I fantasmi di Chernobyl
Dopo più di 60 anni dall’inizio dell’Era Nucleare, questa tecnologia - militare e civile - riserva molti lati oscuri, e la popolazione è in balia di informazioni confuse e distorte.
Le conseguenze dei crimini di Hiroshima e Nagasaki sono ancora soggette a discussioni e revisioni. Fino al 1963 furono eseguite 530 esplosioni nucleari nell’atmosfera. Nel ventennale del più grave incidente nucleare, quello di Chernobyl, vi è stata una gara a sdrammatizzare, ma le conclusioni più attendibili sono che “non conosciamo le conseguenze, e forse non le sapremo mai”. Intanto si moltiplicano le spinte per una ripresa del nucleare civile, dietro l’allarme per la crisi energetica e climatica, tra una ridda di dati contrastanti sui costi e le soluzioni per le scorie radioattive. Sul fronte militare le potenze nucleari, in flagrante violazione degli obblighi sanciti dal Diritto Internazionale, mantengono tremendi arsenali, e si apprestano ad ammodernare e a usare realmente le armi nucleari. Lo spettro dell’olocausto nucleare ritorna più vivo che mai! Malgrado la complessità, è necessario fornire elementi più seri di riflessione.
La proliferazione sia con voi
È propedeutico iniziare dal nucleare militare. Ci sono due strade per realizzare le bombe: l’arricchimento dell’uranio, al 2-3% per i reattori civili, ma oltre il 90 % per le bombe (la strada seguita dal Pakistan); o l’estrazione del plutonio prodotto nei reattori mediante il ritrattamento del combustibile esaurito (strada seguita dall’India). Il Trattato di Non Proliferazione (Tnp) del 1970 venne concepito proprio per garantire la commercializzazione della tecnologia nucleare civile, cercando di evitare diversioni militari, dietro l’impegno del disarmo nucleare totale.
Esistono oggi rischi di proliferazione nucleare, e da chi provengono? L’Iran sostiene di sviluppare solo programmi civili, non vi sono a oggi indizi di attività militari (che andrebbero comunque impedite, senza per questo bombardare il Paese): tutti concordano che comunque ci vorrebbero 7-10 anni per realizzare la bomba, e in ogni caso Teheran non potrebbe assolutamente colpire il territorio americano.
La pretestuosità delle denunce dell’Iran è dimostrata dai rischi ben più
è un fatto incontrovertibile che tutti i Paesi che in questi decenni hanno avviato programmi nucleari “civili” hanno avuto e hanno lo scopo esplicito di realizzare armi nucleari: affermare il contrario è pura ipocrisia.
Angelo Baracca, A volte ritornano: il Nucleare. La proliferazione nucleare, ieri, oggi e soprattutto domani, Jaca Book, Milano 2005
Da anni Tokyo sostiene di doverlo usare come combustibile nei reattori velo ci, e mescolato con l’uranio (MOX: Mixed Oxide, con il 3-10% di plutonio) nei reattori convenzionali (termici). Ma il programma dei reattori veloci è fermo, e l’uso del MOX ha incontrato difficoltà che non lo hanno ancora reso possibile. Perché dunque continuare ad accumulare plutonio?
Un’ulteriore circostanza molto grave, poco nota, è che le tecniche di controllo disponibili per le verifiche della Iaea sul plutonio hanno incertezze intrinseche di qualche percento: in un impianto che riprocessa tonnellate di plutonio, è assolutamente impossibile rivelare la scomparsa o il mancato rendiconto di decine di chili di plutonio, quando ne bastano pochi chili per realizzare una bomba. Altro che i programmi dell’Iran!
La ripresa della proliferazione nucleare a livello mondiale è appesa a un filo. Se la Corea del Nord avesse realizzato, come sostiene, alcune testate, potrebbe decidere di eseguire un test qualora le altre strade si chiudessero. Se questo avvenisse, il Giappone, la Corea del Sud e Taiwan deciderebbero immediatamente di realizzare armamenti nucleari.
Rilancio del nucleare civile?
La produzione di plutonio al mondo deve cessare: sono state prodotte ben 1.250 tonnellate di plutonio civile, di cui 250 separate per riprocessamento, esattamente quanto le 250 tonnellate di plutonio militare! Ma gli Usa si oppongono a un trattato che limiti la produzione di materiale fissile.
