una richiesta che dice del legame che si era creato nel tempo tra il vescovo e il movimento cattolico per la pace di cui era stato chiamato a essere presidente per otto anni. “Un incontro avvenuto quasi per caso – racconta mons. Bettazzi, che pure l’aveva conosciuto negli anni di studi a Bologna – e su indicazione di un altro vescovo pugliese, mons. Papa, che aveva intuito le sensibilità di don Tonino” e lo segnalava all’allora presidente di Pax Christi come suo possibile successore.
Una sintonia profonda
Ma qual è stato il segreto di questa sintonia? Quali fattori hanno fatto in modo che quel prete di provincia schivo e quasi timido, si trasformasse nel profeta della pace che in tanti hanno conosciuto e stimato? E ancora, quale eredità, quali consegne, quali provocazioni e intuizioni ha lasciato al movimento e a tutti coloro che vogliono impegnarsi a percorrere “i sentieri di Isaia”? Sarebbe fin troppo semplice per noi frugare tra le parole scritte da don Tonino e oggi pubblicate in tante edizioni. Potremmo anche rivedere in flashback le azioni di pace che ha posto in atto e avere ancora modo di riflettere.
Abbiamo scelto di raccogliere qualche opinione e testimonianza di persone che lo hanno frequentato proprio sul terreno comune della passione per la pace e di altri che al contrario non lo hanno conosciuto personalmente ma continuano a vivere la stessa tensione etica, dentro o fuori da Pax Christi, e a trarre ispirazione da lui per le proprie scelte. Oggi non ci resta la consegna di ripetere quanto don Tonino ha già compiuto, semmai abbiamo il compito di sottoporre a cultura intensiva le sue intuizioni, di consentire alla profezia di giungere a maturazione, di provocare il nuovo che quel vescovo ci ha fatto intravedere all’orizzonte.
Una teologia dal basso
Don Fabio Corazzina è un giovane sacerdote bresciano che fu tra i 500 che con don Tonino condivisero l’Azione di pace a Sarajevo nel dicembre 1992. È lui a porre in evidenza come “la sua intuizione originale di fondo sta nell’aver recuperato la visione evangelica della pace”, nell’avergli dato spessore e respiro alla luce del Vaticano II e della Pacem in terris, che rischiavano altrimenti di essere archiviati come documenti interessanti ma senza alcuna concretizzazione storica.
D’altra parte bisogna riconoscere che quell’appello che Giovanni XXIII rivolgeva per la prima volta anche “agli uomini di buona volontà” sdoganando la pace da visioni esclusive e ponendola come valore di confluenza di differenti percorsi ideali e culturali, don Tonino l’ha proposta in modo fecondo anche in Pax Christi, contribuendo ad aprire il movimento alla compagnia di quanti operano per la pace. “Ci ha insegnato a mescolarsi con gli altri”, prosegue Corazzina, “Non soltanto a vivere la pace come convivialità delle differenze ma anche a praticare la convivialità della pace”.
In questo senso don Tonino “ci ha testimoniato che non dobbiamo mai sottrarci al dialogo, al contrario dobbiamo cercarlo mantenendo sempre viva la capacità di stupore verso l’altro, il nuovo, l’ultimo arrivato, il diverso”. Un insegnamento che vale per il movimento cattolico internazionale per la pace, ma che può a buona ragione essere proposto all’intera comunità cristiana “che deve imparare ogni giorno a non rinchiudersi in se stessa e a osare la pace (altra espressione felice di don Tonino) vincendo le paure e le prudenze per vivere coraggiosamente il Vangelo della pace che le è stato consegnato”, conclude don Fabio. Insomma, a partire dalla pace, quel vescovo di provincia riesce a ridefinire il volto di una chiesa che è capace di parlare di Dio attraverso il volto dell’uomo.
Una teologia dal basso, come si dice, che non parte dai dogmi ma dal dolore, dalle gioie, dalle speranze del mondo. In questo sicuramente ci è dato di respirare una visione tipica di don Tonino, che dei profeti ha vissuto lo stile e il coraggio. L’annuncio della pace in lui non è stato mai assuefazione al quieto vivere, un “lasciare indisturbato il manovratore” o “registrazione notarile della situazione”. Al contrario, l’annuncio si è sempre accompagnato a una chiara e coerente azione di denuncia, che riusciva a rispettare tutti pur chiamando con nome e cognome l’ingiustizia.
