Chiamato a servire la pace
Sono
stato chiamato a servire la pace. È questa la considerazione molto semplice che
mi è nata nel cuore, appena ho appreso la notizia che mi veniva affidato il
compito della presidenza del movimento Pax Christi. Su questa idea del
servizio ormai si gioca tutta la mia vita, da quando ho iniziato la mia sequela
di Gesù Cristo. Nella mia vita di presbitero e di vescovo, da circa due anni e
mezzo, mi sono stati chiesti tanti servizi nella mia Chiesa d’origine, la
diocesi di Lanciano-Ortona e la mia regione, l’Abruzzo. E ora, in questa bella
avventura, mi viene chiesto di essere servo della pace, della giustizia e del
perdono in questo movimento. Il servire mi ricorda l’icona di Gesù nell’ultima
cena, che si cinge di un asciugatoio e lava i piedi a suoi discepoli e la
parola del Vangelo: “… quando avrete fatto tutto quello che dovevate fare
dite siamo servi inutili”. Questa icona mi ricorda sempre il mio peccato,
perché arrivare a lavare i piedi ai fratelli, se è facile dirlo con le parole
o concepirlo con il pensiero è poi tutt’altra cosa farlo nella vita. Per
quanto riguarda la parola della “inutilità”, cerco di farne continuamente
l’esperienza per non legare troppo la mia vita ai miei progetti e alle mie
idee, ma solo a quelle di Dio e della Sua Provvidenza. Eccoci dunque insieme per
fare un tratto di strada per servirci reciprocamente, per mettere in comune le
nostre inutilità, perché dalle nostre debolezze verrà la capacità di essere
forti, non per noi stessi, ma per la consegna della “Pace di Cristo” che ci
è stata affidata. “Vi lascio la pace vi do la mia pace non come la dà il
mondo io la do a voi” è questa la parola profetica del Vangelo che nessun
calcolo umano potrà far mai tacere. La mondanità attraverso le varie
ideologie, che la storia degli uomini ha sempre conosciuto, ha cercato sempre di
asservire a se stessa la causa della pace; per noi credenti non può essere così,
perché la certezza della pace che viene da Cristo è più forte di ogni
ideologia, è più forte della mondanità.
Credo
che il servire la pace si debba coniugare con il servizio della giustizia e del
perdono. Lo stesso Giovanni Paolo II, nel messaggio per la pace per il capodanno
2002, ci ha ricordato che “non c’è pace senza giustizia e non c’è
giustizia senza perdono”. Ciò che caratterizza nella concezione biblica della
giustizia è che essa non corrisponde a un atteggiamento di asettica oggettività,
ma è impegno appassionato del giudice in favore di colui il cui diritto è
calpestato. Giudicare con giustizia implica, dunque, il giudicare
“senza partito preso” e, ancor più, rimuovere un ostacolo nella vita comune
e un conflitto nell’interesse di tutti, così che chi ha sofferto danni, sia
reintegrato nei suoi diritti e chi ha provocato l’ingiustizia sia reso
innocuo. Dio solo è giudice giusto e ogni giorno si accende il suo sdegno.(Sal
7,12). Il servire la giustizia inizia accogliendo questo sdegno di Dio,
che ha come unico fine la conversione e la resipiscenza dell’ingiusto, mai
condividendo il male commesso, ma attendendo anche a costo della sofferenza che
quella ingiustizia sia tolta. È evidente che se entriamo in questa logica
presto ci renderemo conto che non c’è ricerca della giustizia senza la
capacità della compassione e cioè essere capaci di portare insieme il
peso di chi è ingiustamente offeso, maltrattato, defraudato.
Si
passa nel regime di assunzione di responsabilità nei confronti
dell’altro che si trova nel bisogno. Il giusto diventa colui che dice:”Sì,
io sono il custode di mio fratello” (Gn 4,9). Ma che sarebbe della nostra
giustizia senza assumere l’ultima attesa dell’uomo: il perdono? La
stragrande maggioranza dei testi biblici dice che è Dio che perdona: che il
perdono trova la sua vera natura quando è riferito a colui che, essendo
l’origine, conosce perfettamente l’uomo ribelle, debole e meschino e che,
entrando in relazione di alleanza con lui, prevede in anticipo la possibilità
del tradimento e dell’offesa. La conseguenza è che il perdono di Dio precede
il pentimento dell’uomo e non ne è determinato, anzi ne è la
condizione e il presupposto. È questo il perdono che Dio in Cristo è venuto a
donare, è questo il perdono che con coraggio dobbiamo vivere, offrire e
servire. Spero che per il tempo che il Signore ci darà di camminare insieme
potremo impegnarci a servire questo progetto che il Vangelo di Gesù Cristo
ancora una volta mette nelle nostre mani. Mi affido al ricordo della vostra preghiera
e di tutti coloro che si uniscono a noi particolarmente in questi giorni a
intercedere e invocare incessantemente il dono della Pace per tutta l’umanità.
Siamo alla vigilia del quarantesimo anniversario della Pacem in Terris. Al
Beato Giovanni XXIII vorrei affidare questo mio servizio e questa
intercessione che spero salga al Signore da tutti noi.