Dossier

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La Porto Alegre D’Europa
A cura di Tonio Dell’Olio




Dalle pagine di questa rivista non abbiamo mai tralasciato di esprimere la nostra simpatia con il popolo di Porto Alegre, prima e più, che col popolo di Seattle. Il popolo di Seattle rappresenta il punto mediaticamente più visibile di una larga fascia di società civile organizzata che prende finalmente consapevolezza dei meccanismi di ingiustizia che i grandi della terra mettono in atto per garantire i propri interessi. Questa consapevolezza è espressa con la varietà delle tonalità della contestazione fino a rischiare di incrinare l’immagine e la sostanza stessa del proprio messaggio con la violenza. Il popolo di Porto Alegre è la rappresentazione reale di una società civile, diffusa nella base, intergenerazionale e presente al nord quanto al sud del mondo, e che riesce a essere a tal punto propositiva da definire percorsi, strumenti, meccanismi alternativi a quelli dominanti. Insomma, a Porto Alegre si è riuscito a dire quello che i vertici mondiali (Johannesburg compreso) non riescono ancora a definire. Porto Alegre non solo indica quali sono le strade da battere, ma è capace di mostrare al mondo intero alcune esperienze significative che producono giustizia, ovvero benessere diffuso, qualità della vita, rispetto di ciascuno, pace e democrazia, sviluppo “davvero” sostenibile.
Dal 6 al 10 novembre il popolo di Porto Alegre sbarca a Firenze perché avverte l’urgenza di interrogarsi sul contributo che il vecchio continente può offrire alla felicità di tutte le donne e di tutti gli uomini. È un appuntamento che si svolge interamente in chiave propositiva, tanto da voler mettere a frutto le esperienze, le riflessioni, i cammini che in tante parti d’Europa si stanno compiendo ormai da molti anni. Stiamo parlando di organizzazioni non governative (specialmente di quelle che non accettano di essere incastrate nelle stesse logiche del sistema), di realtà di base come associazioni e cooperative sociali, delle più diverse espressioni del terzo settore, le chiese e le grandi tradizioni religiose presenti in Europa, dei movimenti che si battono per la difesa e la promozione dei diritti umani, per il disarmo, e per il giusto equilibrio del rapporto tra l’uomo e l’ambiente. Non hanno interessi da difendere, né spazi da occupare, semplicemente hanno conosciuto da vicino quanto l’ingiustizia bruci sulla pelle dei poveri. Non vogliono limitarsi a dire basta e, quindi, vogliono aiutare questo vecchio mondo a intravedere le strade nuove attraverso le quali è possibile spezzare per tutti il pane della giustizia. In questo senso la presenza sicuramente più significativa è quella di tanti volontari e missionari che condividono quotidianamente le sorti delle vittime di questo sistema.
Ma la Porto Alegre di Firenze non dovrà discutere soltanto della miseria del sud. Sulle sponde dell’Arno vogliamo sognare una nuova Europa. Parliamo di un continente che richiami a se stesso la vocazione d’essere ponte verso i Paesi più poveri e “testa di ponte” nei consessi che contano. Sì, l’Europa può inventare l’alternativa. È un’Europa disposta a osare il cambiamento e non solo a proporlo.

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