I giorni di Sarajevo
Anche don Albino Bizzotto che, con l’Associazione Beati i costruttori di pace, fu l’animatore dell’Azione di pace a Sarajevo dal 7 al 12 dicembre 1992, pone in particolare evidenza “il legame stretto che in don Tonino prendeva corpo nella ‘pace del volto del vicino’ e in quella dell’umanità”. Nella riflessione e nell’azione di don Tonino l’attenzione all’emarginazione e ai volti degli stessi emarginati è intimamente collegata alle sofferenze di tutta l’umanità e alle strutture che le producono.
Don Albino ricorda bene i giorni che precedettero la partenza per Sarajevo e la preoccupazione che accompagnava la partecipazione di don Tonino alla luce delle sue gravissime condizioni di salute. “A un certo punto capii che consentirgli la partecipazione all’Azione era il regalo più grande che potessi fargli” dice don Albino e prosegue: “Quella presenza a Sarajevo fu come un grande altare su cui si offriva. E a me veniva di considerare che se la guerra è il cancro della storia e dell’umanità, lui l’ha voluto guardare dall’interno del suo stesso tumore, della sua stessa sofferenza”.
Del linguaggio di don Tonino parla Ettore Masina che, da giornalista anche televisivo, se ne intende: “Don Tonino riusciva a comunicare con un linguaggio sorprendente anche intuizioni altamente mistiche”, afferma Masina. “Si pensi all’immagine della Chiesa del grembiule: un’immagine efficace, immediata, diretta che noi comunicatori di mestiere invidiamo dall’alto delle competenze acquisite con la formazione e l’esperienza. In lui invece questo avveniva in modo assolutamente spontaneo e naturale. Quel modo di esprimersi dava esattamente il senso della semplicità di cuore, di una castità del cuore. Ecco, io penso – conclude Masina – che quello doveva essere il linguaggio di Gesù e che il turbine di riflessioni che scatena in me l’ascolto o la lettura di don Tonino, doveva essere lo stesso di coloro che ascoltavano Gesù”. Il discorso sul linguaggio non è cosa altra dalla riflessione sulla pace. Le parole di don Tonino si sposavano al contenuto della comunicazione e non ne erano semplicemente il veicolo. Le sue provocazioni, presentate con quelle parole, non ti davano pace, nel senso che non ti lasciavano la coscienza tranquilla e ti spingevano a proseguire nell’impegno a non scoraggiarti, a dare la vita. “Così come don Tonino stesso aveva inteso fare con quella incredibile Via Crucis luminosa verso Sarajevo sulle strade della guerra”, conclude Masina.
Un profeta attuale
Don Alberto Vitali è l’attuale coordinatore dei Punti Pace (gruppi locali) di Pax Christi nel nord Italia e scorge un tratto essenziale che emerge dalle riflessioni e dalle azioni di don Tonino: “Ha dato piena dignità teologica alla riflessione cristiana sulla pace ancorandola saldamente e fondandola nel Mistero della Trinità. Comportamento etico e pensiero teologico traggono ispirazione e modello dalla comunione tra Padre, Figlio e Spirito Santo. Ma è incredibile – prosegue don Alberto – constatare quanto in don Tonino tutto questo si trasformi in azione concreta e spinga le chiese a prendere posizione come avvenne in occasione della proposta di trasferire i temibili aerei da combattimento F16 nella base di Gioia del Colle (Bari). Il vescovo di Molfetta riuscì a coalizzare tutti i pastori della Metropolia barese in un documento di aperta denuncia di quel tentativo di pesante militarizzazione del territorio pugliese: Puglia arca di pace e non arco di guerra”.
Nei giorni in cui la temperie della minaccia di guerra contro l’Iraq si è fatta più pressante, qualcuno è rimasto positivamente sorpreso nel vedere Papa e vescovi così caparbiamente determinati nell’annuncio di una pace che non poteva cedere alle argomentazioni ipocrite della guerra. In molti casi si è fatto riferimento esplicito ad alcuni testi in cui don Tonino ribadiva le ragioni della nonviolenza e alzava la voce contro la facile scorciatoia della guerra intrapresa nel gennaio 1991. “I testi di don Tonino Bello sono diventati testi di riferimento per tanti – dice don Alberto – e incoraggiano i passi a volte stanchi o rassegnati di tanti operatori di pace. In essi ritroviamo le radici spirituali del nostro impegno e l’antidoto a certo buon senso che ci porterebbe ad accettare il preteso realismo della violenza. È una provocazione e una sfida continua per le nostre comunità oltre che per le nostre coscienze”.
