Ingozzati di gossip
E un gossip sul divo sta prima della fine della secessione in Indonesia.
La vera agenda di una informazione che deve intontire.
Una delle esperienze più amare che tocca in sorte a missionarie e missionari, volontari, operatori di ONG, di ritorno in Italia da un Paese del Sud del mondo, è accorgersi che, per l’informazione di casa nostra, intere popolazioni, persino alcuni Paesi e molti dei problemi che riguardano i continenti extraeuropei semplicemente non esistono.
È un’affermazione pesante, ce ne rendiamo conto. Ma da tempo noi, direttori delle riviste missionarie d’Italia, siamo sconcertati e indignati nel constatare la sostanziale indifferenza dei telegiornali verso fatti e problemi che toccano una vasta fetta del mondo. A far notizia sono, solitamente, conflitti e disastri naturali mentre la vita quotidiana della gente che abita nelle «periferie del mondo» non è quasi mai degna di attenzione.
Ebbene. Come missionarie e missionari siamo a contatto ogni giorno con la povertà, le carestie, le violazioni dei diritti di molte popolazioni del pianeta, ma anche con la creatività e la freschezza di tanti Paesi. Guardando il telegiornale, però, è come se tutto questo non contasse: è un altro mondo quello che ci viene raccontato, un mondo fatto di divi dello spettacolo, sfilate di moda e così via. Non sono certo le notizie a mancare. Pensiamo alle guerre (e alle paci) dimenticate: quanto spazio ha avuto nei Tg italiani la fine delle ostilità a Banda Aceh, la provincia secessionista dell’Indonesia, dopo trent’anni di tensioni? E quanto si è parlato della guerra che ancora lacera lo Sri Lanka?
Convinti come siamo che l’informazione – un’informazione corretta, partecipe, rispettosa – è il primo passo per una solidarietà autentica, chiediamo a quanti fanno informazione in Italia, ai diversi livelli, un salto di qualità. Ne va di mezzo il futuro della convivenza umana. Nel suo messaggio di fine anno il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ha richiamato la centralità di un’informazione a servizio della gente, che abbia per pilastri “pluralismo e imparzialità, diretti alla formazione di una opinione pubblica critica e consapevole, in grado di esercitare responsabilmente i diritti della cittadinanza democratica”.
Nel messaggio per la Giornata mondiale della pace, Benedetto XVI ammoniva: “L’autentica ricerca della pace deve partire dalla consapevolezza che il problema della verità e della menzogna riguarda ogni uomo e ogni donna, e risulta essere decisivo per un futuro pacifico del nostro pianeta”.
Ci rivolgiamo in particolare a quanti fanno televisione e, segnatamente, alle testate Rai. Come utenti del servizio pubblico – per il quale, come tutti i cittadini paghiamo il canone – crediamo sia nostro diritto esigere un’informazione aperta al mondo, un’informazione di qualità che non sia relegata negli speciali (a volte anche molto interessanti) in onda in fasce orarie da sonnambuli. È troppo chiedere “più notizie e meno gossip”?
Attualmente la Rai non dispone di un corrispondente fisso in ogni continente: colmare questa lacuna ci pare un passo nella direzione giusta, di un’informazione più equilibrata e attenta al mondo. Una richiesta in tal senso è già stata avanzata da tre riviste missionarie (Missione Oggi, Mosaico di pace e Nigrizia) e da altri enti in occasione della Tavola della pace a Perugia, nel settembre 2005; la Direzione generale Rai ha promesso di aprire sedi Rai in Africa e in India. Ora come Fesmi (Federazione della stampa missionaria) intendiamo mobilitarci perché sia dato seguito a tale promessa . Ben sapendo che non basta questo per migliorare sic et simpliciter il panorama dell’informazione tv.
C’è chi sostiene che i telespettatori non sono interessati a conoscere le notizie di altri Paesi. La nostra esperienza dice il contrario: molti italiani, in primis i nostri lettori, condividono l’indignazione di cui siamo fatti portavoce. E sarebbero ben felici di ottenere una risposta all’altezza delle loro aspettative.