Quei segni dei tempi rovesciati
a confronto con la Pacem in terris.
Raniero La Valle, giornalista, politico e teologo cattolico, è un protagonista della cultura italiana di questi ultimi quarant’anni. Nel 1963, anno della pubblicazione dell’enciclica “Pacem in terris”, dirigeva il maggior quotidiano cattolico italiano, “L’Avvenire d’Italia”, e seguiva giorno per giorno i lavori del Concilio Vaticano II (raccolse i suoi scritti nei volumi Coraggio del Concilio, Fedeltà del Concilio e Il Concilio nelle nostre mani). Ha vissuto con intensa partecipazione e profonda lettura di fede tutta la storia successiva, impegnandosi pure come parlamentare nella Sinistra Indipendente. Il tema della pace è stato centrale nella sua azione e riflessione, come nei suoi scritti. Tra questi c’è un commento all’enciclica Pacem in terris, pubblicato nelle Edizioni Cultura della Pace di P. Ernesto Balducci (Pacem in terris, l’enciclica della liberazione, Fiesole, 1987). Lo incontriamo nella sua casa romana.
Oggi, a quaranta anni dall’enciclica e a sedi ci anni di distanza dalla pubblicazione del tuo libro, come valuti i “segni dei tempi” indicati profeticamente da Papa Giovanni?
Quando Papa Giovanni scriveva l’enciclica, viveva in un momento della storia del Novecento che gli permetteva di rilevare una straordinaria consonanza tra la sua concezione religiosa del rapporto tra gli uomini, derivata dalla Parola di Dio, e quello che gli uomini cercavano faticosamente di fare. Papa Giovanni aveva la sua idea tratta dalla rivelazione, dal Vangelo, dalla sua preghiera, dalla sua ascesi, di come dovessero andare le cose del mondo, di come la pace dovesse e potesse stabilirsi sulla terra: con lo sguardo illuminato dall’ottimismo e dalla fiducia guardava alla storia e trovava dentro la storia dei segnali, che ha chiamato evangelicamente “segni dei tempi”, dai quali risultava che gli uomini anche autonomamente, anche attraverso le loro fatiche, le loro dottrine, le loro ricerche e le loro lotte si avvicinavano in qualche modo a quel modello, a quell’ideale, a quel progetto.
Era una grande congiuntura nella quale si univano la visione profetica di un Papa e nello stesso tempo un corso della storia umana che in quel momento sembrava stesse volgendo verso un’acquisizione di valori che sono certo valori laici, giuridici, politici, ma che hanno ugualmente, come Papa Giovanni rilevava, una loro verità nel piano di Dio e quindi un loro significato cristiano.
Tra questi “segni dei tempi” indicava prima di tutto il segno della pace…
Non solo, diceva, la pace è necessaria ed è possibile, ma gli uomini la vogliono ed è coscienza comune che con la guerra non si risolva nessun problema e non si possa ristabilire nessun diritto e fare nessuna giustizia. Questo è il significato della sua frase “alienum est a ratione bellum aptum esse ad violata iura sarcienda” (n. 67; è noto come sia stato tradito nella traduzione italiana pubblicata dall’Osservatore Romano che recitava: “Riesce quasi impossibile pensare che la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia” ). Papa Giovanni non disse “alienum a revelatione”. Disse: “è fuori dalla ragione”.
Gli uomini non pensano più quello che hanno sempre pensato, cioè che la guerra sia atta a risarcire i diritti violati. Queste dottrine, che pure hanno avuto una grandissima forza e dignità anche sul piano della riflessione teologica da Agostino a Tommaso a Francisco da Vitoria, e che sono state pensate come ragionevoli e razionali, oggi non sono più ragionevoli. Non è un Papa che con la sua infallibilità dice: quello che vi abbiamo detto ieri non è più vero: Ma, dice Papa Giovanni, sono gli uomini che le hanno abrogate, non vi credono più, non sono più vere, non corrispondono più alla ragione. Non era solo un punto di dottrina, era un segno dei tempi.
E quali erano gli altri che indicava?
Altro segno dei tempi era la crescita in dignità e in forza politica dei lavoratori; e poi la presa di coscienza della dignità della donna: non era solo la parità, non era solo l’emancipazione nel senso politico; era il fatto che si sanava la frattura tra le due parti del cielo e dell’umanità, nel segno della dignità, non solo nel senso del diritto. L’altro grande segno era la liberazione dei popoli che venivano dal colonialismo, dal dominio, dall’oppressione. Non era il fatto che qualcuno li aveva liberati, era il fatto che si stavano liberando, che stavano anche loro realizzando la loro dignità.
