Quando la pace è un cammino
Sono una insegnante, ma mi piace pensare di essere, soprattutto, un’educatrice. Sulla mia strada di donna pacifista (non sempre “pacifica” e, men che meno, pacificata…), mi sono “imbattuta” in don Tonino… e per un po’, a tratti, abbiamo camminato insieme; l’ho ascoltato molto, l’ho letto molto e tutto mi ha ispirato, interrogato, provocato, dato spunti di riflessione per la mia vita e per la mia professione. C’è una frase in particolare che, secondo me, potrebbe essere il sunto di una programmazione educativa: “…mettere in vita non è tutto. Bisogna mettere in luce”.
Mettere “in luce“ ogni bambino, ogni bambina, ogni studente, significa fare in modo che, nel gruppo, nella classe, ognuno riesca a esprimersi per quello che è, che ognuno riesca a comprendersi e ad apprezzarsi nella propria diversità e a percepirsi ricchezza per gli altri.
Una ricchezza che non è sicuramente il guadagno facile promesso da una delle tante lotterie nazionali, ma un tesoro conquistato a fatica passando attraverso il conflitto, la crisi, l’incontro e lo scontro, la sensazione di “aver vinto su” e di essere “sconfitto da”… avendo come obiettivo ultimo la conquista della capacità di ragionare sulla complessità del mondo e delle persone in termini di e/e e non di o/o.
La concezione della persona umana e della relazione, in don Tonino, rimandano alle teorie di Rogers e, in modo particolare a quella della “tendenza attualizzante“, presente in ognuno di noi. Il suo concetto di accoglienza mi fa pensare alle parole di SaintExupéry in “Cittadella”: “Costruire la pace, significa costruire una stalla abbastanza grande affinché l’intero gregge vi si addormenti. Significa costruire un palazzo abbastanza vasto affinché tutti gli uomini vi si possano raggiungere senza abbandonare nulla dei loro bagagli. Non si tratta di amputarli per farli stare tutti dentro. Costruire la pace, significa ottenere in prestito da Dio la sua mantellina da pastore per poter accogliere gli uomini in tutta la vastità dei loro desideri. Così avviene per la madre che ami i figli. Uno è timido e affettuoso, l’altro pieno di vita, l’altro ancora forse è gobbo, gracile e patito. Però tutti, nella loro diversità, commuovono il suo cuore. E tutti, nella diversità del loro amore, sono al servizio della sua gloria. Ma la pace è un albero lento a crescere. Occorre più luce di quanto io abbia. Nulla è ancora evidente. Io scelgo e rifiuto. Sarebbe troppo facile fare la pace se gli uomini fossero tutti uguali”.
Questi concetti sono a fondamento dell’educazione alla pace. Premetto che io parlo sempre mal volentieri di “educazione alla pace“ perché, come sostiene Maria Montessori, penso che non esista educazione che non sia educazione alla pace; comunque, anche volendo costruire un curricolo sull’argomento specifico, don Tonino ci viene in aiuto.
Dopo il saper essere, troviamo il saper fare. La premessa è che “la pace non è un semplice vocabolo, ma un vocabolario”; le indicazioni sono sul metodo e sui contenuti. “La pace è un cammino e, per giunta, un cammino in salita. Vuol dire, allora, che ha le sue tabelle di marcia e i suoi ritmi. I suoi percorsi preferenziali e i suoi tempi tecnici. I suoi rallentamenti e le sue accelerazioni. Forse anche le sue soste. Se è così, occorrono attese pazienti”.
I contenuti vanno, dalle riflessioni personali e interpersonali…
• la pace come “perdono”;
• la pace come ricerca del volto ( riconoscere i volti “altri”, mettere in luce i volti nascosti);
• la pace come “ferialità”, comportamento quotidiano nel qui e ora, sino a quelli etici, sociali e planetari;
• la pace come giustizia;
• la pace come solidarietà;
• la pace come verità (e qui stanno tutti i problemi legati alla comunicazione, all’informazione, ai giochi di potere…);
• la pace come progetto politico per il cambiamento.
Quest’ultima fase si fonda soprattutto sulla nostra capacità di infondere speranza, di alimentare la speranza insegnando e aiutando a leggere i segni che possono sostenerla. Si fonda anche sulla consapevolezza del proprio potere personale rispetto alle cose del mondo, sulla conoscenza che daremo delle possibilità di azione che ci sono concesse, sulla creatività che riusciremo ad alimentare perché nasca la voglia e la capacità di esplorare nuove soluzioni.
“E noi, non più sgomenti, come dice un poeta, staremo ad ascoltare la crescita del grano”.