Quelle armi made in Europe
Il problema dei controlli e della trasparenza.
Un quarto delle esportazioni mondiali di armi proviene dagli Stati dell’Unione Europea. La Francia e la Gran Bretagna si disputano da anni la terza posizione a livello mondiale dietro gli Stati Uniti e la Russia. Altri Paesi, tra cui la Germania, l’Italia, la Spagna e la Svezia occupano a loro volta una collocazione rilevante. I membri dell’Unione Europea giustificano questa attività con il diritto di ogni Stato a provvedere alla propria difesa. Affermano, inoltre, di rispettare regolamenti rigorosi, oltre ai criteri sanciti nel Codice di Condotta Europeo. Come spiegare, quindi, che continuano a rifornire di armi numerosi Paesi coinvolti in conflitti o che non rispettano i diritti umani? In tale contesto si colloca anche la recente approvazione al Senato del disegno legge che modifica la 185/90, la legge italiana che regola i trasferimenti di armi, e ratifica il trattato di Farnborough, firmato nel 2000 dai Ministri della Difesa di Francia, Germania, Italia, Spagna, Svezia, Regno Unito ha un impatto diretto sulle politiche e sulle procedure di controllo europee delle esportazioni. Scopo dell’Accordo è facilitare la ristrutturazione dell’industria della difesa europea in modo tale da renderla più competitiva sul mercato globale, ma rende meno rigorosi i controlli sulle coproduzioni di armi. Ma, come è stato evidenziato dalla Campagna contro i mercanti armi – in difesa della l. 185/90, le modifiche mettono a repentaglio le rigorose politiche di controllo delle esportazioni di armi che l’Italia produce insieme a industrie estere.
Un Codice di condotta
Il quadro che emerge a livello europeo evidenzia molte preoccupazioni, anche per gli scarsi controlli di alcuni Paesi sui destinatari finali delle armi vendute. L’europeizzazione non va nella direzione di migliori controlli e di maggiore trasparenza. Adottato nel 1998, il Codice di Condotta è stato un’iniziativa importante in quanto ha rappresentato un primo passo verso lo sviluppo di un sistema di controllo comune sull’export di armi da parte degli Stati Membri dell’Unione Europea e un tentativo di armonizzare le politiche nazionali attraverso un meccanismo di scambio di informazioni e consultazioni intergovernative. Purtroppo questo strumento, oltre a essere troppo vago e,
Infine, il Codice non prevede alcuna disposizione per uno scrutinio pubblico e parlamentare sui trasferimenti di armi dall’Europa, creando così uno stimolo insufficiente per una maggiore trasparenza sul commercio di armi. È necessario rettificare queste omissioni se è vero che il Codice deve raggiungere quegli obiettivi di elevati standard comuni per regolamentare severamente i trasferimenti di armi. Il quarto rapporto annuale previsto in applicazione del Codice di condotta europeo sulle esportazioni di armi non ci consente ancora di disporre di un quadro completo per una valutazione globale delle politiche europee sui trasferimenti di armi.
L’indicazione di questi dati non è né armonizzata né obbligatoria. Ad esempio la Francia indica solamente l’ammontare delle sue esportazioni, mentre Austria, Danimarca, Grecia e Irlanda indicano solamente l’ammontare delle commesse. Per questo motivo i raffronti risultano aleatori. Per alcuni Paesi destinatari conosciamo l’ammontare delle esportazioni ma non quello delle autorizzazioni, o viceversa. Sebbene in questi anni si sia allentato il livello di segretezza, spesso alimentato da una concorrenza esacerbata tra le industrie europee, si tratta tuttavia di un processo che sfugge completamente a un possibile controllo da parte dei cittadini e degli stessi parlamentari europei, afferma Bouveret, il direttore dell’Osservatorio sui trasferimenti di armi di Lione. Le informazioni pubblicate relative al numero dei dinieghi, al numero delle consultazioni intraprese e delle consultazioni richieste, da sole non permettono di misurare la realtà dell’applicazione dei criteri del Codice per ciascuno dei Paesi che ricevono e che utilizzano armi made in Europe. Infine, la lettura del documento riserva una piccola sorpresa: sono stati deliberati due rifiuti d’autorizzazione verso un Paese dell’Unione Europea. Si tratta di uno sgarbo tra Stati europei o di una reale mancanza di rispetto degli impegni internazionali da parte di un partner dell’Unione? In ogni caso, la strada da percorrere verso l’armonizzazione delle politiche di esportazione di armi è ancora lunga.
La Campagna europea
Lo scorso 27 gennaio, contemporaneamente a Roma e a Parigi, una coalizione europea di organizzazioni (Amnesty International, Pax Christi, Saferworld, MSF, IANSA e tante altre organizzazioni nazionali e internazionali) ha lanciato una nuova campagna per il controllo dei trasferimenti di armi: per chiedere che l’Unione Europea si doti di strumenti efficaci. La nuova Campagna è stata presentata a Roma da Marita Villa (Amnesty International) e Tonio Dell’Olio (Pax Christi) nel corso di una conferenza stampa in cui hanno chiesto che l’Unione Europea si doti di strumenti giuridicamente vincolanti e il blocco dei trasferimenti di armi qualora esista il rischio che le armi in questione contribuiscano a violazioni dei diritti umani o siano dirette verso zone di conflitto. In particolare, gli obiettivi della campagna europea sono il rafforzamento dei criteri del Codice di Condotta Europeo sulle esportazioni di armi e di renderlo giuridicamente vincolante e l’adozione di un’azione europea e di una legislazione nazionale per il controllo degli intermediari di armi.
Se i responsabili dei nostri Paesi e dell’Unione Europea si ritengono in prima linea nella lotta contro la proliferazione delle armi ed è tempo che le loro dichiarazioni vengano messe in atto. I cittadini dei Paesi europei vogliono mobilitarsi per richiedere che la trasparenza e i mezzi di controllo siano rafforzati: é questa la ragion d’essere della campagna europea per il controllo efficace dei trasferimenti di armi. A luglio inizierà il semestre in cui il governo italiano e i suoi diplomatici coordineranno le politiche comuni dell’Europa. E l’Italia, in forza della buona esperienza che ha maturato nel settore del controllo delle armi, grazie alla legge 185/ 90, dovrebbe spingere per innalzare gli standard. E quindi vicina l’ora in cui il presidente del consiglio Berlusconi sarà messo alla prova: sarà lui il destinatario delle richieste della società civile europea. La globalizzazione sta avanzando in tutti i campi, tranne uno: gli Stati sono e rimangono le uniche autorità effettive in materia politica e militare. Inoltre, la creazione di joint-venture e il moltiplicarsi delle coproduzioni rendono sempre più urgente la genesi e l’applicazione di regole a livello internazionale. La crescente integrazione europea non può non spingere verso l’adozione di norme comuni (ovviamente ispirate a standard di controllo elevati) in questo delicato ambito riguardo sia ai materiali militari, sia alle armi leggere. Innalzare i controlli sulle armi è una priorità, in gioco ci sono vite umane.