Un partner per la pace
che si terrà a Lisbona il 4 e 5 aprile 2003.
Agire per lo sviluppo o per la pace è prima di tutto cercare di garantire dei mezzi di sussistenza per l’essere umano. Non c’è pace senza giustizia sociale né garanzia dei mezzi di sussistenza. Purtroppo, i conflitti armati annullano spesso il risultato di diversi anni di azione di sviluppo. La disuguaglianza delle possibilità nella vita si manifesta sotto diverse forme di povertà che danno luogo a conflitti. Queste forme di povertà contengono una forza sociale esplosiva che minaccia la pace nell’intero continente africano.
Pace e conflitti
Le principali fonti di conflitto sono sempre più conosciute e riconosciute: più il Paese è povero, conosce una distribuzione diseguale delle ricchezze e dei poteri, disprezza i diritti umani, manca di istituzioni politiche e giuridiche che permettano di gestire i cambiamenti in maniera pacifica, più il rischio di conflitto violento è elevato. Noi militiamo a favore di una cultura di pace e di prevenzione dei conflitti, salutiamo le decisioni relative prese dall’Unione Europea e la esortiamo ad applicare tali decisioni al più presto. Se, sul piano internazionale, i cammini intrapresi per porre fine ai conflitti passano prima di tutto per conferenze di pace, embarghi, la riconciliazione attraverso tribunali di guerra, ecc., continuiamo a credere che misure di lotta contro i fattori portatori di conflitto (la privazione, l’oppressione e l’instabilità) meritano altrettanta attenzione.
Una congiuntura economica, politica e sociale positiva crea le condizioni di una pace, di una sanità e di una sicurezza durevoli, diminuendo al tempo stesso il rischio di un’escalation del conflitto. L’Africa dispone di numerose risorse, come petrolio, minerali, pietre preziose e foreste secolari. In diversi Paesi il commercio di queste risorse attizza spesso violenti conflitti. Le rendite così generate contribuiscono a mantenere in pace dei governi autocrati e dei signori della guerra che regnano con la coercizione e il favoritismo e si esimano da qualsiasi legittimità popolare. Un recente studio della Banca Mondiale mostra che i Paesi in Via di Sviluppo, che mancano di risorse, ostentano tassi di crescita del PIL più deboli e sono meno inclini ai conflitti degli altri Paesi in Via di Sviluppo.
Per mutare questa ricchezza naturale in fattore di pace, occorre segnatamente vigilare perché la contabilità e la trasparenza siano al fondo dei negoziati condotti dalle imprese internazionali che operano nel settore estrattivo. Le popolazioni
disporranno così di uno strumento che permetterà loro di chiedere conto ai propri governi sul modo in cui spendono gli introiti derivanti dallo sfruttamento delle risorse. Incitando i governi a rendere conto delle pratiche commerciali aperte, contribuiranno anche a restaurare un bisogno di legittimità popolare.
Raccomandazioni
Occorrerà creare un quadro legalmente vincolante, fornito di sanzioni per le imprese che contribuiscono ai conflitti. L’UE dovrà emanare e applicare delle norme internazionali per la trasparenza e il governo delle imprese. Dovrà istituire un tavolo incaricato di vigilare perché le imprese, che sono riuscite a ottenere un mercato pubblico comunitario, rispettino tali norme.
I dirigenti europei e africani dovranno promulgare delle leggi che obbligano le società, le loro filiali nazionali e i loro partners commerciali a rendere pubblici tutti i versamenti effettuati tutti i governi, attori non statali e altre entità.
I dirigenti europei e africani dovranno promulgare delle leggi che obbligano le società, le loro filiali nazionali e i loro partners commerciali a rendere pubblici le imposte nette, le commissioni, i diritti di licenza e altri versamenti effettuati a governi nazionali e attori non statali.
Accesso alle risorse
L’acqua
Il progressivo venir meno di risorse naturali quali l’acqua e la terra sarà sempre più spesso all’origine di futuri conflitti. I conflitti locali e regionali saranno superati da liti aventi per oggetto i diversi usi controversi dell’acqua: acqua potabile, acqua per usi industriali o commerciali, acqua per l’irrigazione nel settore agricolo, acqua per la sopravvivenza del bestiame o come fattore ecologico indispensabile alla protezione degli ecosistemi. L’espansione demografica dell’Africa fa allo stesso modo esplodere i bisogni di acqua potabile.
