Voci contro la guerra
Suonate le campane a morto
La guerra è alle porte. La guerra è alle porte, avallata da un voto criminale del nostro parlamento. Per mesi i signori della guerra hanno spinto per il conflitto, cercando di trovare consenso e alleanze. Ma la moltitudine delle coscienze si è risvegliata, la gente comune ha ritrovato il senso di responsabilità. Ha tenuto alta la testa. Questi mesi hanno rivelato che i signori della guerra sono sempre più soli. In questo momento, il più difficile dalla seconda guerra mondiale, dobbiamo ancor più di prima osare la pace. Non ci possiamo arrendere, né rassegnare.
Quando lo scorso mese di agosto proponevamo l’Appello “Fermiamo la macchina della guerra” in cui chiedevamo ai vescovi italiani di unirsi alla nostra richiesta di pace rivolta al governo e al parlamento del nostro Paese, forse nemmeno noi contavamo su una tale diffusione della sensibilità a favore della pace.
Le tante prese di posizione di vescovi e di comunità cristiane, così come le bandiere dai balconi e le manifestazioni del 15 febbraio scorso, ci indicano con evidenza che la speranza della pace ha superato persino le nostre utopie, che il desiderio di pace ha contagiato di più del virus della guerra e che l’arcobaleno avvolge di colori milioni di persone. Questo conduce molti uomini delle istituzioni ad affermare che: “Non si può fare la guerra in queste condizioni!”.
Siamo convinti che questo fremito di speranza che ora preoccupa l’amministrazione americana e quanti ne sostengono la volontà di dominio, domani potrà essere consapevolmente condiviso da questi come da coloro che tramano per seminare terrore e morte. La brezza della pace e non la tempesta della guerra piegherà la tirannia in tutte le sue espressioni di violenza. Nel digiuno e nella preghiera abbiamo ringraziato Dio di aver posto parole e gesti di profezia e di parresia (franchezza) nel cuore stesso della chiesa, sulle labbra del Pontefice (costruttore di ponti) e di tante donne e uomini che nel mondo si professano credenti. Anche l’incessante azione diplomatica della Santa Sede ci appare oggi come un segno grandioso di resistenza al male della guerra e di annuncio del Vangelo della pace.
Se mai i passi della comunità internazionale dovessero raggiungere l’orlo del precipizio, chiediamo sin da ora che le chiese non esitino a invitare a una corale obiezione di coscienza. A ogni donna e uomo di buona volontà venga autorevolmente rivolto l’appello a non offrire sostegno e collaborazione alla guerra con le armi o con il proprio lavoro. Guardiamo a questa scelta come all’estrema forma di resistenza di fronte alla guerra che è stata opportunamente definita “crimine organizzato”. Speriamo di non dover mai pervenire a quel momento che vedrebbe la coscienza e la fede contrapporsi alle decisioni dei propri governanti.
A quanti in questi mesi hanno organizzato e partecipato a forme di manifestazione e di protesta contro la violenza del terrorismo e della guerra, vogliamo far giungere il nostro incoraggiamento a continuare a osare la pace. Conosciamo il prezzo della responsabilità personale che bisogna essere disposti a pagare, sappiamo quale sapore amaro hanno l’incomprensione, la strumentalizzazione e la derisione… ma a tutti chiediamo di continuare a far lievitare la speranza con questi gesti.
Sempre vi siano parole e segni capaci di dire NO alla guerra senza SE e senza MA con gli ideali e gli strumenti di una nonviolenza senza SE e senza MA.
10 marzo 2003
- di tenere le porte delle chiese aperte anche di notte (almeno una chiesa per ogni diocesi) perché si innalzi al Signore una continua preghiera per la pace.
A tutti i costruttori di pace chiediamo:
- di accendere in ogni famiglia, in ogni casa, un lume o una candela, con un momento di silenzio e di riflessione sulla pace, e di esporlo alla finestra per tutta la notte;
- di continuare a esporre la bandiera della pace e invitare gli altri a farlo;
- di boicottare la compagnia petrolifera che ha vinto l'appalto per le forniture all'esercito statunitense, non facendo rifornimento ai distributori Esso.
