Don Tonino martire della nonviolenza
I dieci anni dalla morte di mons. Tonino Bello sono stati ricordati prima ad Assisi, con il Convegno promosso dalla Fondazione, poi ad Alessano, promotori la diocesi di Ugento e la comunità civile ed ecclesiale della città dov’è nato e dov’è sepolto, poi a Molfetta, promotrici la diocesi di cui era vescovo, La Meridiana, il seminario regionale pugliese, la fondazione “don Tonino Bello di Alessano”, la Scuola di Pace di Molfetta e Pax Christi.
È stato quest’ultimo un convegno importante, sia per il livello dei relatori (di…quasi tutti: lo dico per modestia!) sia per la partecipazione della gente, delle quattro città della diocesi (Molfetta, Ruvo, Giovinazzo, Terlizzi) e di molte altre parti della Puglia e d’Italia. Ha messo in evidenza – il convegno – il fascino che riscuote la figura di “don Tonino” e come, al di là del rischio di una commemorazione brillante ma superficiale, la sua figura rivesta sempre più la dimensione del profeta, cioè del portatore di un messaggio di Dio, di fronte al quale – singoli e comunità – dobbiamo fare un esame di coscienza ed impegnarci in un rinnovamento di convinzioni e di stile di vita.
Penso, ad esempio, da una parte alla sua fede profonda in DioSS. Trinità ed in Gesù Cristovero Dio e vero uomo, ma dall’altra come da questa sua fede sincera ricavasse l’impegno di attenzione a tutti, proprio a cominciare – come Gesù – dai più piccoli e dai più poveri.
Ed è questo un motivo persistente di rinnovamento per ciascuno di noi, sempre tentati di “amare il prossimo” e di “odiare il nemico”, cioè di mettere in secondo piano chi, per qualunque motivo, è diverso da noi; ma lo è anche per le comunità, civili ed ecclesiali, sempre tentate di chiudersi in sé e di dimenticare – se non di emarginare – chi è “lontano”.
Ma questo è anche un motivo per riscoprire le radici e il dovere della comunione e della pace, in tempi di disinteresse, di sfruttamento, di violenza contro chi rivendica giustizia e libertà.
Se don Tonino – l’ho richiamato doverosamente – ha ricevuto tanto dalla sua famiglia e dalla sua terra, ha ricavato per altro da Pax Christi e dalla esperienza del movimento l’approfondimento del tema della pace, il suo collegamento così stretto col Vangelo e la necessaria connessione con i problemi della coscienza e della solidarietà; in cambio ci ha tanto aiutato ad approfondire e a sviluppare il tema della nonviolenza, a cominciare dalla vita dei singoli e della chiesa, fino alla dimensione della vita dei popoli e del mondo. Sono convinto che don Tonino è morto “martire” della nonviolenza, della sua testimonianza così forte di fronte alla guerra del Golfo, a quella della Bosnia (il discorso di Sarajevo!), dell’accoglienza degli immigrati, di fronte a tante chiusure e a tante ipocrisie, a tante violenze.
Credo che il vero modo di testimoniare la stima e l’affetto per don Tonino, al di là dei facili trionfalismi, sia proprio quello di riconoscere la profondità e l’attualità di questo messaggio, così evangelico ma così frainteso e trascurato. Il grazie dunque che diciamo a don Tonino deve tradursi in adesione alla sua fede e in continuità col suo impegno.
Solo allora potremo pensare che il nostro don Tonino, purificato dalla lunga sofferenza offerta per la sua gente e il popolo della pace, sarà davvero “beato”!