Sempre più, l’aumento della domande e le gravi penurie di acqua esigono la messa a punto di sistemi di gestione integrata delle risorse acquifere, tenendo conto dell’utilizzazione dell’acqua nei diversi settori. È in quest’ottica che investitori privati e società transnazionali si stabiliscono in numerosi Paesi africani. Una tale “privatizzazione” dell’acqua rischia tuttavia di mettere in pericolo la sovranità degli Stati; una gestione privata dell’acqua rischia inoltre di marginalizzare i poveri di condurre a una segregazione sociale. Questa necessità si comprende ancor meglio alla luce del Summit mondiale sullo sviluppo sociale, che ha riconosciuto l’acqua di pubblica utilità e ha indicato che la privatizzazione non può in alcun caso sbarrare l’accesso all’acqua di proprietà di ciascuno.
La terra
L’accesso alla terra è un elemento essenziale del diritto a dei mezzi di esistenza garantiti per tutti. La terra assicura la sopravvivenza nelle zone rurali e urbane. Tuttavia, l’uso tradizionale, i moderni interessi, il diritto dell’individuo e le rivendicazioni collettive concorrono all’emergere di conflitti sull’uso della terra. La terra diventa sempre più oggetto di controversie, quando l’urbanizzazione galoppante richiede che se ne regolamenti il suo uso.
L’ingiustizia che caratterizza oggi lo stato della proprietà fondiaria in molti Paesi africani costituisce un freno allo sviluppo e dunque un’eventuale fonte di conflitto. Occorre con urgenza trovare un processo integrato che tratti non solamente la questione della riforma agraria con mezzi legali, ma che garantisca anche un’utilizzazione durevole della terra.
Raccomandazioni
I governi africani dovrebbero liberarsi dai loro obblighi di fornitura d’acqua potabile a un prezzo abbordabile, per e in accordo con la società civile. governi africani dovrebbero introdurre delle riforme agrarie che garantiscono un accesso legale alla terra, in particolare per le donne e altri gruppi svantaggiati come i piccoli coltivatori.
I governi africani dovrebbero vigilare perché i conflitti relativi alle acque interne trovino una soluzione sul piano regionale e locale, in accordo con la società civile. Ogni privatizzazione dovrebbe essere regolamentata in maniera che l’accesso all’acqua potabile sia garantito per i gruppi svantaggiati, tanto nelle zone urbane quanto in quelle rurali, e a un prezzo abbordabile per tutti.
Armi leggere
Gli ultimi anni hanno visto dei cammini promettenti delinearsi sul piano internazionale, sia a livello dell’UE sia a livello di istanze multilaterali africane, per lottare contro la proliferazione delle armi leggere. Il fatto che queste armi continuino a proliferare malgrado tutto mostra che questi percorsi non sono stati sufficienti. Numerose armi leggere, abbandonate dagli eserciti regolari, continuano a conoscere una seconda, ovvero una terza vita nei conflitti armati nel mondo.
Questo dimostra che le armi leggere illegali non lo sono all’origine: più dell’80% del commercio di armi è, almeno all’origine, perfettamente legale. L’Africa manca di mezzi tecnici per seguire la traccia del percorso delle armi, il che permette a delle armi leggere di divenire illegali dall’oggi al domani. La proliferazione delle armi è ugualmente favorita da un altro fenomeno: l’insediamento di fabbriche di armi in Africa da parte di società occidentali per aggirare la legislazione e i controlli comunitari e internazionali.
Ogni giorno, dei civili dell’Europa e dell’Africa risentono della mancanza di controllo effettivo sui trasferimenti di armi. La costante proliferazione di armi leggere continua ad attizzare le guerre e i conflitti interni e a trasformare delle liti tra villaggi vicini a proposito di terreni e di bestiame in spirali di violenza atroce.
