Nomadi per scelta
Le religioni possono liberarsi dalle paure e dalla sete di potere.
Scegliendo di essere nomadi.
È in quest’incertezza che camminano i popoli, e che con loro emigra la fede. Un nuovo nomadismo attraversa la storia e la fede, come in altri momenti storici, espatria. Nomadismo, fenomeno sociale, politico, economico ed esistenziale: la mobilità e il nomadismo in massa dei lavoratori [...] sempre esprimono una ricerca di liberazione: resistenza contro l’orribile condizione di sfruttamento e la ricerca di libertà e di nuove condizioni di vita [...] sarebbe interessante scrivere una storia dal punto di vista dei mondi di produzione, dal punto di vista del desiderio di mobilità dei lavoratori (dal campo alla città, dalla città alla metropoli, da un paese all’altro, da un continente all’altro)[...] questo movimento è irresistibile (Michael Hardt e Antonio Negri). Ricerca di libertà, sogno, desiderio o semplicemente vita... e la fede soggiace. La fede parlerà, troverà ancora una volta la creatività dell’iniziativa perché la vita divina continui a resistere dentro la trama storica più sottile e segreta.
Nomadismo religioso
Nomadismo dunque, non solo fenomeno sociale, ma anche fenomeno religioso, mistico-politico, nuova missionarietà delle religioni, nuovo universalismo religioso: verranno e diranno, saliamo al monte del Signore (Is 2,23). In questo nomadismo le religioni potrebbero liberarsi delle proprie paure, ma anche dei rispettivi poteri. Se le religioni riconoscessero questo, la fede già non sarebbe un potere, un deposito o un tesoro nelle loro mani, ma un
AlHasan Nuri, in Salmi Sufi. Canti della spiritualità musulmana, Icone Edizioni, Roma 2004
Nostalgia e resistenza, fedeltà e resistenza, vita, tanta sete di vita, nudità della fede che risplende nel nomadismo dei corpi di donne e uomini che non pretendono altra cosa che la vita, l’acqua viva, secondo le parole del Vangelo di Giovanni. Sete, la sete che spiazza il potere sicuro delle religioni: Credimi donna, per voi è giunta la ora di adorare il Padre. Però non sarà su questo monte, né in Gerusalemme [...] i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità (Gv 4,21-23).
La cerva assetata
Non in questo monte o in un altro, ma... anche le religioni emigrano, se ne vanno quando la fede accompagna la vita segreta dei popoli, i nuovi e veri adoratori in spirito e verità, atteggiamenti etici, sete di giustizia e verità, autenticità della vita, ricerca dei gesti originali che ricreano la vita, giorno dopo giorno, ora dopo ora; sogni di pace, diritto, liberazione. Come la donna samaritana, riprendono la parola, riacquistano la voce profetica della vita, superano i confini dei pozzi religiosi, delle anfore che
L’alterità sociale, che non è solo anagrafica. Perché l’essere donna, ai tempi di Gesù, non è solo una diversità anagrafica, ma anche culturale, giudaica.
L’alterità razziale. È una samaritana. Spregevole, quindi, per un ebreo nella cui mente veniva introdotto con forza il concetto di superiorità.
L’alterità morale. È una “ poco di buono”, che, per giunta, si confronta con un uomo di Dio.
L’alterità religiosa. Appartiene a un’altra parrocchia, a un’altra confraternita.
È un simbolo. È per questo che non ha un nome proprio. Ed è un simbolo anche delle alterità più vistose con le quali anche noi oggi ci confrontiamo.
È per questo che l’atteggiamento di Gesù può offrirci un forte paradigma comportamentale.
Paradigma che può essere descritto con questi tre segmenti: Gesù rende questa donna, questa straniera, questa poco di buono, questa scomunicata:
- protagonista di scambio e non semplice beneficiaria di un dono;
- destinataria di una grande rivelazione di salvezza e non semplice terminale di parole consolatrici;
- soggetto di missione “ad gentes” e non semplice spazio di annuncio.
Don Tonino Bello
Parola a rischio. Dobbiamo imparare a rischiare se vogliamo davvero vivere, anche le religioni devono lasciarsi portare dove vanno i loro pellegrini. Certamente, i pellegrini nomadi che vanno, che emigrano, non sono quelli che solitamente girano intorno al tempio; i pellegrini che emigrano che cercano le sorgenti d’acqua, come la cerva assetata... i pellegrini che emigrano, questi nuovi nomadi, non sono le masse turistiche degli esotici mercati in cerca di emozioni, non sono nemmeno gli ufficiali visitatori dei santuari, e dei musei religiosi e artistici, ma piuttosto uomini e donne che hanno davvero sete, uomini e donne che partono con nostalgia, che si sentono quasi castigati ad andare via, a lasciare la propria terra, come il salmista sufi. Sono uomini e donne che cammineranno morendo di nostalgia, che vanno con la sete nel cuore, che soffrono il sapore differente dei loro prodotti, che soffrono l’assenza della melodia dei loro linguaggi, e il calore dei propri gesti.
Scambi di sapienza
Le religioni emigrano con loro quando diventano complici di queste lunghe carovane di nomadi in cerca di vita, quando li aspettano e ricostruiscono nuovi spazi, dove le religioni si scambiano la sapienza e inventano una storia futura, in cui non si discute per la paura di perdere il proprio spazio, ma solo si coltiva un altro tempo e altre storie, altre geografie che i nomadi, e solo i nomadi, hanno osato con la loro sete e che le religioni solo devono raccogliere. Alle religioni chiediamo che facciano una nuova scelta: chiediamo che scelgano ancora una volta dove andare a cercare i lineamenti del loro Dio, che tanto anelano e dicono di amare.
Alle religioni chiediamo di riconoscere chi sono i veri (o le vere) protagonisti che le mantengono ancora vive. Sappiamo benissimo che, ancora una volta, come nel Medioevo, non abbiamo bisogno degli ordini cavallereschi, militari, che hanno custodito le terre considerate “sante” e i sepolcri dei
E tutto ciò perché Lui si manifesti.
AlHasan Nuri, in Salmi Sufi. Canti della spiritualità musulmana, Icone Edizioni, Roma 2004
Ciò di cui abbiamo bisogno sono le esuberanze di desiderio (gli hebionìm biblici) che nella loro nudità emigrano in cerca di vita. Le religioni non dovranno avere paura degli immigranti, non dovranno avere paura degli stranieri, perché il volto divino è ancora troppo nascosto perché si possa dire che già lo conosciamo, e la verità ancora troppo confusa per poter dire che abita con noi, e questi volti potranno rivelarci qualcosa di prezioso. I templi potrebbero trasformarsi e sarebbero meno vuoti se fossero il luogo dell’accoglienza. Le liturgie sarebbero meno insipide e più esistenziali se diventassero il tempo della celebrazione della sopravvivenza e della vita di tutti. La dottrina sarebbe meno morta se raccogliesse la narrazione della vita e della fede delle infinite culture che la esprimono e i nostri canoni e libri sacri non sarebbero lettera morta, ma un gemito o un grido, simile all’alito di vita di una donna incinta, ventre abitato da un nuovo sogno.