TEOLOGIA

L'era dei veri amici

Profezia e pace in don Tonino: vedere “oltre”, vedere “altro”.
Giovanni Mazzillo

Quello su profezia e pace in don Tonino è un tema davvero complesso e vasto. Materiale più circostanziato e documentato si può trovare nelle

NOTE
1 Scritti, 2/399.
2 Scritti, 2/275.
3 Scritti, 4/274ss.
4 Scritti, 4/277. Il contributo cui ci riferiamo è stato anche pubblicato in Chiesa e lotta alla mafia.
5 Ivi.
6 Scritti, 3/51-65.
7 Scritti, 3/62.
8 Rispettivamente: Scritti, 3/102ss, 3/99ss, 3/76ss.
9 3/125ss.
10 Scritti, 3/126. Il pensiero è ripreso da Giovanni Paolo II, che così aveva detto di Maria a Zapopan in Messico.
11 Scritti, 3,126-127.
12 Per l’episodio, senz’altro uno dei più inquietanti della Bibbia, cf. Gdc 11,29-40.
13 Scritti, 4/306.
14 Scritti, 4/315; cf. anche “Pacifisti dove siete?” [4/331ss.] e “E poi non si dica dove sono i pacifisti” [4/337].
15 Scritti, 4/282.
16 Scritti, 4/283.
17 Cf. Scritti, 3/179-180; 3/225-227.
18 Scritti, 3/236.
19 Scritti, 4,/237.
20 Scritti, 2/183-184.
21 “I have the dream!”, in Mosaico di pace 3 (1992/7-8) 5.

cosiddette “Primavere di don Tonino Bello”, tra le quali segnalo l’ultima (Giovinazzo 2002) su “Cultura e profezia in don Tonino Bello”. Riprendendo alcune idee lì meglio espresse, in sintesi si può dire che Don Tonino vede profezia e pace in diretta corrispondenza con l’impegno sia del cristiano sia delle nostre comunità. Profezia appare innanzitutto denuncia delle ingiustizie e annuncio di un nuovo modo di essere e di vivere. Coltivarla significa acquisire una sempre più profonda consapevolezza su ciò che succede e sul perché succede perché risalendo alle cause ultime, si renda sterile “l’utero sempre gravido che genera i mostri delle nuove povertà”. 1 È l’uscita “dai perimetri parrocchiali”, alla quale spinge la sequela di Gesù, convinti del fatto che anche lui “esce” dall’ostensorio, come era uscito dal grembo della Madre e dalla casa di Nazareth, per entrare nella vita reale e tormentata degli uomini. “ (Cristo) Ha posto la sua tenda qui, dove noi ci riuniamo. Questa dinamica Gesù Cristo la esprime sempre: esce da una cultura e s’introduce in un’altra cultura. Così dovrebbe essere nella nostra vita di credenti, nella nostra vita pastorale. Dovremmo essere sempre capaci di aprire le porte a Cristo, di farlo uscire cioè dalle nostre chiese per portarlo nelle altre culture”. 2

Un nuovo modo di vedere
Al seguito di Gesù, profezia significa acquisire mentalità e modalità autentiche di pace, camminando con i più deboli e coltivando atteggiamenti contrari alla guerra e alla violenza: dialogo, comprensione reciproca, soluzione nonviolenta dei conflitti. Oltre a essere denuncia, la profezia è costruzione attiva e infaticabile della pace. È “sognare a occhi aperti”, adoperandosi fattivamente per “l’era dei veri amici”, che don Tonino ha talvolta collegato al pensiero dell’abate calabrese Gioacchino da Fiore. In un contesto dove è presente ancora la mafia, profezia è vincere la sua pseudo-cultura, passando dall’età degli schiavi 3 a quella nuova: “l’era dei liberi” 4, senza mai rassegnarsi, sorretti dall’idea che “il vero esilio per gli ebrei si ebbe quando essi cominciarono a sopportarlo”. 5 Insomma si tratta di un nuovo modo di vedere, arrivando alla trasparenza 6, assecondandone la diffusa nostalgia in questo nostro mondo sempre più contraffatto. È la volontà di vederci chiaro nelle cose, nei volti, negli eventi. Vedersi dentro fino a piangere ammettendo i propri tradimenti, come l’apostolo Pietro. Vedere oltre, come l’altro apostolo, Giovanni, che con l’amore arrivava fin là dove altri non riusciva a spingersi. La profezia è insomma la spinta in avanti dell’amore, per leggere fin nel di dentro. È “superare il banco di nebbia degli avvenimenti per capirne le linee di tendenza e afferrarne il senso definitivo”. 7 È un atteggiamento che ritroviamo anche in Maria, donna di frontiera, donna del popolo e donna dell’attesa, 8 che si sapeva protendere in avanti, ad accogliere Dio e il suo progetto d’amore nella storia. Il coraggio di Maria 9 fa di lei un modello “per coloro che non accettano passivamente le avverse circostanze della vita personale e sociale, né sono vittime dell’alienazione”. 10 La scansione dei momenti profetici che la caratterizzano è della massima importanza per noi: “Dunque, tu non ti sei rassegnata a subire l’esistenza. Hai combattuto. Hai affrontato gli ostacoli a viso aperto. Hai reagito di fronte alle difficoltà personali e ti sei ribellata dinanzi alle ingiustizie sociali del tuo tempo. Non sei stata, cioè, quella donna tutta casa e chiesa che certe immagini devozionali vorrebbero farci passare. Sei scesa sulla strada e ne hai affrontato i pericoli, con la consapevolezza che i tuoi privilegi di Madre di Dio non ti avrebbero offerto isole pedonali capaci di preservarti dal traffico violento della vita”. 11 Leggere la realtà dalla prospettiva di Dio è il segreto dei profeti, le sentinelle solerti e coraggiose che sanno guardare non solo fuori di casa, ma anche in casa propria. Sapendo distinguere tra i pensieri umani e i pensieri di Dio, essi sono un richiamo talora scomodo, e in ogni caso sofferto, anche per le loro appartenenze comunitarie e religiose.