La parola “dignità” è la più ricorrente nell’enciclica, più di settanta volte, se mi ricordo bene; è la parola chiave di tutta l’enciclica. E poi c’erano altri grandi segni: l’affermarsi del costituzionalismo, anche nella forma delle Costituzioni come carte dei diritti e dei doveri; il rinnovamento del diritto
internazionale come portatore di valori universali; la costituzione dell’ONU e quindi la realizzazione graduale di una grande comunità democratica della nazioni. Erano i segni che si stava realizzando, seppure a fatica, quello che lui diceva essere l’ordine voluto da Dio, e cioè che la pace è fondata sulla verità, sulla giustizia, sulla libertà e sull’amore.
Ti sembra che questo “ordine” si stia ancora realizzando?
È drammatico ma vedo che tutti quei segni sono rovesciati. È rovesciato quello della pace. La guerra è teorizzata, è rivendicata, dichiarata come perpetua, come infinita, legata addirittura a una promessa che nessun uomo dovrebbe permettersi di fare perché riservata alla misericordia di Dio, cioè di liberare il mondo dal male. Bush ha dichiarato il 14 settembre del 2001 nella giornata di preghiera e di commemorazione delle vittime degli attentati terroristici, parlando dal pulpito della cattedrale nazionale episcopaliana di Washington, che l’America è buona e cara, “ma se provocata sa diventare feroce”. Allora annunciò la guerra, questa guerra che adesso è in corso e che avrà il suo prossimo episodio in Iraq, dicendo che sarebbe stata una guerra per “liberare il mondo dal male”, ovvero dal diavolo.
Il segno della pace è oggi completamente rovesciato non solo perché c’è la guerra: le guerre ci sono state anche nel tempo di Papa Giovanni; ma mentre prima la guerra era comunque considerata un dramma, un disvalore, un illecito giuridico, adesso è considerata come la struttura portante del nuovo ordine mondiale. Quindi rivendicata, propagandata, esaltata, santificata. Quando uno dice che una guerra è umanitaria, e che libera il mondo dalla minaccia del male, la santifica. È un segno rovesciato non solo perché i politici dicono questo, ma perché le opinioni pubbliche sono ormai completamente dominate da questa predicazione e non hanno la capacità e la forza di reagire; certo ci sono le minoranze che resistono, ma esse non riescono ad avere un’efficacia di contrasto politico.
Altri segni dei tempi “rovesciati”: quali sono secondo te?
Quello del lavoro. Altro che ascesa dei lavoratori! Qui si è fatto di tutto per distruggere il lavoro. Non è la classe dei lavoratori che è in gioco, è lo stesso lavoro umano. Non si vuole più il lavoro umano, perché il lavoro umano non è più assunto come un “valore”, è un costo, il più alto tra i costi di produzione; e perché i lavoratori scioperano, perché le lavoratrici vanno in maternità.. Al centro dell’attuale ordine economico è la distruzione del lavoro. Il lavoro non solo non è considerato, come lo concepiva la Costituzione italiana, il fondamento della convivenza sociale e politica; ma anzi tutto lo sforzo degli ultimi decenni è stato quello di eliminare quanto più lavoro è possibile, di trasferirlo alle macchine, di sostituirlo con l’automazione.
Ci sono riusciti. Il lavoro è ormai in crisi in tutto il mondo. L’altro segno clamorosamente rovesciato è quello della dignità delle donne. Qualche grado in più di parità l’hanno raggiunto. Possono perfino fare il soldato. Le americane hanno rivendicato il diritto di andare anche nei posti di combattimento e non solamente nelle retrovie. Sul piano della parità e quindi dell’omologazione della donna all’uomo, sul piano del fare si è andati avanti, però il discorso della dignità è finito. Il pensiero delle donne è di nuovo negato. Della donna si può fare a meno – e le ricerche vanno in questo senso – perfino nel ciclo della riproduzione. Non sarà più di tutti gli esseri umani essere “nati da donna”. La clonazione non è la sola tecnica in cantiere a questo fine.
E sul fronte delle relazioni internazionali?
La liberazione dei popoli, poi, non è più un argomento all’ordine del giorno. Oggi è il tempo dell’impero. La struttura politica del mondo è oggi basata su un unico dominio. Papa Giovanni disse una cosa molto forte: “Mai più popoli dominatori e popoli dominati!”. Lo diceva in un momento nel quale si andava realizzando il sogno nato nel 1945 con la fondazione dell’ONU. Cominciò allora l’epoca della dissoluzione degli imperi, prima di tutto l’impero britannico, poi quello francese, poi quello portoghese. La decolonizzazione era un processo generale. E perciò si poteva porre l’accento sui diritti umani universali, indipendentemente dalla cittadinanza, dalla nascita, dalla razza, dalla condizione sociale. È tutto un sistema coerente: se non c’è dominio, non ci sono popoli soggetti e allora non ci sono uomini soggetti e non c’è il potere degli uni sugli altri ma c’è la regola del diritto, la signoria del diritto. Secondo la legge tutti sono uguali.