Questa considerazione ci porta direttamente al nucleare civile e all’intrinseca ambiguità di questa tecnologia. Esistono al mondo poco più di 400 reattori, molti dei quali si avvicinano alla fine della vita operativa. Nessuno sa ancora cosa fare delle enormi quantità di scorie radioattive accumulate, da custodire per migliaia di anni (le prossime due ere glaciali!): solo gli Usa stanno studiando la realizzazione di un deposito sotterraneo, a Yucca Mountain (neanche a farlo apposta in territorio indiano), ma i problemi e le contestazioni sono ancora forti. Lo smantellamento di centinaia di centrali comporta tempi, problemi e costi enormi.
Da 25 anni, dopo il gravissimo incidente di Harrisburgh del 1979, l’industria elettrica americana (privata) non ordina centrali nucleari: ma di fronte alla crisi del petrolio l’industria nucleare fiuta grandi affari, e il piano energetico approntato da Bush prevede forti sovvenzioni (il liberismo conta quando fa comodo!). Una centrale nucleare comporta maggiori tempi (10 anni) e costi (1,5-3 miliardi) di costruzione rispetto a una termoelettrica, ma minori costi di esercizio. Il costo dell’energia prodotta rimane più alto, ma le previsioni per il futuro dipendono dall’andamento del prezzo del petrolio (ma come monetizzare i rischi di proliferazione?). Dopo l’incidente di Chernobyl si disse “mai più queste centrali”! Ma la commercializzazione di reattori di nuova generazione, dotati di sistemi di sicurezza intrinseca, dovrebbe attendere il 2030.
Dal punto di vista ambientale, pure l’obiettivo modesto di evitare con il nucleare un piccolo aumento (0,2o C) del riscaldamento globale per la fine del secolo, richiederebbe, anche per rimpiazzare quelli obsoleti, la costruzione di una ventina di reattori all’anno (bersagli ideali per i terroristi, a meno di militarizzare il territorio!) e una decina di nuovi depositi di scorie come Yucca Mountain: oggi sono in costruzione solo 24 nuovi reattori (6 dei quali da 20 anni). L’uranio, inoltre, è una risorsa esauribile.
Un punto fondamentale è che con i reattori nucleari si produce solo energia elettrica, che costituisce soltanto una parte dei consumi energetici (con forti sprechi): un terzo del petrolio che importiamo viene “bruciato” in un sistema di trasporti sbilanciato sul trasporto su gomma, mentre una delle migliori reti ferroviarie europee è lasciata al degrado, per investire somme folli nell’Alta Velocità (o Alta Voracità).
Il programma nucleare italiano fu un fallimento, e fu arrestato dal referendum del 1987. Furono investiti 62 miliardi di Euro: ma quanto costeranno lo smantellamento di 8 centrali (Saluggia, Latina, Garigliano, Trino, Cisam, Padova, Palermo, Caorso) e la gestione delle scorie, che è ancora in alto mare e crea interminabili problemi economici e politici e tensioni sociali esplosive? Il paragone con il costo del nucleare in Francia rimane molto ideologico, se non tiene conto che Parigi ha realizzato uno dei più poderosi arsenali nucleari militari, e fa affari riprocessando il combustibile di molti Paesi. Una ripresa del nucleare oggi in Italia avrebbe senso, dal punto di vista tecnologico e dei costi, solo se si costruissero una ventina di centrali: almeno 20 miliardi, e dove le piazzeremmo nel nostro territorio densamente popolato?
Ma la critica più forte che si può muovere a questi progetti è quella di alimentare ancora l’illusione che possiamo mantenere gli stili di vita e i consumi attuali e crescenti, incompatibili con gli equilibri del pianeta, impossibili da estendere a tutta l’umanità, alimentando ulteriormente gli squilibri e i conflitti, che per le grandi potenze sembrano avere proprio nelle armi nucleari il futuro punto di forza. Invece non vi è alternativa.
Ridurre e riorientare la crescita comporterà certamente cambiamenti profondi, ma non necessariamente un peggioramento dei livelli di vita: può anzi costituire una grande opportunità per riequilibrarli, per ristabilire un rapporto equilibrato con la natura e le risorse, per eliminare o ridurre tanti (freudiani a materiali) “disagi della civiltà”, come lo stress, l’inquinamento, le crisi climatiche, idriche e via discorrendo, nonché la povertà, la fame e la sete (che nella logica attuale si stanno aggravando anziché ridursi secondo i buoni propositi dell’ONU) nonché, perché no, le guerre, che sono le maggiori distruttrici di risorse di ogni tipo.