Chiediamo infine:
- a tutte le persone di inviare una lettera di protesta ai propri parlamentari dichiarando di non poter più votare la referenza per loro se hanno votato sì alla guerra;
- a tutti i consigli comunali di riunirsi in seduta straordinaria nel giorno dell'attacco contro l'Iraq per deliberare il proprio no alla guerra e inviarlo al governo.
Questi sono alcuni segni possibili per tutti.
Lasciamoci coinvolgere e contagiamo con i nostri gesti di resistenza anche chi ci vive accanto e chi incontriamo tutti i giorni, perché nelle nostre case, nei luoghi di lavoro, nelle nostre strade e nelle nostre chiese la voce della pace sia più forte della follia di questa guerra e di ogni guerra.
Alex Zanotelli, Luigi Ciotti
Mosè Mora, Alessandro Santoro
Lettera a Giovanni Paolo II
In questi giorni carichi di preoccupazione per le sorti della pace nel mondo non possiamo non salutare con grande speranza e con sincera solidarietà tutte le iniziative, singole e di popolo, di gente umile e di personalità politiche e religiose, in favore della pace e contro la guerra. Qualcuno, con un pizzico di fantasia, ha chiamato noi “preti contro” perché, pur in situazioni personali e storie ecclesiali fra loro differenti, ci siamo trovati spesso a dover fermamente dissentire da indicazioni disciplinari, prospettive teologiche, norme pastorali della gerarchia della nostra chiesa cattolica romana. Vogliamo, in questa sede, ribadire che, forse, sarebbe giunto il momento che Lei stesso aprisse un dialogo – franco, leale e onesto – sulle questioni che ci hanno diviso e specialmente su quelle che riguardano l’opposizione alla guerra e la umile partecipazione comune ai movimenti pacifisti dal basso che papa Giovanni ha chiamato “segni dei tempi”.
È ora che risuoni la parola della pace (...) anche nei rapporti interni alla nostra chiesa e nel rispetto, nella sua organizzazione, di quei diritti umani e di quella fraternità e sororità che si proclamano come ideale al mondo intero.
Del resto, “preti contro” ci pare una etichetta un poco riduttiva. Infatti (...) noi non siamo mai stati e non siamo “contro la chiesa”, che amiamo, ma “contro” molte delle sue strutture oppressive e lesive della libertà battesimale dei figli e delle figlie di Dio. E siamo “contro” per essere “per”: per una fede adulta; per una chiesa in cui norma sia il dialogo e la pluralità di voci pur unanimi nella fede nel Signore Gesù. E siamo preti “con” perché compagni di strada dell’umanità, perché vogliamo condividerne il cammino. È dunque con soddisfazione e speranza che vediamo risuonare la Sua voce a favore della pace e contro questa guerra contro l’Iraq. Il proposito di stroncare il terrorismo – una piaga che anche noi naturalmente riteniamo pestifera – non può giustificare la “guerra preventiva”. Al contrario, lo moltiplicherebbe perché le ingiustizie e le brutalità insite nella “guerra preventiva” sarebbero come sementi da cui nasceranno continuamente terroristi che vorranno vendicare l’affronto e l’ingiustizia patita da loro stessi, o dai loro padri (...).
Per il mercoledì delle Ceneri, (...) ci uniamo, convinti, a questo coro di umile speranza e di preghiera responsabile (...) contro la cultura stessa della guerra, per un disarmo globale, per l’affermazione della pace come cultura planetaria e come sistema. Ci uniamo al
Il rifiuto di obbedire agli ordini che contraddicono l’insegnamento del Vangelo e la propria coscienza (voce di Dio in noi) è radicata nell’insegnamento e nella prassi cristiana. Protestiamo vivamente per il sostegno che parlamento e governo del nostro Paese hanno deciso di offrire alla guerra concedendo l’uso delle basi e del sorvolo. Secondo la dottrina morale “tanto è ladro chi ruba che chi para il sacco!”. Anche se le immagini che ci provengono dall’Iraq sembrano asettiche e non rendono conto della sofferenza che gli attacchi armati infliggono a tanta gente inerme e innocente, noi vogliamo schierarci con decisione dalla parte delle vittime.