Pur riconoscendo che ogni bandito non è una vittima, pensiamo che la povertà stimoli direttamente o indirettamente la domanda di armi leggere per sfuggire alla situazione di privazione che queste genti conoscono perché il loro governo non ha saputo fornire risposta adeguata ai loro problemi socioeconomici.
Raccomandazioni
Il Codice di condotta sulle esportazioni di armi (CCEA) dovrebbe diventare un testo vincolante per gli Stati membri dell’UE e i Paesi candidati all’adesione. Dovrebbe esservi aggiunto un nono criterio, che interdica le esportazioni destinate a Paesi che non dichiarano né le loro importazioni né le loro esportazioni al registro internazionale delle Nazioni Unite. L’UE e i suoi Stati membri dovrebbero aprire negoziati su una convenzione internazionale in materia di mediazione. L’UE e i suoi Stati membri dovrebbero aiutare gli Stati e gli organismi africani a raggiungere i loro obiettivi in materia di lotta contro la proliferazione delle armi leggere, accordando un’attenzione tutta particolare alla riforma del settore della sicurezza.
I governi africani dovrebbero assumere la propria responsabilità, quella di assicurare la sicurezza di tutti i loro concittadini, in maniera da evitare che i civili
L’AFRICA IN PIEDI
La via stretta della società civile
promosso da: Agesci, Beati i costruttori di pace, Campagna Sudan, Chiama l’Africa, Cipsi, Centro Volontari Marchigiani, Conferenza Istituti Missionari in Italia, Dehoniani, Emmaus Italia, Nessun Luogo e lontano, Operazione Colomba, Pax Christi. Università di Ancona, Centro Missionario Diocesano di Ancona, Comunità africane della Regione Marche.
Per informazioni:
tel. 06/7811144
fax 06/7802672
email: convegno@chiamafrica.it
http://www.chiamafrica.it
Prevenzione dei conflitti
“Meglio prevenire che curare” recita l’adagio. Ora, le istituzioni dell’UE privilegiano troppo spesso una gestione della crisi a svantaggio di una prevenzione a lungo termine dei conflitti. In altre parole, le risorse che servono a gestire la crisi non sono più disponibili per prevenire i conflitti. L’UE stessa è stata istituita per prevenire i conflitti e impedire lo scoppio di nuove guerre in Europa occidentale. Oggi, è altrettanto doveroso quanto interesse stesso dell’UE contribuire a prevenire i conflitti e a promuovere la stabilità in altre parti del globo.
Ci rallegriamo perché la prevenzione dei conflitti è un obiettivo riconosciuto della sua politica estera e della sicurezza comune (PESC). Speriamo che in questo modo, tutte le attività esterne dell’UE siano coerenti e in linea con tale obiettivo e riconosciamo che degli sforzi sono stati fatti al fine di integrare la prevenzione dei conflitti nell’azione di sviluppo. Perché questa prevenzione dei conflitti sia efficace, conviene coinvolgervi le ONG; esse sono infatti in grado di fornire delle informazioni precise sulla situazione locale. Queste strutture devono assicurare una ripartizione efficace delle risorse a quelle e quelli che soffrono maggiormente per i conflitti.
Raccomandazioni
Occorrerebbe istituire delle unità di crisi e prendere delle misure dal momento in cui gli indicatori di conflitto e i sistemi d’allerta preventiva lasciano supporre che un Paese o una regione rischia d’incendiarsi. L’UE e gli attori governativi dell’Unione africana dovrebbero organizzare delle riunioni semestrali di allerta preventiva con la società civile al fine di definire le zone prioritarie di prevenzione dei conflitti.
L’UE dovrebbe reagire ai segnali d’allarme preventiva inviati dalle istanze competenti, compresi gli organi della società civile. L’UE e i suoi Stati membri dovrebbero assicurarsi che le misure di sradicamento della povertà siano valutate alla luce di criteri di trasformazione dei conflitti, per integrare gli orientamenti di pace in tutte le fasi della cooperazione UE-Africa.
Note
Il testo integrale del documento è disponibile sul sito http://www.cidse.org in inglese, francese e tedesco.Traduzione a cura della redazione.