Diversi movimenti
Il
“movimento dei movimenti” si è affermato come soggetto protagonista
dell’agire collettivo, sociale e politico, planetario. In Italia esso affonda
le radici nella seconda metà degli anni Ottanta, quando decine di migliaia di
donne e di uomini abbandonano, delusi e bruciati dalle sconfitte, la militanza
politica tradizionale e scelgono di proseguire il proprio impegno
nell’attivismo sociale. Grazie al Genoa Social Forum del 2001 e grazie
al consolidarsi del fenomeno Forum sociale mondiale, che da Porto Alegre 2001
(prima edizione) al 2002 passa da quattromila a settantamila partecipanti, la
comunità internazionale diventa più ricca. Per la prima volta nella Storia vi
è un movimento che non mette al centro “solo” lo scontro di classe o la
lotta per l’autonomia o l’indipendenza di un popolo, ma la scommessa sulla
possibilità per l’insieme dell’umanità di poter, o meno, avere un futuro.
Un movimento portatore di un nuovo umanesimo che, in quanto tale, si fa carico
di supplire allo sbando della politica nazionale, prima, e internazionale dopo
l’11 settembre. Nel nostro Paese, attraverso la costruzione e realizzazione
del primo Forum sociale europeo di Firenze (2002) e – forse ancor più – con
la campagna “Pace da tutti i balconi!”, sfociata nella storica marcia contro
la guerra del 15 febbraio 2003, si mettono in crisi tutte le false verità del
pensiero unico liberista. Oggi, in parte a causa di una serie infinita di
scadenze elettorali e in parte per il famoso “andamento carsico” del
movimento, non assistiamo più a grandi manifestazioni di massa, ma ognuno
continua la sua attività per poi ritrovarsi in occasione di battaglie
specifiche: la legge di ri-pubblicizzazione dell’acqua in Toscana, l’alta
velocità in Val di Susa, i Centri di permanenza temporanea (CPT), la direttiva
Bolkestein ecc.
Il
patrimonio della diversità
Il
moltiplicarsi e il differenziarsi degli atti e dei comportamenti è un elemento
strutturale di questa esperienza collettiva, che unisce una grande potenzialità
di mobilitazione militante a una significativa capacità di coinvolgere quegli
ampi settori della popolazione che guardano con simpatia ad alcuni dei temi
proposti dal movimento pur non identificandosi completamente con esso.
Consapevoli di ciò, e confortati dal ruolo che i movimenti gemelli stanno
giocando in questi mesi in America Latina, in Africa e – da ultimi – nella
vicina Francia, non possiamo non valorizzare quelle che sono da considerarsi
vittorie consolidate del movimento anche nel nostro Paese. Non possiamo non
riconoscere il ruolo determinante che abbiamo giocato nello spostare il senso
comune degli italiani sui grandi temi della globalizzazione liberista e quindi
sulle questioni nazionali e locali che da essa derivano. Il successo della
campagna “Manca Intesa” contro il finanziamento del commercio d’armi, lo
sviluppo del commercio equo e solidale e della finanza etica, la mobilitazione
contro le scorie nucleari di Scanzano, le reti di genitori e professori contro
la riforma della scuola, la ripresa dell’attivismo femminista sulla
procreazione assistita e in generale sulla condizione della donna, i comitati in
difesa della Costituzione sono lì a testimoniare consapevolezza e una
irrefrenabile voglia di partecipazione. Anche a livello di grandi organizzazioni
sociali come l’ARCI, la FIOM o la CGIL – Funzione pubblica, il percorso da
queste seguito verso un protagonismo politico ormai evidente è stato
sicuramente agevolato dall’essere parte integrante del movimento. Il risultato
più importante di questa prima fase di rivoluzione culturale è stato però
quello di aver restituito una dimensione etica alla politica. Il superamento
della teoria della guerra giusta, ispirato dalla riflessione di padre Balducci
La direttiva Bolkestein è una proposta di direttiva europea, detta Bolkestein dal nome del Commissario Europeo per la Concorrenza e il Mercato Interno dell’UE, che l’ha scritta. È stata approvata all’unanimità dalla Commissione Europea, presieduta all’epoca da Romano Prodi, il 13 gennaio 2004.
