Infanzia nel mondo
Difficile parlare di un rapporto sulla “condizione dell’infanzia nel mondo”, in questo periodo in cui i bambini iracheni, ma anche i figli e le figlie dei soldati e delle soldatesse occidentali, subiscono le conseguenze di una guerra che non hanno voluto, né – per quanto poco sia giustificabile – provocato (sono migliaia i bambini americani – anche neonati – affidati ai parenti perché mamma e papà hanno messo al primo posto nella scala dei propri valori, la “patria”…).
Comunque già a dicembre 2002, quello che si leggeva nel rapporto Unicef erano dati allarmanti. I bambini non registrati alla nascita sono 50 milioni: il 41% delle nascite nel mondo. 11 milioni di bambini sotto i 5 anni muoiono per malattie facilmente prevenibili con vaccini. 120 milioni di bambini in età scolare (il 53% sono femmine), non vanno a scuola. 100 milioni di adolescenti lottano per sopravvivere nelle grandi città. La povertà è la principale causa di compromissione dello sviluppo fisico e mentale di 150 milioni di bambini.
6000 giovani al giorno contraggono il virus dell’Aids. In alcuni Paesi (soprattutto africani), oltre il 50% di bambini tra 0 e 14 anni sono orfani a causa del virus.
211 milioni di minori lavorano: un bambino su 8 nel mondo (180 milioni) è coinvolto nelle peggiori forme di lavoro minorile. La tratta dei minori coinvolge ogni anno 1.200.000 bambini e adolescenti, per un business da un miliardo di dollari.
Dal 1990, oltre 2 milioni di bambini sono stati uccisi e 6 milioni sono stati gravemente feriti nelle guerre. 120.000 bambini, solo in Africa vengono arruolati ogni anno, con la forza, in campi militari. E poi c’è l’Iraq …
La parte di proposta pratica è quella che riguarda la partecipazione dei bambini perché “ogni generazione deve confrontarsi con nuove sfide: una delle nostre è imparare ad ascoltare la voce e le opinioni dei bambini”.
Il rapporto è incentrato sulla responsabilità degli adulti perché cerchino di comprendere le aspettative e le opinioni dei ragazzi, tenendo in seria considerazione i loro punti di vista, e aiutino i bambini e gli adolescenti a sviluppare le loro competenze affinché la loro partecipazione sia autentica e significativa: “…La partecipazione richiede che gli adulti ascoltino i bambini in tutte le loro molteplici e variegate forme di comunicazione. (…) Ascoltare le opinioni dei bambini e dei ragazzi non significa dover abbracciare a ogni costo i loro punti di vista. Piuttosto interessare i bambini e i ragazzi al dialogo, coinvolgendoli in un proficuo scambio di idee per permettere loro di apprendere i meccanismi attraverso cui influire in modo costruttivo sulla realtà che li circonda. Il dare e il ricevere proprio della partecipazione stimola i ragazzi a un’assunzione progressiva di responsabilità, contribuendo alla loro formazione quali futuri cittadini tolleranti, attivi e democratici... ”.
L'Unicef fa proprie tutte le più importanti teorie pedagogiche dell’ultimo periodo: a comunicare si impara, ad ascoltare si impara, ed è fondamentale essere competenti (sottolineo la competenza che non equivale alla tecnica!) nella comunicazione e nell’ascolto per instaurare rapporti educativi significativi.
“Il migliore inizio possibile” avviene in famiglia, assecondando, nel primo anno di vita, le inclinazioni naturali del bambino e contribuendo così, al suo benessere emotivo. La mancanza di cure, l’alternarsi continuo di persone che si occupano del bambino, i maltrattamenti, creano un terreno fertile all’insicurezza, alla mancanza di fiducia nell’altro, all’incapacità di dare e ricevere affetto, al mancato sviluppo della coscienza critica e del sentimento di solidarietà.
Anche nella scuola, viene auspicato che sempre più vengano adottate metodologie didattiche che favoriscano al massimo la partecipazione dei bambini, che promuovano l’apprendimento partecipativo piuttosto che la trasmissione di nozioni e l’assimilazione acritica e passiva.
Metodi previsti, per esempio, dal Progetto Escuela Nueva in Colombia, dove hanno dato ottimi risultati attraverso una sperimentazione condotta in 25 scuole delle aree più violente del Paese, risultati verificabili in termini di comportamenti democratici e partecipativi.