Smascherare le ideologie
Non bisogna ancora dimenticare che la profezia è anche smascherare le ideologie religiose annidate dietro le guerre e le violenze compiute in nome di Dio. È contestare una cultura religiosa che non è altro che ideologia sacrificale, senza alcunché di veramente religioso. La denuncia di quest’aberrazione la troviamo nella lettera di don Tonino alla figlia di Jefte, un’anonima, al pari di molte altre vittime sacrificali. Egli si riferisce all’episodio biblico di Jefte, giudice d’Israele, il quale, in adempimento di un voto, dopo la sua vittoria militare, pensa di dover immolare la figlia. 12 Contro questa concezione del voto la critica è decisa, per smascherare tutti coloro che vogliono “coinvolgere Dio nelle loro operazioni di violenza, quasi per contestarle”: “uno squallido tentativo degli uomini”. Infatti “far apparire la guerra più santa ancora della stessa vita appartiene alle ideologie più sacrileghe”. 13 È uno dei punti più scomodi della profezia: la denuncia della religione costituita, anche della propria, quando questa tradisce il suo spirito di fondo e la natura amorevole di Dio da cui proviene. Intervenire non solo è possibile, ma è doveroso, dal momento che “occorre obbedire più a Dio che agli uomini”. Anche questo è sequela di Gesù, quel Gesù che smascherava le strumentalizzazioni della religione da parte dei farisei. La profezia appare ancora in don Tonino nella sua condanna netta e decisa della guerra. Non solo in generale, ma anche verso interventi militari precisi, come la guerra all’Iraq del 1991 e l’intervento militare nell’Ex Jugoslavia. A personalità come Bettiza, Veltroni, Mafai,

Una primavera per la chiesa
L’accoglienza, l'apertura al mondo,
la fedeltà a Dio: il messaggio di don Tonino alla chiesa italiana.


Lo conobbi una sera di aprile del 1987, a Molfetta, dove ero stato invitato a parlare su “Il lavoro nel sud”. Venivo da Crotone, dove avevo il compito di seguire, a livello regionale, la pastorale sociale. Conoscevo bene il delegato della diocesi di Molfetta e come spesso avviene, dalla conoscenza nasce l’invito reciproco. Un viaggio lungo, durato l’intera mattinata, in treno, con un panino sbrigativo. La conversazione con la gente e poi l’incontro diretto con don Tonino, a cena. La fame si faceva sentire, lo confesso, perché lunga era stata la giornata. E la tavola era ben imbandita. Sobria ma c’era tutto.
Solo che il vescovo mangiò pochissimo: mezzo bicchiere di latte e un arancio. Non so perché ma so soltanto che ci passò subito la fame.... Ma il “bello” venne dopo, quando, già piuttosto tardi, bussò alla porta del episcopio un poveraccio, Giuseppe, che fu accolto da un affettuoso grido di benvenuto: “Vieni, vieni avanti... di roba ce n’è ancora tanta... non ti preoccupare, vieni Giuseppe! ”. In altre sedi si avrebbe fatto notare, giustamente, che non era l’ora più opportuna, che era tardi, che non era il momento! All’episcopio di Molfetta no! Nell’episcopio di don Tonino era sempre l’ora dei poveri. Sempre l’ora dell’accoglienza!
Mi accompagnò poi in camera, dove lui stesso aveva preparato il letto per me. Ero commosso per tutte quelle attenzioni, che non meritavo, cui mai ero stato abituato. E dal fascino, sgorgò una conversazione su un suo recente articolo, sul mistero della Trinità. Fu lui stesso a spiegarmi un passaggio che poi divenne famoso: “La Trinità è come un’operazione algebrica. Non uno più uno più uno. Fa tre. Ma noi non abbiamo tre dei, ma uno solo. Cambia. Moltiplica e fai uno per uno per uno. Il risultato è sempre uno. Cioè un Dio solo. Un Dio d’amore”.
Capii che quel “per” non era solo algebrico. Ma era soprattutto relazionale, cioè capace di intessere una modalità di rapporti nuovi tra le persone. Se viviamo uno accanto all’altro, saremo solo una somma di persone, un assemblaggio di tipo industriale, senz’anima.
Ma se sapremo vivere uno per l’altro, i nostri cuori si fonderanno sempre in unità. Come il gioco dell’algebra. Una scoperta bellissima quella sera, nella voce appassionata di don Tonino, che mi regalò un sonno ristoratore.

