La scienza in mano ai militari
della Moratti fa accordi…
Il dispiegamento tecnologico degli apparati militari contro l’Iraq sollecita chi vorrebbe dare regole certe agli investimenti bellici e opporsi alla commercializzazione di ogni genere di armi, anche le più sofisticate e distruttive. Bisognerà, soprattutto in Italia, dove il governo sta dalla parte delle guerre e agisce per fare legge della deregulation, alzare il livello delle proprie buone intenzioni e approfondire l’evolversi di situazioni sempre più complesse.
A prescindere dai limiti – che non andrebbero mai rimossi – intrinseci sia alla fallibilità umana sia alla non onnipotente sofisticazione degli strumenti messi in campo in questa guerra, credo che tutti percepiscano come distanti decenni i tempi in cui si discuteva di “riconversione dell’industria bellica”. Già allora l’impresa di trasformare un proiettile in una macchinetta da caffè lasciava capire che, senza l’intervento economico e fiscale di una politica alternativa dello Stato, non si andava da nessuna parte, in nessun Paese per quanto si voglia democratico.
Oggi la complessità investe le diverse società da ogni lato, ma siamo finalmente in grado di cogliere le potenzialità della globalizzazione informatica. Per la prima volta nella storia è stato possibile organizzare grandi manifestazioni in tutto il mondo nello stesso giorno. Forse ormai ci sembra “naturale” utilizzare le nuove tecnologie, ma non sempre abbiamo chiaro che gli strumenti complessi – soprattutto quando altrettanto complessi sono tutti gli altri elementi di sistema – vanno attentamente controllati per non subirne il dominio.
Partendo dal computer vale la pena ricordare che il prototipo è nato al Pentagono, come molta della tecnologia moderna, che viene progettata e prodotta sotto l’ombrello dei ministeri della difesa. Come per gli specchi incendiari di Archimede, la ricerca scientifica interessa particolarmente i militari, che ne studiano le possibilità e la orientano ai propri fini, lasciando al mondo della produzione il successivo sfruttamento mercantile. Quando in Parlamento si delibera il finanziamento di un nuovo sistema d’arma, capita che qualcuno del governo pronunci una frase giustificativa rituale: “Poi, ci sarà un benefico effetto di ricaduta sull’industria civile”; se qualcun altro osserva che sarebbe meglio finanziare direttamente il civile e produrre “benefici effetti di ricaduta” sul militare, tutti ammutoliscono imbarazzati. Quando la ricerca scientifica si affida ai militari è logico pensare che il civile qualche rischio lo corre.
Succede in Italia
Quanti sanno che cos’è il GPS? È il posizionamento satellitare globale, che si usa perfino sulle barche da crociera, per sapere sempre dove ci si trova e come comunicare. Anche i satelliti sono una bella invenzione prodotta da ricerche che, definite “spaziali”, sono, nella quasi totalità, militari. Quelli meteorologici, per esempio: tutti vedono che chi trasmette dagli schermi televisivi le informazioni sul tempo è in divisa. Forse ai tempi antichi, quando ad Annibale serviva sapere se chi si piazzava in un certo campo per dare battaglia aveva il vento e la sabbia contro, la militarizzazione della meteorologia aveva un senso; oggi sarebbe un bel settore da civilizzare, per produrre trasparenza su quello che circola sulle nuvole (e sulle onde elettromagnetiche e sulle radiazioni ).
