MISSIONE

Don Tonino e i sud del mondo

Una chiesa che si fa ultima,
per stare con gli ultimi e lottare con gli ultimi.
Mario Pellegrino

Parlare di don Tonino Bello, in occasione del 10º anniversario della sua Pasqua, é per me una gioia e una provocazione perché la sua testimonianza ha segnato il mio cammino formativo e ora sacerdotale: laddove c´era da rimboccarsi le maniche e cingersi le vesti, o laddove mancava un asciugatoio, o la brocca era vuota d´acqua, o non si trovava il catino, lui era sempre là a “servire” e a prevenire la situazione di disagio.
Quando andavamo a trovarlo con altri miei amici di seminario nella sua casa, in me non rimanevano “concetti teorici”, ma “immagini” vive di una chiesa profetica in azione, e per questo, se dovessi scattare una sua foto, mi piacerebbe fotografarlo con il “grembiule” cinto alla vita, piuttosto che con la casula addosso e il lezionario in mano.
Da lui ho appreso che credere non é un nuovo modo di pensare soltanto, ma è soprattutto un modo nuovo di vivere e di lottare: “È impossibile accettare che nell´evangelizzazione si possa o si debba trascurare l´importanza dei problemi, oggi così dibattuti, che riguardano la giustizia, la liberazione, lo sviluppo e la pace del mondo”, ci ricorda l´Evangelii Nuntiandi; e anche per questo motivo ora mi ritrovo a vivere in Brasile, perché credo in quello che don Tonino ha vissuto: l´evangelizzazione non si può ridurre alle parole, ma deve scendere sul terreno dei fatti e i fatti devono essere evangelizzazione. Il Vangelo, oltre che annunziarlo e celebrarlo, dobbiamo viverlo senza sconti, riscoprendo i valori dell´amore, della giustizia, della verità, della libertà interiore, della purezza di spirito, della solidarietà, della rinuncia, del sacrificio.

Il suo progetto pastorale
Per parlare di “don Tonino e i Sud del mondo” vorrei ricordare la linea tematica del suo progetto pastorale: “Una chiesa che si fa ultima, per stare con gli ultimi e lottare con gli ultimi”. Innanzitutto una chiesa che si fa ultima: don Tonino amava essere l´ultimo della fila per stare dietro a Gesú Cristo, lasciandosi provocare dalla Sua Parola e mettersi al servizio di tutti; rallentava cosi il passo per prendere per mano, o a volte anche sulle spalle, chi si era fermato o caduto, o accelerava la marcia per ridestare i sonnolenti, ma soprattutto per dire a coloro che si vedevano ogni giorno superati che l´importante é arrivare dove c´é Lui.
Farsi ultimi significa lasciarsi prendere da un incontenibile bisogno di comunione che, come diceva don Tonino, per essere autentica deve essere una comunione teologica (con Dio Trinità) e ecclesiale pastorale (con gli altri). Farsi ultimi significa rinunciare al potere e alla ricchezza. Mi ricordo quando invitava noi futuri sacerdoti, a non cadere nella tentazione di “giocare” a fare gli ultimi, come se fossimo degli “attori” o dei “mestieranti”, per cui, una volta finito l´orario di lavoro, si torna a essere normali, la chiesa normale, di sempre, magari in prima fila: ci si fa ultimi non per smania di evidenza o per stare sulla cresta dell´onda, ma per rispondere alla nostra vocazione.
Con gli ultimi e con gli emarginati, potremo tutti recuperare un genere diverso di vita. Demoliremo, anzitutto, gli idoli che ci siamo costruiti: denaro, potere, consumo, spreco... Riscopriremo poi i valori del bene comune... Ritroveremo fiducia nel progettare insieme il domani... e avremo la forza di affrontare i sacrifici necessari, con un nuovo gusto di vivere”, è scritto nel documento “Chiesa italiana e prospettive del Paese”.