In nome del Vangelo della pace abbiamo sempre cercato di interpretare il dolore delle vittime e di farcene voce. Il sangue delle vite violate dalla cecità del terrorismo, come quelle annientate dalla follia della guerra ha il medesimo colore. Dal profondo di questa debolezza noi continuiamo a nutrire la speranza che i cuori dei responsabili di tanto dolore possano convertirsi alla pace rinunciando a proseguire la guerra. Sul Golgota Cristo ha scelto con chiarezza da che parte stare e da quell’altare ha lanciato la sfida della nonviolenza.
Ora quella proposta non può che divenire preghiera, supplica, impetrazione. Invitiamo pertanto i credenti a raccogliersi in preghiera individualmente o comunitariamente. Ciascuno lasci spazio alle sole parole che in questo momento di follia hanno un senso e preghi attingendo alla ricchezza dei Salmi e della Parola di vita o secondo le forme tradizionali o frugando nella semplicità che il cuore gli detta.
Ciascuno faccia salire verso Dio la propria voce sapendo che si unisce a quella di chi è sottoposto a prove indicibili e vive ore di paura. Strumento dei poveri, la preghiera dia alito alle speranze di pace.
20 marzo 2003
Del resto, molti e molte nel mondo, cattolici e no, guardano con simpatia e solidarietà a questo Suo impegno per la pace. A costoro anche noi uniamo la nostra piccola voce.
Roma, 5 marzo 2003
Giovanni Franzoni, Vitaliano Della Sala, Franco Barbero, Andrea Gallo, Alessandro Santoro, Enzo Mazzi e Sergio Gomiti, Raffaele Garofalo
Sperare l ’insperabile
Sono riuscita a telefonare,dopo vari tentativi in questi giorni, a P. Louis Sako, parroco caldeo a Mosul, nord Iraq, con cui come Pax Christi si è instaurato da qualche mese un bel contatto di amicizia. Di lui e della sua gente abbiamo visto i volti nel video che don Renato Sacco ha effettuato nel corso dello scorso dicembre e ha presentato a Bolzano due mesi fa. Mentre mi parlava per telefono, c’erano bombardamenti, ormai ininterrotti da tre giorni.
Eppure la sua voce era forte e contenta in quel momento. Di sentirsi sostenuto, da amici di qui come di altre parti d’Italia. Mi ha detto che lì in chiesa si rifugiano diverse persone, e ieri, domenica, hanno celebrato due messe. È anche uscito. Tante case distrutte, i vetri rotti. La comunicazione telefonica non si sa fino a quando potrà durare. La posta elettronica ormai non funziona più, e quello che gli ho precedentemente spedito, messaggi di incoraggiamento, di aggiornamento su quello che facciamo qui per chiedere pace, lo ha tutto tradotto in arabo, esposto alla bacheca della chiesa, e la gente legge volentieri.
È così prezioso per loro sentirsi sostenuti, sentire la loro apprensione condivisa, sentire davvero un legame profondo di comunione. E attraverso di loro, con tutto il popolo d’Iraq. Mi sembrava irreale telefonare da casa mia in quella situazione così tragica, e sentire nelle sue parole tanta fede e speranza che tutto questo finisca.
Ho allora il coraggio anch’io con loro di sperare l’insperabile, che la loro preziosa vita possa continuare a brillare per la loro gente, per noi tutti. Che la loro incredibile testimonianza di dialogo con i Musulmani possa continuare, non sia distrutta anche questa dalla guerra, ma sia esempio per noi. Un filo di amore, di comunione profonda al di là di questa folle e assurda macchina da guerra che dobbiamo cercare di fermare con tutte le nostre forze, facendoci voce di questi poveri, ricchi di umanità, che hanno ancora, sotto i bombardamenti, la semplicità di chiederti : “Come stai?”
Gina Abbate, Merano