ARMI

L'atomica nel piatto

Il rischio di guerra nucleare è molto più concreto oggi
che durante la Guerra Fredda.
Angelo Baracca

I Trattati START hanno effettivamente ridotto la consistenza quantitativa degli arsenali nucleari strategici americano e russo a circa un decimo (5.000-6.000 testate) rispetto ai massimi del passato, ma mentre Mosca non potrà mantenere più di 1.000-1.500 testate efficienti (e il suo sistema di satelliti di allarme è decrepito e parzialmente cieco), Washington sta rinnovando completamente le proprie testate. Si va da un mega-progetto di super-computers per simulare i test nucleari, su cui lavora anche la Gran Bretagna, allo sviluppo della futuristica “nanotecnologia”, che consente di controllare insiemi di pochi atomi, con un salto di un fattore 1.000 rispetto alla “microtecnologia”, che controlla insiemi di migliaia di atomi: guarda un po’ a cosa servono le rivoluzioni tecnologiche e il progresso della scienza?

Altri strumenti di morte
Allo stesso tempo gli USA hanno letteralmente affossato la Convenzione sulle Armi Batteriologiche del 1972, bocciando la bozza di Protocollo sulle Ispezioni faticosamente messo a punto nel 2001 a Ginevra, e rifiutano anche le ispezioni per le verifiche della Convenzione sulle Armi Chimiche del 1997, rendendola così inoperante: non possono tollerare controlli alle proprie industrie chimiche e biotecnologiche!
Essi si considerano sempre al di sopra di qualsiasi norma, che sono invece pronti a pretendere, anche pretestuosamente, da chiunque altro. Intanto sono impegnati a sviluppare in gran segreto nuovi aggressivi chimici e batteriologici (le famose “lettere all’antrace” dopo l’11 settembre riconducevano a laboratori statunitensi), sotto il pretesto di sperimentarli a scopi difensivi. Vanno di gran moda gli aggressivi “non letali”, di cui ha fatto bella mostra Putin per… liberare gli ostaggi: ma vi sono forti indizi che Washington abbia usato (per lo meno) aggressivi allucinogeni nella Guerra del Golfo del 1991 (ma non dimentichiamo i defolianti e il famigerato “agente orange” usati in Vietnam), mentre sostiene apertamente che l’uso di aggressivi incapacitanti per controllare prigionieri di guerra o disordini civili non viola la Convenzione (del resto a Genova nel luglio 2001 la polizia italiana esplose contro la folla 6.200 proiettili lacrimogeni caricati con una sostanza detta CS, che è un effettivo aggressivo chimico).
E sono state messe a punto tecniche capaci di modificare le condizioni meteorologiche, generando uragani, inondazioni o siccità, cioè distruzioni indiscriminate, a fini militari.