Gli occhi del povero
Per stare con gli ultimi, o come si dice qui in Brasile “mettersi in corpo l´occhio del povero”. Non siamo veri cristiani se rimaniamo in testa, se continuiamo a essere i primi e ci limitiamo ad aiutare la coda, a sovvenzionare gli ultimi solo mettendo mano al portafogli senza cambiare il sistema in cui viviamo. Stare con gli ultimi significa lasciarsi coinvolgere dalla loro vita, condividere la loro povertà e la nostra ricchezza, guardare le cose dalla loro parte, parlare il loro linguaggio. Significa aiutarli a crescere, rendendoli protagonisti del loro riscatto e non destinatari delle nostre strutture assistenziali.
Quante volte questa esperienza missionaria mi ha provocato e fatto capire che se vogliamo aiutare veramente tutti gli esclusi di questo sistema neoliberale, che rende i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più miseri ed esclusi, dobbiamo anche noi essere una chiesa “esclusa”, non accettata da questa società. Proprio in questi giorni, meditando sulla seconda lettera ai Tessalonicesi (2,112), facevo una riflessione sull´attuale situazione. E pensavo che l´idolatria del mercato è oggi quel “mistero di ingiustizia” presente nel mondo, quella forza dell´errore che ci fa credere nelle bugie dei potenti (vedi Bush sul caso Iraq) e non nella verità. Il testo afferma che davanti a questo mistero della ingiustizia, esistono due possibilità: l´apostasia o la pratica della verità, che sola può sconfiggere il mistero dell´ingiustizia.
L´apostasia credo che possa essere oggi interpretata nell´abbandono totale all´idolatria del mercato, all´ideologia neoliberale. L´altra possibilità è la pratica della verità: è possibile sconfiggere l´anticristo e resistere al mistero dell´ingiustizia. Chi lo può sconfiggere sono oggi coloro che praticano la giustizia e la verità, quelli che difendono la vita, coloro che vogliono costruire una società dove siano “inclusi” tutti e tutte. Ciò che sconfigge l´anticristo o il mistero dell´ingiustizia è la resistenza culturale, etica e spirituale al sistema idolatrico della globalizzazione neoliberale, è la comunità cristiana che crede nella globalizzazione della speranza, la chiesa che resiste

Il Vangelo della pace
Don Tonino, il suo cuore e il suo sorriso, era per tutti noi, vescovi d’Italia, la pace.
Da lui abbiamo imparato che la pace è il Vangelo e solo con la pace tutto si costruisce e su di essa tutto si fonda. Da lui abbiamo imparato, con la sua testimonianza e attraverso le sue parole, davvero che la pace è il Vangelo del nostro tempo e che i nuovi missionari di Cristo sono gli operatori di pace.
Da lui abbiamo imparato a costruire soprattutto un pensiero della pace che non è soltanto ripudio della guerra ma è preparare il confronto, la strada libera per un dialogo con la solidarietà, con la cooperazione, con la democrazia, con la libertà, con la giustizia e in primis con il perdono.
La grande rivelazione, la grande affermazione della azione pastorale e profetica di don Tonino era riposta nella verità del Vangelo: noi, come cristiani, possiamo fare e costruire la pace solo se adottiamo il perdono. Questo è un pensiero di pace estremamente importante che dovrebbe essere accolto, profondamente, dagli uomini e dalle donne, dalle comunità locali e dalle nazioni...
Mons. Raffaele Nogaro,
vescovo di Caserta
all´idolatria del mercato e crede nel Dio della vita.

Lottare con gli ultimi
Da qui nasce il terzo aspetto vissuto da don Tonino: il lottare con gli ultimi. Bisogna conoscere i meccanismi perversi che generano la sofferenza, capire quali sono le cause, le radici del male, e chi sono i veri autori del dolore dei nostri fratelli e sorelle poveri. Le improvvisazioni sentimentali non bastano: occorrono la competenza e lo studio. Si comprenderà allora che le cause di tante situazioni disumane non sono fatalità, ma hanno un nome ben preciso. E allora non piangeremo su chi si trova nella miseria, ma soprattutto su chi causa tanta ingiustizia e sulle nostre scelte quando queste favoriscono la logica dei potenti e le loro azioni ingiuste e bramose di guadagno a tutti i costi (anche a costo della vita umana). poveri hanno bisogno del nostro impegno di giustizia per debellare la miseria, conseguenza dell´arricchimento sfrenato dei potenti. Ora noi siamo chiamati a fare una scelta, a prendere una posizione, come ci ricordava Oscar Romero: “Essere a favore della vita o della morte: con immensa chiarezza, vedo che in questo non esiste una neutralità possibile. O serviamo la vita, o siamo complici della morte di molti esseri umani. Qui si rivela la nostra fede: o crediamo in un Dio della Vita, o usiamo il nome di Dio per servire i faraoni della morte”.
Don Tonino ha saputo scegliere... e noi?

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