Oggi invece siamo di nuovo alla volontà politica e nel processo politico della costruzione di un impero, ma questa volta di dimensioni globali. Lo si sta costruendo dall’ ‘89, da quando è finita la contrapposizione tra i blocchi. C’è stata una lunga preparazione perché l’opinione pubblica lo accettasse. Prima, dal ‘91 al ‘99, è stata trasformata la Nato in un nuovo sovrano incaricato di gestire la sicurezza e la pace in tutto il mondo. Poi, dopo che anche la Nato è diventata un intralcio, gli Stati Uniti sono passati all’unilateralismo e alla dottrina di un solo impero, il loro. Adesso la guerra all’Iraq è la prima guerra di questo impero. L’altro rovesciamento è rappresentato dall’attacco portato alle Costituzioni, e perfino alle conquiste più alte della civiltà giuridica, sia da noi, in Italia, che negli Stati Uniti.
L’altro grande rovesciamento riguarda il segno stesso dell’ONU. Anche per Paolo VI, come per Papa Giovanni, l’ONU aveva un’importanza fondamentale, tanto che all’inizio del pontificato volle recarsi a New York all’Assemblea delle Nazioni Unite, dove pronunciò quel discorso bellissimo: “Mai più la guerra!”. Oggi l’ONU è il nemico da abbattere perché rappresenta quell’idea alternativa di un mondo senza dominio, rappresenta nella maggioranza dei suoi membri quel mondo che deve essere tenuto soggetto ed è essa stessa un ostacolo alla strategia dell’impero.
L’orizzonte è quindi molto fosco, ma non si vedono anche segni di speranza?
La situazione è molto più grave di quaranta anni fa. Papa Giovanni aveva il grande vantaggio di poter dire le parole della fede e nello stesso tempo di poter guardare al mondo con gioia ritrovando quelle parole nella realtà stessa del mondo che costruiva la sua storia. Oggi noi possiamo dire soltanto le parole della fede, ma non possiamo dire che c’è un mondo che per conto suo arranca nella stessa direzione, almeno ciò non accade a livello dell’assetto politico e istituzionale. Dobbiamo però ricordare anche le parole dette da Papa Giovanni l’11 ottobre 1962 in apertura del Concilio Vaticano II, “contro i ‘profeti di sventura’ che annunziano eventi sempre infausti, quasi che incombesse la fine del mondo.
Nel presente momento storico, la Provvidenza ci sta conducendo a un nuovo ordine di rapporti umani, che, per opera degli uomini e per lo più al di là della loro stessa aspettative, si volgono verso il compimento di disegni superiori e inattesi; e tutto, anche le umane avversità, dispone per il maggior bene della Chiesa” (n.41). Il rovesciamento dei “segni dei tempi” non è del tutto consumato. Il mondo non è ancora spezzato. I segni del tempo non sono univoci nell’annunciare tempesta. Le risorse non sono esaurite. E tra queste risorse c’è quella di tutti gli uomini e le donne di buona volontà che non hanno abbandonato il progetto di quell’altro mondo possibile che era cominciato a nascere nel travaglio della storia. Basterà solo un esempio.
A Firenze, nel novembre scorso, al famoso raduno europeo convocato dalle minoranze attive pacifiste e no-global, si è presentato un popolo intero, oltre ogni aspettativa, e con un fervore, un comportamento e un corredo di proposte e parole che dimostravano come la vera convocazione, la vera chiamata a cui quel popolo aveva risposto era quella della pace. Sicchè in quelle straordinarie giornate di Firenze si è reso manifesto come il segno dei tempi avvistato quarant’anni fa da Papa Giovanni non fosse affatto tramontato, anche se esso non è più così sfolgorante e così univoco come era percepito nell’enciclica ed è spesso contraddetto da altri segni che sembrano avere ben altra forza e visibilità. Perciò possiamo sperare.
Ma il modo di sperare è precisamente di riattivare, far crescere, e far rifulgere sul mondo quei segni dei tempi che tocca a noi, uomini del tempo, porre in essere, così che domani un altro Papa possa accorgersene e additarli come conferma dell’ordine voluto da Dio e come ragione di speranza per tutti.