Nel covo dei latitanti
Per liberare la fede.
In occasione della ricorrenza della Festa della Liberazione l’allora Presidente della Repubblica Ciampi ha parlato della Costituzione italiana come di una “Bibbia civile”, un testo che ispira principi e valori del vivere comune. Poteva usare un’altra espressione, invece, per sottolineare l’alto valore della Costituzione, ha parlato di “Bibbia”. In questi giorni più che mai c’è da chiedersi perché nei covi dei latitanti di mafia sia stata ritrovata l’altra Bibbia, quella canonica? Anche nel casolare di Provenzano ve n’era più d’una. Come possono persone condannate per gravi reati contro altre persone accompagnarsi con la Bibbia dei cristiani? Per i cristiani e per la Chiesa cattolica questo fatto dovrebbe risultare un po’ inquietante. Perché questo significa che c’è qualcosa che non va. Se, infatti, per i credenti il libro della Bibbia racchiude la testimonianza della parola di Dio, una parola di vita, di amore e di libertà, come è possibile che questo testo sia messo accanto a esperienze di morte?
Probabilmente alle spalle di questa situazione vi è una lettura distorta del primato della vita spirituale sulla vita temporale e sociale. Secondo questa concezione, l’importante è essere in pace con Dio, essere giusti davanti a Dio, del proprio Dio. Tutto il resto o non conta o è secondario. Questa concezione del primato della dimensione “spirituale” su quella sociale poggia, a sua volta, su un’altra concezione, anch’essa distorta, della contrapposizione tra Chiesa e Stato. La Chiesa, si pensa, è il vero potere da riconoscere perché essa rappresenta Dio.
Essa è l’istituzione che detiene il governo della dimensione spirituale, di ciò che conta veramente. Questa funzione di “governo” spirituale, in nome di Dio, essa la esercita simbolicamente, per esempio attraverso la celebrazione dei sacramenti. Basta essere in regola con i sacramenti in una accezione evidentemente solo giuridica e ritualistica, e si è a posto. Si è in regola. Si è buoni cristiani. Così facendo si è in pace con il potere della Chiesa e, perciò, si è in pace anche con Dio. La pace con gli altri di cui parla Gesù diventa marginale. Gli altri possono essere magari oggetto di assistenza, ma non interlocutori dei quali farsi carico. In questa visione lo Stato è quasi un incidente di percorso, che si può sopportare, tollerare, ma senza mai dargli dignità e rispetto.
Siamo di fronte a una visione anche politica del rapporto tra Chiesa e Stato. Siamo di fronte a una visione privatistica della fede, secondo la quale non è necessario costruire qualcosa con gli altri, con la comunità umana, meno che mai con la comunità politica (a meno che questa non sia asservita ai propri disegni). La fede è un fatto privato che si cura solo sul piano formale-giuridico, ma non sul piano delle relazioni, cioè del farsi prossimo, della responsabilità comune e pubblica.
Questa visione privatistica della fede è stata sostenuta da una teologia che ha enfatizzato, prima di tutto, l’aldilà e la salvezza dell’anima individuale. Trascurando di ricordare che il futuro di Dio rinvia al presente. Dimenticando che il regno di Dio non può essere una consolazione individuale futura a scapito della responsabilità verso gli altri nel mondo. Dimenticando che non c’è salvezza personale se non si salvano anche gli altri. Si è preferito, in buona fede, dedicarsi a privilegiare una insistita predicazione di etica sessuale e familiare, e si è rimandata a tempi migliori la predicazione dell’etica della responsabilità nel mondo e per il mondo. La concezione familistica ed egoistica della mafia da tutto ciò non poteva che esserne rafforzata. In questa logica spesso i “pizzini” ritrovati nei covi dei latitanti terminano con un saluto di benedizione o con il richiamo “sia fatta la volontà di Dio”. Ma di quale volontà di Dio si parla? Si è pensato di poter manipolare la volontà di Dio. Di una volontà di Dio interpretata e piegata ai propri interessi e alle proprie logiche di dominio e di denaro, dimenticando che la volontà di Dio è il benessere di tutte le persone.
A questo punto si comprende che la Bibbia canonica sul comodino dei latitanti altro non è, simbolicamente, che il suggello e la legittimazione di questo modo errato di concepire la fede, la società e l’essere nella Chiesa. Se nei seminari nella formazione dei futuri preti oltre alla Bibbia canonica, si aiutasse a conoscere anche la “Bibbia civile”, a farsi ispirare dalla Costituzione italiana, forse ne guadagnerebbe in credibilità anche la predicazione del Vangelo e si aiuterebbero molti a liberarsi da insane incrostazioni religiose.