Le nuove bombe nucleari
Nel marzo del 2002 Bush Jr. ha autorizzato la realizzazione di “mini-testate” nucleari penetranti, per distruggere rifugi sotterranei rinforzati. Ma la proposta era sul tappeto da vari anni: è molto probabile che i grandi Laboratori Militari ci stessero lavorando alacremente (in barba a una legge che vietava lo sviluppo di testate di potenza inferiore a 5 chilotoni).
Per quanto riguarda tutte le tipologie di armi di distruzione di massa non vi è dubbio che gli Stati Uniti stanno alacremente sviluppando tecnologie nuove, che ne consentano l’uso senza violare (formalmente) i trattati esistenti, cancellando la distinzione fondamentale rispetto alle armi convenzionali (anche perché queste, a loro volta, diventano sempre più terribili, e si sovrappongono agli effetti delle prime): questo solleva tremendi interrogativi, perché gli effetti distruttivi si riverseranno sull’umanità intera completamente ignara.
Del resto, ciò è già avvenuto, con i proiettili a uranio depleto, o con i bombardamenti delle industrie chimiche di Pancevo e Novy Sad, che hanno rovesciato nell’ambiente tonnellate di sostanze simili agli aggressivi chimici, e stanno provocando sulle popolazioni effetti analoghi (ma non dimentichiamo Seveso nel lontano 1976, e poi Bhopal, veri “crimini di pace”). Le “mini-testate” nucleari sollevano interrogativi inquietanti, coperti dal silenzio della stampa e della comunità scientifica.
Una bomba nucleare a fissione richiede infatti una “massa critica” di uranio o di plutonio (non nota ufficialmente, dipendente dalla tecnica usata, ma probabilmente non inferiore al kg), e non può quindi avere una potenza esplosiva minore di un certo minimo; una bomba termonucleare, che utilizza la fissione di nuclei leggeri, deve d’altronde essere innescata da una bomba a fissione per generare la temperatura necessaria.
Sembra quindi legittimo sospettare che, per realizzare le annunciate “minitestate”, o addirittura “microesplosioni” (da meno di una tonnellata a decine di tonnellate di esplosivo equivalente, a fronte dei kt, migliaia di tonnellate, delle testate attuali) utilizzando la “nanotecnologia”, i grandi Laboratori Militari abbiano già messo a punto qualche processo fisico di tipo nuovo, che non rientra nella fisica nucleare standard: naturalmente tutto sarebbe rigidamente classified e qualsiasi supposizione sulla sua natura sarebbe azzardata.
La “comuni tà scientifica” è pronta a negare qualsiasi cosa non rientri nelle conoscenze scientifiche ufficiali assodate, per difendere la propria autorità e il proprio potere: ma la ricerca militare è molto più spregiudicata. Ma allora, perché non dovrebbero queste micro-esplosioni essere già state realizzate, e utilizzate nelle guerre dell’ultimo decennio?

Una guerra già in atto?
Gli effetti disastrosi dei proiettili a uranio depleto sembrano innegabili, anche se gli organi d’informazione li coprono accuratamente: ma è plausibile che effetti così drammatici (la maggioranza dei veterani americani e britannici e la loro prole affetti dalla “Sindrome del Golfo”, anche se hanno influito anche altri agenti) siano dovuti semplicemente alla radioattività sprigionata dall’uranio nell’ambiente? Vi sono anche testimonianze dirette, pur se messe ai margini dagli organi di informazione e dagli ambienti politici, che i carri armati colpiti dai proiettili a uranio depleto non siano semplicemente perforati, ma rimangano profondamente deformati, e intensamente radioattivi.
Viene da chiedersi se l’esplosione dell’uranio depleto, nella configurazione dei proiettili, non inneschi in realtà qualche processo nucleare di tipo nuovo, molto più micidiale di un’esplosione chimica e della radioattività naturale dell’uranio: la guerra nucleare sarebbe già in atto! Del resto, perché gli Stati Uniti non hanno utilizzato i proiettili a uranio depleto prima del crollo dell’Unione Sovietica (che possedeva anch’essa questa tecnologia, ma vigeva ancora il regime della dissuasione reciproca)?
Insomma, probabilmente non è necessario aspettare di vedere il “fungo” atomico, o i corpi sfigurati per preoccuparsi dell’uso di testate nucleari o di aggressivi chimici o batteriologici: il dubbio atroce che dovrebbe cominciare a togliere il sonno anche agli scettici e agli indifferenti – è che il confine tra guerra convenzionale e metodi di distruzione indiscriminata e di massa sia già stato oltrepassato in modo più efficace e senza tanto clamore; cioè che siano già stati messi a punto e utilizzati nell’ultimo decennio esplosivi e aggressivi segreti di tipo nuovo, i cui effetti mortiferi si producono in modi meno vistosi, ma non per questo meno micidiali.
La comunità internazionale copre pervicacemente la “Sindrome del Golfo” (ma anche “dei Balcani” e con ogni probabilità “dell’Afganistan”) e il tragico aggravamento delle condizioni di salute e di vita delle popolazioni colpite dalle “guerre umanitarie”. È una complicità che non convince.
D’altra parte il movimento pacifista corre il rischio di battersi su obiettivi superati dai fatti. Comunque sia, è ormai la guerra di per sé a essere di distruzione indiscriminata e di massa!

Note

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