Europa, quale difesa
“Un’Europa sicura in un mondo migliore” è il titolo del documento che Javier Solana, Segretario Generale del Consiglio Europeo e Alto Rappresentante dell’Unione Europea per la Politica Estera e di Sicurezza Comune (la cosiddetta PESC), ha consegnato al Consiglio Europeo, che ha chiuso la Presidenza greca, a Salonicco, nel giugno scorso.
In 17 pagine viene designato lo scenario internazionale che vede l’Unione (“25 Stati con una popolazione di oltre 450 milioni di persone che produce un quarto del prodotto nazionale lordo del mondo”) come un “attore globale” in grado di “assumersi la sua parte di responsabilità per la sicurezza mondiale”. Sulla scena mondiale, ovviamente bisogna fare i conti con gli Stati Uniti che, con la fine della guerra fredda, “si sono ritrovati in una posizione dominante dal punto di vista militare: nessun altro Paese, né gruppo di Paesi, può disporre di capacità paragonabili alle loro”. Tuttavia, a dispetto di quanto successo con l’Iraq, Solana avverte: “Nessun Paese è in grado, da solo, di af frontare i problemi complessi di oggi”.
Le “nuove minacce”
Il documento si dilunga poi nell’illustrare il “nuovo contesto” nel quale si trova il nostro pianeta. Si parla di conflitti regionali, povertà, malattie, malgoverno, degrado ambientale e di insicurezza nell’approvvigionamento energetico (“Circa il 50% del consumo energetico dell’Europa dipende attualmente dalle importazioni, una percentuale che salirà al 70% nel 2030”). Ma in realtà esistono, secondo il documento di Solana, tre tipi di nuove minacce che investono direttamente l’Europa. La prima minaccia è il terrorismo: l’Europa si trova a essere, al tempo stesso, obiettivo e base dei terroristi. Da dove origina tale minaccia? “La più recente ondata di terrorismo è connessa al fondamentalismo religioso violento che scaturisce da cause complesse, tra cui la pressione della modernizzazione, le crisi culturali,
La seconda e più importante minaccia alla pace è la proliferazione delle armi di distruzione di massa. Ovviamente, queste due minacce, insieme, costituirebbero un miscela… esplosiva. Infine, la terza minaccia: l’indebolimento delle strutture statali e sociali causato dalla prevaricazione della criminalità organizzata. In questo scenario di morte (la cui drammaticità è supportata da tanto di sondaggio a livello europeo sulla percezione della paura da parte dei cittadini) il Vecchio Continente ap pare sempre come la “vittima” e mai anche come “complice”: se l’Africa pullula di conflitti e povertà, ad esempio, sarà mica solo colpa del continente nero? O se i terroristi possono impossessarsi di armi di distruzione di massa ci dev’essere qualcuno che possiede tali armi e magari fa affari su di esse?
O se, infine, Somalia, Liberia e Afghanistan (e ci permettiamo di aggiungere l’Iraq) sono gli esempi più recenti di “collasso delle istituzioni pubbliche” forse è anche “grazie” all’Occidente?
Ebbene, di fronte a questo scenario, l’Europa unita si pone tre obiettivi strategici: “Innanzi tutto possiamo apportare un contributo specifico alla stabilità e al buon governo nelle regioni limitrofe. In secondo luogo, più in generale, dobbiamo costruire un ordine internazionale basato sul multilateralismo effettivo. Occorre infine che affrontiamo le minacce, le nuove e le vecchie”.
Il primo obiettivo è dunque quello di creare un “cerchio di Paesi ben governati a est dell’Unione europea e lungo il Mediterraneo”. Il modello, per intenderci, è quello dei Balcani dove, tra l’altro, recentemente l’UE è subentrata alle Nazioni Unite nella missione di polizia in Bosnia-Erzegovina e alla NATO nell’operazione militare nella FYROM (Macedonia).
Nato o Nazioni Unite?
Il secondo obiettivo strategico è quello più arduo: rafforzare l’ordine internazionale che si traduce nello “sviluppo di una società internazio nale più forte”, nel “buon funzionamento delle istituzioni internazionali” e in “un ordine internazionale basato sul diritto”. È tuttavia curioso notare come il documento di Solana citi prima la NATO e poi le Nazioni Unite, che vanno rafforzate e dotate dei mezzi necessari ad assolvere i propri compiti. Segue un messaggio esplicito ai membri dell’Unione: “Se desideriamo che le organizzazioni, i meccanismi e i trattati internazionali siano in grado di far fronte alle minacce che incombono sulla pace e la sicurezza internazionali dovremmo essere pronti a entrare in azione quando le norme da essi sancite sono infrante.” Anche se poi subito dopo si ricorda che “un impegno preventivo può evitare problemi futuri più gravi”.
Anche il contrasto delle nuove minacce, il terzo obiettivo strategico, sembra insistere sulla prevenzione: “La prevenzione dei conflitti e della minaccia non inizia mai troppo presto”. Finalmente si intuisce che “nessuna delle nuove minacce è di natura puramente militare né alcuna di esse può essere affrontata con mezzi solamente militari”. Una semplice dichiarazione d’intenti? Da tutto ciò derivano alcune implicazioni politiche per il governo di un’Europa a 25 che potrà vantare una spesa complessiva di 160 milioni di euro per la difesa. Ad esempio, la capacità di condurre più operazioni contemporaneamente, con interventi “tempestivi, rapidi e, se necessario, vigorosi”.
