L'era dei veri amici
Quello su profezia e pace in don Tonino è un tema davvero complesso e vasto. Materiale più circostanziato e documentato si può trovare nelle
2 Scritti, 2/275.
3 Scritti, 4/274ss.
4 Scritti, 4/277. Il contributo cui ci riferiamo è stato anche pubblicato in Chiesa e lotta alla mafia.
5 Ivi.
6 Scritti, 3/51-65.
7 Scritti, 3/62.
8 Rispettivamente: Scritti, 3/102ss, 3/99ss, 3/76ss.
9 3/125ss.
10 Scritti, 3/126. Il pensiero è ripreso da Giovanni Paolo II, che così aveva detto di Maria a Zapopan in Messico.
11 Scritti, 3,126-127.
12 Per l’episodio, senz’altro uno dei più inquietanti della Bibbia, cf. Gdc 11,29-40.
13 Scritti, 4/306.
14 Scritti, 4/315; cf. anche “Pacifisti dove siete?” [4/331ss.] e “E poi non si dica dove sono i pacifisti” [4/337].
15 Scritti, 4/282.
16 Scritti, 4/283.
17 Cf. Scritti, 3/179-180; 3/225-227.
18 Scritti, 3/236.
19 Scritti, 4,/237.
20 Scritti, 2/183-184.
21 “I have the dream!”, in Mosaico di pace 3 (1992/7-8) 5.
Un nuovo modo di vedere
Al seguito di Gesù, profezia significa acquisire mentalità e modalità autentiche di pace, camminando con i più deboli e coltivando atteggiamenti contrari alla guerra e alla violenza: dialogo, comprensione reciproca, soluzione nonviolenta dei conflitti. Oltre a essere denuncia, la profezia è costruzione attiva e infaticabile della pace. È “sognare a occhi aperti”, adoperandosi fattivamente per “l’era dei veri amici”, che don Tonino ha talvolta collegato al pensiero dell’abate calabrese Gioacchino da Fiore. In un contesto dove è presente ancora la mafia, profezia è vincere la sua pseudo-cultura, passando dall’età degli schiavi 3 a quella nuova: “l’era dei liberi” 4, senza mai rassegnarsi, sorretti dall’idea che “il vero esilio per gli ebrei si ebbe quando essi cominciarono a sopportarlo”. 5 Insomma si tratta di un nuovo modo di vedere, arrivando alla trasparenza 6, assecondandone la diffusa nostalgia in questo nostro mondo sempre più contraffatto. È la volontà di vederci chiaro nelle cose, nei volti, negli eventi. Vedersi dentro fino a piangere ammettendo i propri tradimenti, come l’apostolo Pietro. Vedere oltre, come l’altro apostolo, Giovanni, che con l’amore arrivava fin là dove altri non riusciva a spingersi. La profezia è insomma la spinta in avanti dell’amore, per leggere fin nel di dentro. È “superare il banco di nebbia degli avvenimenti per capirne le linee di tendenza e afferrarne il senso definitivo”. 7 È un atteggiamento che ritroviamo anche in Maria, donna di frontiera, donna del popolo e donna dell’attesa, 8 che si sapeva protendere in avanti, ad accogliere Dio e il suo progetto d’amore nella storia. Il coraggio di Maria 9 fa di lei un modello “per coloro che non accettano passivamente le avverse circostanze della vita personale e sociale, né sono vittime dell’alienazione”. 10 La scansione dei momenti profetici che la caratterizzano è della massima importanza per noi: “Dunque, tu non ti sei rassegnata a subire l’esistenza. Hai combattuto. Hai affrontato gli ostacoli a viso aperto. Hai reagito di fronte alle difficoltà personali e ti sei ribellata dinanzi alle ingiustizie sociali del tuo tempo. Non sei stata, cioè, quella donna tutta casa e chiesa che certe immagini devozionali vorrebbero farci passare. Sei scesa sulla strada e ne hai affrontato i pericoli, con la consapevolezza che i tuoi privilegi di Madre di Dio non ti avrebbero offerto isole pedonali capaci di preservarti dal traffico violento della vita”. 11 Leggere la realtà dalla prospettiva di Dio è il segreto dei profeti, le sentinelle solerti e coraggiose che sanno guardare non solo fuori di casa, ma anche in casa propria. Sapendo distinguere tra i pensieri umani e i pensieri di Dio, essi sono un richiamo talora scomodo, e in ogni caso sofferto, anche per le loro appartenenze comunitarie e religiose.