Oggi il Gps è in dotazione a ogni soldato statunitense, che può avere cognizione in ogni momento della sua posizione e comunicare con il comando. Anche le bombe hanno lo stesso sistema per “sapere” dal satellite dove sono posizionate e dove sta l’obiettivo: il loro computerino farà la dovuta programmazione e la bomba, diventata più intelligente, andrà dove deve andare. L’intelligenza costa e la spesa militare cresce in modo impressionante. Il bilancio degli Usa contempla spese ingenti per la Difesa e la prossima discussione parlamentare sarà ancora più pesante. Ma altre previsioni di spesa militare si possono trovare sotto la voce R&D (ricerca e sviluppo). Dei 123 miliardi di dollari destinati quest’anno al settore, il 60% andrà alla Difesa: infatti, se alla NASA spetterà, per esempio, la ricerca di un razzo a propulsione nucleare, non vi è certezza che si tratti di disinteressata progettazione astrofisica; se la destinazione è il comparto energetico, il progetto di sfruttare la fusione nucleare per produrre centrali lascia spazio, in mano al Pentagono, a utilizzazioni non necessariamente civili. Si tratta di pratiche in uso anche da noi. Ma sono destinate a complicarsi nei contratti della “ricerca scientifica”, siglati da quel MIUR, Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, che ha cancellato ogni carattere “pubblico” per fare mercato anche delle competenze educative e scientifiche. Infatti, il governo, che lesina i soldi alla vera ricerca scientifica e al CNR, ha favorito il contratto per la costruzione di quattro satelliti ad alta definizione fra l’Agenzia spaziale italiana e l’Alenia.
Si tratta del programma Cosmo-Sky-Med, dove “Med” sta per Mediterraneo: significa che quei satelliti guarderanno l’area con occhi innocenti, badando ai venti o ai gommoni dei profughi, ma potranno anche fare da gendarmi e vigilare per altri fini. È così che la ricerca dà una mano alla difesa e le fornisce soldi per obiettivi non esclusivamente tecnici e umanitari.
I privati e le guerre
Le imprese private avranno sempre più parte nel decentramento di risorse e appalti anche in questo settore degli armamenti che non può essere “come gli altri”. Ormai la gestione dei servizi dell’esercito è affidata, anche negli altri Paesi, a società private: nulla di male, se si tratta della cucina o delle pulizie, meno innocuo se, per esempio, riguarda l’addestramento dei soldati. Le armi chimiche e biologiche sono finalmente entrate nei discorsi comuni, almeno tutte le volte che si parla di terrorismo. Sono mezzi “poveri”, che possono essere alla portata di tutti, Paesi o gruppi interessati, e sono di fatto incontrollabili. I governi negano di esserne forniti, ma è affermazione così poco credibile che la stampa, anche italiana, ha potuto dare, per esempio, la notizia a fine anno del 1995 che un cittadino americano affiliato all’associazione Nazione Ariana, il microbiologo Larry Wayne Harris, si era fatto spedire per posta
Anche in Italia esiste, a Firenze, un Istituto farmacologico militare che ha, tra gli altri, il compito di predisporre i vaccini e gli antidoti in caso di attentati chimici o biologici; attualmente lavora per il normale supporto ai militari in missione, ma “non è pervenuta alcuna comunicazione ufficiale da parte del governo” (così il generale Nicola Falanga in un’intervista a Unità, 4 febbraio 2003) per eventuali finalità di prevenzione civile. L’affermazione è grave perché in caso di necessità l’industria privata potrebbe non avere a disposizione tutti i farmaci necessari e andrebbe previsto in anticipo il coordinamento con il Ministero della Sanità. Per giunta, il taglio dei finanziamenti della legge finanziaria ha coinvolto anche l’istituto in questione, cosicché sembra che il terrorismo preoccupi il governo solo per incutere paura alla gente. La stessa protezione civile, allertata dal governo italiano in una ipertempestiva “emergenza” non potrà mai venire “militarizzata” in prassi di interventi “sostitutivi” che ne produrrebbero la degenerazione. Il futuro avrà sempre più rischi derivanti dalla complessità dei problemi e dalla sofisticazione tecnologica; ma il rischio maggiore è che ne diventino arbitri i militari. Per questo i democratici chiedono regole certe che garantiscano da abusi la società civile. Ma anche la società civile può e deve farsi carico di avere più informazioni, di esigere trasparenza, di chiedere conto ai governanti rispetto ad ambiguità, occultamenti, presumibili abusi. È anche così che la pace preventiva potrà sostituire la guerra, ahimè definita anch’essa “umanitaria”.