Ma qui il documento di Solana entra un po’ più nello specifico per indicare le priorità. La prima è quella di destinare maggiori risorse per la difesa. C’è poi l’esigenza di razionalizzare gli strumenti di difesa che, in un’Europa a 25, soffrono di duplicazioni onerose per l’Unione (basti pensare ai 25 eserciti, marine militari, aviazioni, stati maggiori…) insieme all’esigenza di utilizzare le risorse civili nelle situazioni di crisi e post-crisi. Ma anche la migliore utilizzazione delle risorse della diplomazia (sono 45.000 i diplomatici nell’UE) e il maggiore scambio di intelligence tra gli Stati membri può aiutare a rafforzare la politica di sicurezza comune, senza escludere di allargare la gamma delle missioni ampliando quelle di Petersberg in materia di disarmo, di lotta contro il terrorismo e di riforma del settore della sicurezza. Fin qui le linee politiche che la nuova Europa si dà in materia di difesa comune. Ma a Salonicco, nel giugno scorso, non c’è stata solo la
Quali le proposte dei quattro? Introdurre nella futura Costituzione europea la possibilità di “cooperazioni rafforzate” in materia di difesa e una clausola generale di solidarietà e sicurezza comuni che leghi tutti gli Stati membri, nonché la riformulazione dei compiti di Petersberg, la creazione di un’Agenzia per lo sviluppo delle capacità militari comuni e la creazione di un “Collegio europeo” per la diffusione di una cultura sulla sicurezza europea.
Infine i quattro hanno proposto che la Convenzione adotti il concetto di “Unione europea di Sicurezza e di Difesa (EUSD)” per quegli Stati che “vogliano andare più rapidamente e più lontano” nel rafforzamento della loro cooperazione in materia di difesa. Nel frattempo, i 4 governi aumenteranno le iniziative volte a armonizzare le proprie strutture militari (in materia di formazione del personale, di equipaggiamento, di armamenti, di comandi militari comuni, ecc.). Da non dimenticare che questi stessi Stati (insieme alla Spagna) da anni hanno creato il cosiddetto “Eurocorpo” (nato nel 1992 per decisione franco-tedesca), costituito da 50.000 uomini e che si colloca nell’ambito delle forze dipendenti dall’Unione dell’Europa Occidentale ma che può operare anche in ambito NATO.
La nuova Costituzione
Nel progetto di Costituzione si parla anche della competenza dell’Unione in materia di politica estera e di sicurezza comune, compresa “la definizione progressiva di una politica di difesa comune che può condurre a una difesa comune”: da notare la differenza tra “politica di difesa comune” e “difesa comune, mentre l’art. 40 precisa che quella “condurrà a una difesa comune quando il Consiglio europeo, deliberando all’unanimità, avrà così deciso”. Il previsto ministro degli affari esteri dell’Unione guida la politica estera e di sicurezza e di difesa comune, che è fondata sullo “sviluppo della reciproca solidarietà politica degli Stati membri, sull’individuazione delle questioni di interesse generale e sulla realizzazione di un livello di convergenza delle azioni degli Stati membri in costante crescita”.
Si prevede inoltre che, prima di intraprendere qualsiasi azione sulla scena internazionale o di assumere qualsiasi impegno che possa incidere sugli interessi dell’Unione, ciascuno Stato membro consulta gli altri in sede di Consiglio europeo o di Consiglio dei ministri, così come è prevista la consultazione regolare del Parlamento europeo. Allo stesso modo, si prevede che alcuni Stati possano instaurare tra loro una “cooperazione strutturata”, assumendo impegni più vincolanti dal punto di vista militare e al fine di condurre missioni più impegnative.
La Costituzione precisa anche che tale politica comune non pregiudica la politica di sicurezza e di difesa di “taluni Stati membri” (ad esempio dei Paesi neutrali) e che è compatibile con gli obblighi derivanti dall’appartenenza alla NATO. Inoltre, gli Stati membri mettono a disposizione dell’Unione “capacità civili e militari” e “s’impegnano a migliorare progressivamente le loro capacità militari”. In tale contesto, viene istituita “un’Agenzia europea per gli armamenti, la ricerca e le capacità militari” col compito di “individuare le esigenze operative, promuovere misure per rispondere a queste, contribuire a individuare e, se del caso, mettere in atto qualsiasi misura utile a rafforzare la base industriale e tecnologica del settore della difesa, partecipare alla definizione di una politica europea delle capacità e degli armamenti, e di assistere il Consiglio dei ministri nella valutazione del miglioramento delle capacità militari”.
L’articolo 212 del progetto di Costituzione precisa i compiti di questa Agenzia, posta sotto l’autorità del Consiglio dei ministri, cioè dei governi statali dell’Unione. Dunque l’Europa cerca faticosamente di trovare, da un lato, una politica estera e di difesa (i due termini sembrano ormai indissolubilmente legati e il secondo si connota praticamente come militare) comuni e, dall’altro, di scrivere delle regole che possano garantire un’unitarietà che sarà sempre più difficile raggiungere quando l’Unione sarà composta da 25 Stati e si dovrà tener conto delle inevitabili “interferenze” provenienti dall’esterno dell’Unione, come si è visto nel caso della guerra all’Iraq.