Mons. Giancarlo Bregantini
vescovo di Locri – Gerace
ecc., che giustificavano l’“intervento umanitario”, don Tonino rispondeva che la guerra non è mai un atto di umanità né di coraggio. Ribadiva che non la violenza, ma la costruzione della pace è autentico coraggio, è vera umanità. Una costruzione quotidiana e feriale, più che un agire protagonistico e piazzaiolo, un modo diverso di intendere la vita e le relazioni. Un modo nuovo di impostare il rapporto con il denaro. È quest’ultimo uno dei motivi reali più potenti di ogni guerra, che annoda “intime connessioni tra i signori della guerra, élites di potere e faccendieri della grande finanza, che già stringono tra loro lucrosi patti sui nuovi confini”. 14 In don Tonino si trova un’evidente connessione tra la cultura della pace e l’anticipazione profetica. Quest’ultima è la sua spinta propulsiva, mentre la prima ne costituisce una sorta d’avamposto nella storia umana. Se profezia è contemplare nell’oggi un futuro non ancora perseguito, occorre compiere quanto è in nostro potere, per camminare, al pari di Mosè, verso la terra promessa della pace. La Lettera a Mosè evoca un avvicinamento della sorte di don Tonino a quella del profeta. Giunge ad augurarsela: “Numero degli anni a parte, mi piacerebbe proprio un tramonto come il tuo. Lontano dalle luci della ribalta. Col cuore ancora gonfio di passione per la vita. Con gli occhi fiammeggianti nel riverbero di cento ideali. E col dito puntato verso la terra dei miei sogni”. 15 L’intento non è autocelebrativo. Al contrario, Mosè è il modello del maratoneta che consegna ad altri la fiaccola della speranza: “Forse avrai già capito il motivo per il quale ti ho scritto: per recuperare, nella lettura dei tuoi comportamenti, lo stile che deve caratterizzare la nostra speranza. Tu sei, infatti, l’icona di tutti coloro che non entreranno mai nelle terre promesse che hanno additato agli altri come a portata di mano. Sei il simbolo, cioè di tutti i profeti dalla carriera stroncata”. 16 Adoperarsi per la pace è riacquistare la capacità di immaginare l’inedito. È “la base dell’adorazione”, per cogliere la trascendenza, sfondando il soffitto della propria stanza, fino a intravedere il cielo nella propria quotidianità. 17 La profezia sfocia allora nella sua più profonda e più intima risorsa: la santità: “Se il nostro cuore di credenti è destinato ad essere il luogo dove si riverberano le tristezze della terra, per neutralizzarne il carico, dobbiamo assoggettarci a una terapia intensiva di santità… perché, come per la donna partoriente di cui parla il Vangelo, la nostra tristezza si cambi in gioia”. 18 È così che comincia a cambiare il nostro mondo, ogni mondo, persino il più insignificante. Comincia l’eutopia, che finalmente viene a dimorare, come “vera realtà salvante” la realtà quotidiana. 19 Si diffonde la pace come sguardo d’amore e come anticipo del Regno di Dio. Riscoprendo il Cristo trasfigurato, diventiamo a nostra volta “cercatori d’infinito” e simultaneamente “costruttori di storia”. 20 Il grande sogno che abitava il cuore di don Tonino era una chiesa audace e profetica in questa direzione, come appariva già allora in Mosaico di pace. 21

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