Smascherare le ideologie
Non bisogna ancora dimenticare che la profezia è anche smascherare le ideologie religiose annidate dietro le guerre e le violenze compiute in nome di Dio. È contestare una cultura religiosa che non è altro che ideologia sacrificale, senza alcunché di veramente religioso. La denuncia di quest’aberrazione la troviamo nella lettera di don Tonino alla figlia di Jefte, un’anonima, al pari di molte altre vittime sacrificali. Egli si riferisce all’episodio biblico di Jefte, giudice d’Israele, il quale, in adempimento di un voto, dopo la sua vittoria militare, pensa di dover immolare la figlia. 12 Contro questa concezione del voto la critica è decisa, per smascherare tutti coloro che vogliono “coinvolgere Dio nelle loro operazioni di violenza, quasi per contestarle”: “uno squallido tentativo degli uomini”. Infatti “far apparire la guerra più santa ancora della stessa vita appartiene alle ideologie più sacrileghe”. 13 È uno dei punti più scomodi della profezia: la denuncia della religione costituita, anche della propria, quando questa tradisce il suo spirito di fondo e la natura amorevole di Dio da cui proviene. Intervenire non solo è possibile, ma è doveroso, dal momento che “occorre obbedire più a Dio che agli uomini”. Anche questo è sequela di Gesù, quel Gesù che smascherava le strumentalizzazioni della religione da parte dei farisei. La profezia appare ancora in don Tonino nella sua condanna netta e decisa della guerra. Non solo in generale, ma anche verso interventi militari precisi, come la guerra all’Iraq del 1991 e l’intervento militare nell’Ex Jugoslavia. A personalità come Bettiza, Veltroni, Mafai,
la fedeltà a Dio: il messaggio di don Tonino alla chiesa italiana.
Lo conobbi una sera di aprile del 1987, a Molfetta, dove ero stato invitato a parlare su “Il lavoro nel sud”. Venivo da Crotone, dove avevo il compito di seguire, a livello regionale, la pastorale sociale. Conoscevo bene il delegato della diocesi di Molfetta e come spesso avviene, dalla conoscenza nasce l’invito reciproco. Un viaggio lungo, durato l’intera mattinata, in treno, con un panino sbrigativo. La conversazione con la gente e poi l’incontro diretto con don Tonino, a cena. La fame si faceva sentire, lo confesso, perché lunga era stata la giornata. E la tavola era ben imbandita. Sobria ma c’era tutto.
Solo che il vescovo mangiò pochissimo: mezzo bicchiere di latte e un arancio. Non so perché ma so soltanto che ci passò subito la fame.... Ma il “bello” venne dopo, quando, già piuttosto tardi, bussò alla porta del episcopio un poveraccio, Giuseppe, che fu accolto da un affettuoso grido di benvenuto: “Vieni, vieni avanti... di roba ce n’è ancora tanta... non ti preoccupare, vieni Giuseppe! ”. In altre sedi si avrebbe fatto notare, giustamente, che non era l’ora più opportuna, che era tardi, che non era il momento! All’episcopio di Molfetta no! Nell’episcopio di don Tonino era sempre l’ora dei poveri. Sempre l’ora dell’accoglienza!
Mi accompagnò poi in camera, dove lui stesso aveva preparato il letto per me. Ero commosso per tutte quelle attenzioni, che non meritavo, cui mai ero stato abituato. E dal fascino, sgorgò una conversazione su un suo recente articolo, sul mistero della Trinità. Fu lui stesso a spiegarmi un passaggio che poi divenne famoso: “La Trinità è come un’operazione algebrica. Non uno più uno più uno. Fa tre. Ma noi non abbiamo tre dei, ma uno solo. Cambia. Moltiplica e fai uno per uno per uno. Il risultato è sempre uno. Cioè un Dio solo. Un Dio d’amore”.
Capii che quel “per” non era solo algebrico. Ma era soprattutto relazionale, cioè capace di intessere una modalità di rapporti nuovi tra le persone. Se viviamo uno accanto all’altro, saremo solo una somma di persone, un assemblaggio di tipo industriale, senz’anima.
Ma se sapremo vivere uno per l’altro, i nostri cuori si fonderanno sempre in unità. Come il gioco dell’algebra. Una scoperta bellissima quella sera, nella voce appassionata di don Tonino, che mi regalò un sonno ristoratore.
Mons. Giancarlo Bregantini
vescovo di Locri – Gerace