MUSICA
Come cantava il '68
La canzone beat che pose le basi della rivoluzione sessantottina
Vincenzo Dell'Olio
1968. L’anno del cambiamento. Quello per cui 35 anni dopo c’è gente che con aria fiera dice: “io c’ero”. Non in un luogo o a un avvenimento, ma nello spirito,
Dio è morto - di F. Guccini
Ho visto la gente della mia età andare via
lungo le strade che non portano
mai a
niente
cercare il sogno che conduce alla pazzia
nella ricerca di qualcosa che non trovano
nel mondo che hanno già
lungo le notti che dal vino son bagnate
dentro alle stanze da pastiglie trasformate
lungo le nuvole di fumo
di un mondo fatto di città
essere contro ed ingoiare
la vostra stanca civiltà
È un dio che è morto
ai bordi delle strade, Dio è morto
nelle auto prese a rate, Dio è morto
nei miti dell’estate, Dio è morto
Mi han detto che questa mia generazione
ormai non crede
in ciò che spesso
ha mascherato con la fede
dei miti eterni della patria e dell’eroe
perché e venuto ormai
il momento di negare
tutto ciò che è falsità
le fedi fatte di abitudini e paure
una politica che è solo far carriera
perbenismo interessato
la dignità fatta di vuoto, l’ipocrisia
di che sta sempre con la ragione
e mai col torto
È un dio che è morto
nei campi di sterminio, Dio è morto
coi miti della razza, Dio è morto
con gli odi di partito, Dio è morto
Ma penso
che questa mia generazione è preparata
un mondo nuovo
e ad una speranza appena nata
ad un futuro che ha già in mano
una rivolta senza armi
perché noi tutti ormai sappiamo
che se Dio muore
per tre giorni poi risorge
In ciò che noi crediamo, Dio è risorto
In ciò che noi vogliamo, Dio è risorto
Nel mondo che faremo, Dio è risorto
Dio è risorto, Dio è risorto, Dio è risorto,
Dio è risorto.
lungo le strade che non portano
mai a
niente
cercare il sogno che conduce alla pazzia
nella ricerca di qualcosa che non trovano
nel mondo che hanno già
lungo le notti che dal vino son bagnate
dentro alle stanze da pastiglie trasformate
lungo le nuvole di fumo
di un mondo fatto di città
essere contro ed ingoiare
la vostra stanca civiltà
È un dio che è morto
ai bordi delle strade, Dio è morto
nelle auto prese a rate, Dio è morto
nei miti dell’estate, Dio è morto
Mi han detto che questa mia generazione
ormai non crede
in ciò che spesso
ha mascherato con la fede
dei miti eterni della patria e dell’eroe
perché e venuto ormai
il momento di negare
tutto ciò che è falsità
le fedi fatte di abitudini e paure
una politica che è solo far carriera
perbenismo interessato
la dignità fatta di vuoto, l’ipocrisia
di che sta sempre con la ragione
e mai col torto
È un dio che è morto
nei campi di sterminio, Dio è morto
coi miti della razza, Dio è morto
con gli odi di partito, Dio è morto
Ma penso
che questa mia generazione è preparata
un mondo nuovo
e ad una speranza appena nata
ad un futuro che ha già in mano
una rivolta senza armi
perché noi tutti ormai sappiamo
che se Dio muore
per tre giorni poi risorge
In ciò che noi crediamo, Dio è risorto
In ciò che noi vogliamo, Dio è risorto
Nel mondo che faremo, Dio è risorto
Dio è risorto, Dio è risorto, Dio è risorto,
Dio è risorto.
L’ostacolo più grande venne dalla Rai, la cui censura si scagliò contro il testo eccessivamente esplicito, che citava la guerra in Vietnam, che proprio in quegli anni stava scrivendo alcune fra le pagine più sanguinose della storia contemporanea. Le idee e le atmosfere evocate, tipiche della gioventù dell’epoca, contribuirono a un successo senza precedenti per una canzone di questo tipo e soprattutto senza confini, dato che fu ripresa dalla celebre Joan Baez che la consacrò quale inno alla pace.
L’anno successivo fu un ispiratissimo Francesco Guccini a scrivere, o forse sarebbe più giusto dire, a scolpire Dio è morto, una canzone che basta, da sola, a parlare dei nuovi ideali. La vita sospesa on the road alla ricerca del proprio equilibrio e dell’utopica convivenza globale, l’Urlo di Ginsberg e il mondo di Kerouac, la folla solitaria, come la definisce il sociologo americano Riesman, tutto in un mosaico di parole e musica concitate che si accompagnano fino alla laica, resurrezione finale. Il brano fu portato al successo dai Nomadi, ma non senza incappare nella sempre attiva censura della Rai che, frettolosamente, ne considerò offensivo il testo. La riprova del bigottismo dei detrattori di allora fu la sua diffusione da parte di Radio Vaticana, che invece l’apprezzò per i suoi contenuti come pure fece papa Paolo VI.
In quegli anni oltre al conflitto e alla morale, anche il ruolo femminile fu sconvolto. Caterina Caselli nel ‘66 con Perdono e Nessuno mi può giudicare portò alla ribalta il rinvigorito temperamento e l’emancipazione del suo sesso. Concetto ribadito da Patty Pravo che ancor più stravolgente, per i suoi testi “particolari” e per le movenze provocatorie delle sue interpretazioni, venne etichettata come trasgressiva.
In molti casi però la ribellione diventò moda. Mettete dei fiori nei vostri cannoni era nel ‘67 “la proposta” dei Giganti , un’idea, a dire il vero, non originale perché ripresa dal diffuso slogan pacifista del tempo, ma utile all’amplificazione nazionale del concetto e soprattutto al successo sanremese del brano. Nello stesso anno il vento della protesta trasportò anche Mogol che scrisse per Gianni Pettenati e Gene Pitney La rivoluzione, l’ennesima canzone della cosiddetta linea fintohippy.
Lontano dai sensi banali fu, invece, Luigi Tenco. Se essi ci diranno, La mia isola, Io vorrei essere la e Ciao amore, ciao, a seguito della cui eliminazione a Sanremo il cantautore genovese decise di togliersi la vita, sono brani della più autentica protesta e parlano di guerra, poteri forti, povertà e indigenza attraverso una poetica intrisa di immagini profonde e spesso celate. Un artista, Tenco, che non scese a compromessi discografici e che scomparve proprio all’alba della svolta culturale, che avrebbe dato il giusto riconoscimento alla sua produzione. Dunque cantanti impegnati e improvvise conversioni, testi prevedibili e sottili metafore, rivoluzione intellettuale ma anche cambiamento della gente comune. Insomma: iniziava il ‘68.