Dalle radici ai valori
come inserirle nella nuova Costituzione europea?
Al Forum sociale di Firenze del novembre scorso c’erano anche i rappresentanti delle Chiese che hanno approfittato della grande assise per approfondire la riflessione sul contributo delle stesse nella costruzione della nuova Europa, sul rapporto tra cristianesimo, islam ed ebraismo e sul rapporto tra violenza e religioni. Appare chiara, da una parte una domanda di senso e di fede diversa dal passato (meno “religiosa”, più evangelica) e un nuovo contesto interreligioso in cui ci sembra sia destinato a venir meno, per evidenti e molteplici fattori, il “vecchio” ruolo centrale della cristianità, mentre assume rilievo il dialogo, l'incontro, il rispetto e la comprensione tra le fedi e le religioni. Dall'altra parte, la ripresa dei fondamentalismi in cui sono anche radicati tanti conflitti presenti nel mondo e la violenza che si alimenta nelle religioni.
Su tutto poi a Firenze, incombeva il drammatico “oggi”: il rischio della guerra e la necessità della pace e i grandi scenari mondiali della fame, delle malattie, della distruzione dell'ambiente.
Non è difficile cogliere il nesso tra il Forum fiorentino e ciò che in questi mesi si sta definendo nell'elaborazione della nuova Costituzione europea. Il rischio è che il dibattito (basta leggere i giornali delle ultime settimane per constatarlo) sulla “nuova identità europea” si fossilizzi troppo su alcune operazioni di ingegneria costituzionale o su questioni ritenute di principio (quale può essere quella del ribadire le radici cristiane del vecchio continente), dimenticando le questioni più importanti che, invece, dovrebbero avere piena cittadinanza nella Costituzione comune, in primis la pace e un rapporto più equo col Sud del mondo.
Sul tema della pace, può sembrare fin troppo banale (ma vista la proposta di emendamenti presentati dal governo italiano non lo è affatto) riproporre “semplicemente” la sostanza dell’articolo 11 della Costituzione italiana: “l’Unione Europea ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Potrebbe suonare così il testo della nuova Costituzione, senza dimenticare, seppur con i dovuti adattamenti, che lo stesso “nostro” articolo 11 continua: “consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e le giustizia tra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. Per una volta, il nostro eterno campanilismo e provincialismo avrebbe, se esportato, fatto bene all’intero continente.
Sul tema dei rapporti Nord-Sud, ci sembra importante che la nuova Carta costituzionale preveda esplicitamente che gli interventi di politica economica, commerciale e monetaria dell’Unione perseguono l’obiettivo di ridurre ed eliminare gli squilibri di ogni tipo che esistono tra i Paesi sviluppati e i Paesi poveri e che identico obiettivo viene perseguito negli orientamenti espressi dall’Unione in qualsiasi organismo internazionale. Si potrà poi eventualmente integrare, prevedendo che l’Unione interviene affinché le risorse destinate alla cooperazione allo sviluppo dagli Stati membri e dal bilancio comunitario corrispondano ai parametri indicati dalle organizzazioni internazionali.
Ci sembra che anche l’appello lanciato dal “Tavola della pace” con la proposta di disegnare il primo articolo della Costituzione europea secondo i valori della pace e della giustizia (vedi Mosaico di pace di febbraio 2003) vada nel senso auspicato sopra, quei valori veramente cristiani, cioè evangelici, che varrebbe la pena inserire nella carta comune d’Europa, così come le stesse chiese cristiane d’Europa hanno fatto due anni fa, a Strasburgo, con la Charta oecumenica proprio in vista della costruzione della “casa” comune che, non dimentichiamolo, dal 2004 annovererà molti nuovi inquilini. È proprio qui che si giocherà il futuro dei movimenti per la pace, ma anche delle Chiese d’Europa.