La direttiva interviene pesantemente su tre questioni estremamente importanti: la privatizzazione dei beni primari, l’annientamento delle normative sul lavoro, e il ridimensionamento degli enti locali. Allo scopo di eliminare gli ostacoli alla libertà di stabilimento la proposta prevede misure che semplifichino tutte le operazioni necessarie alle imprese per stabilirsi all’estero. In altri termini cancella pratiche e sistemi di autorizzazione giudicati “particolarmente restrittivi”.
Fonte: http://tradewatch.it/osservatorio/
Un
salto di qualità necessario
Allargando
di nuovo lo sguardo a livello mondiale è però doveroso ammettere anche le
nostre sconfitte. Da Seattle in avanti abbiamo saputo coinvolgere milioni di
persone attorno ad alcune delle nostre cause più importanti. Non siamo invece
stati capaci di tradurre questo consenso in risultati complessivi e duraturi.
Non abbiamo potuto fermare la guerra, non abbiamo ridotto le distanze tra il
Nord e il Sud del pianeta. In occasione dell’ultimo vertice WTO di Hong Kong,
in particolare, la vittoria dell’egoismo di Europa e Stati Uniti, ovvero delle
loro società transnazionali, ha reso ancor più difficili le ultime possibilità
di riscatto economico, e quindi sociale, dei Paesi del Sud e imposto un serio
esame di coscienza a tutti coloro che si battono per un altro mondo possibile.
La domanda che si pone oggi riguarda quindi la nostra capacità di mettere in
campo quattro o cinque grandi vertenze mondiali attraverso le quali, pur avendo
obiettivi alti e strategici, ottenere dei risultati verificabili anche a livello
locale. Se dovessi pensare a una semplificazione comunicativa, le riassumerei
così: il diritto a vivere (che implica il diritto alla terra e
all’acqua); il diritto a vivere più a lungo (l’accesso ai farmaci e
le politiche sanitarie); il diritto a vivere in un mondo più giusto e più
equo (cancellazione del debito dei Paesi più poveri); il diritto a
morire per cause naturali (no alle guerre e agli armamenti). La scelta di
svolgere il Forum sociale mondiale 2006 in forma “policentrica” ha cercato
di rispondere proprio a questa esigenza: l’idea è quella di utilizzare il
Forum non solo come spazio privilegiato di dialogo ma anche come luogo di
progettazione e verifica continua di campagne concrete. Occorre, in altre
parole, gestire una vertenzialità senza diventare prigionieri dell’illusione,
purtroppo tipica delle forze politiche che si richiamano all’Internazionale
Socialista, di poter temperare gli effetti più distruttivi della
globalizzazione neoliberista. In questo momento storico la radicalità delle
scelte non ha nulla a che vedere con l’estremismo, ma rappresenta per il
pianeta la conditio sine qua non per poter avere un futuro. Non è solo
una questione di solidarietà internazionale. Si tratta di “sano egoismo”.
Se in Africa subsahariana il brevetto farmaceutico condanna a morte milioni di
sieropositivi che non hanno accesso alle cure, in Europa lo stesso brevetto
grava pesantemente sui bilanci sanitari nazionali, distraendo risorse economiche
fondamentali, per esempio, dalla ricerca sul cancro, sulla sclerosi multipla o
su altre patologie diffuse. Allo stesso modo la battaglia contro i sussidi
agricoli che Europa e Stati Uniti concedono alle multinazionali dell’agro-business
è sì a beneficio dei Paesi poveri, con economie per la maggior parte basate
sulla coltivazione della terra, ma riguarda anche i piccoli produttori e
allevatori europei e la loro possibilità di essere sovvenzionati come parte
integrante di un tessuto di relazioni commerciali, culturali e sociali
fortemente radicate sul territorio. L’attuale sistema economico non garantisce
un domani al pianeta, al contrario oggi, per la prima volta, è in grado di
distruggerlo totalmente. Per questo la risposta deve essere altrettanto radicale
e deve avere dei fortissimi ancoraggi etico-valoriali. C’è una bellissima
poesia di Tomàs Borge (rivoluzionario sandinista, scrittore) che recita così: Siamo
sognatori, ma siamo sognatori con i piedi ben piantati per terra, sappiamo
riconoscere i nemici e sappiamo riconosce re gli amici. La trovo una
efficacissima metafora di questo movimento. Utopista? Sì ma solo se ci
riferisce all’etimologia greca del termine utopia: “il luogo che ancora non
c’è,” il luogo da costruire.