Pace e servizio
Quello del coraggio e dell’abbandono di certe sicurezze, del far prevalere l’osare piuttosto che le prudenze… viene indicata da tanti come un tratto originale di don Tonino in riferimento alla comunità cristiana. In questo senso anche la stessa diocesi di Molfetta si trasformò ben presto in una sorta di grande laboratorio in cui si progettava e realizzava la pace intesa come giustizia e non come mera assenza di guerre. Prendono corpo una serie di iniziative per l’accoglienza degli stranieri e per l’accompagnamento dei tossicodipendenti, per i senza casa e per le nuove povertà sui cui piedi la chiesa del grembiule è chiamata dal suo Signore a chinarsi.
Nelle stesse parole di don Tonino il filo conduttore di queste scelte coraggiose è la pace da annunciare “tramite l’acqua della brocca del servizio”. Inteso in questo senso, il servizio non è mai degenerato nell’assistenza e ha sempre teso alla liberazione delle persone, la pace non è mai scivolata verso l’acquiescenza ma si è sempre fatta denuncia aperta, il confronto con la propria coscienza è divenuto metodo per debellare ogni tentazione verso l’incoerenza e, Dio non voglia, verso l’ipocrisia.
In quel pullulare di esperienze la casa editrice la meridiana occupa un posto di primissimo piano: si trattava di versare l’acqua della cultura e della riflessione critica, di aiutare a crescere e non soltanto a sopravvivere. Elvira Zaccagnino, oggi presidente della cooperativa che gestisce la casa editrice, nel periodo dell’espiscopato di don Tonino era giovane animatrice di attività pastorali e convinta aderente di Pax Christi: “Se vado con la memoria allo stile che ha contraddistinto l’impegno di don Tonino per la pace – dice – rimango ancora fortemente impressionata dalla sua attenzione a contestualizzare nel tempo e nel territorio quell’anelito a un mondo migliore che era nel suo cuore. Essere riuscito a coniugare cronaca e storia, locale e mondiale… è uno dei doni con cui ha impreziosito anche il nostro impegno anticipando molti temi del dibattito sulla globalizzazione”.
Il riferimento è al servizio alle città della diocesi e agli ultimi che le abitavano che non sono riusciti a distrarlo dalla riflessione più ampia sui mali del mondo e sulle speranze dell’umanità, al contrario hanno reso ancora più autentico quell’impegno e gli hanno dato concretezza. “Così come mi pare che un’altra intuizione originale di don Tonino – prosegue Elvira – stia nell’aver indicato al movimento sui sentieri di Isaia una pace da vivere, ricercare e costruire nel dialogo e non nella contrapposizione, una pace con e mai una pace contro”. Infatti è difficile riuscire a trovare in don Tonino espressioni che sminuiscono chi sta su posizioni differenti dalle sue o che ironizzino sulle idee altrui. Naturalmente questo non ha mai segnato il benché minimo cedimento sulla verità del Vangelo della pace o sui percorsi della nonviolenza.
Il rispetto, nel linguaggio e nell’atteggiamento, era riservato a tutti nessuno escluso fino all’esercizio, che in don Tonino era continuo, di porsi nei panni dell’altro, capirne le ragioni dall’interno dell’altrui esperienza sul modello dell’antico proverbio indiano: prima di giudicare l’altro, fai sette miglia nei suoi sandali.
L'ONU dei popoli
Un testamento impegnativo quello che don Tonino ci lascia anche perché accompagnato dall’incomprensione. Chi poteva immaginare e comprendere quali significati potevano assumere certe intuizioni come l’ONU dei popoli?
Si trattava di prefigurare un impegno per la pace diffuso e contagioso, visibile e impegnativo; ebbene “le bandiere che sventolano da tanti balconi oggi danno ragione di quella previsione – dice Elvira Zaccagnino – e sembrano indicare una strada dalla quale non si può più prescindere: se pure saranno in pochi a sedere attorno ai tavoli in cui si assumono le decisioni per la pace o per la guerra, non potranno non tenere conto di quell’ONU popolare che non si tira indietro dal manifestare la propria opinione e dall’avanzare proposte per un futuro di pace per tutto il pianeta”. Sembra di riascoltare l’invito lanciato all’Arena di Verona e rivolto agli operatori di pace: In piedi costruttori di pace!
Attualissimo, esigente, invocato dalla storia e dalle vittime della violenza. Insomma, anche nel futuro dovremo confrontarci con la testimonianza di don Tonino Bello per rendere politicamente efficace l’azione che affonda le radici nella spiritualità del Vangelo della pace e provoca le chiese, le donne e gli uomini di buona volontà ad assumere la nonviolenza come motore di una storia nuova.