Un grido che parla al mondo
A partire dall’11 settembre 2001.
Nell’album
dei ricordi, a fianco ai pantaloni a zampa, ai film del Padrino, al movimento
studentesco e al primo uomo sulla Luna, ci sono le canzoni dei poeti della musica
folk americana, i versi di protesta dei cantanti nostrani, le trecce
traballanti del reggae e la voglia di esprimere se stessi come mai prima
si era potuto fare. La musica, in ogni sua forma e in ogni sua modalità di
fruizione è da sempre legata a doppio filo al contesto sociale in cui nasce. Da
esso è ispirata, ma di esso è anche ispiratrice in un rapporto di continuo
scambio. In ogni canzone, album, genere musicale che caratterizza un periodo,
ritroviamo il riflesso di un avvenimento, di uno stato d’animo o di un modo di
pensare tipico di quel contesto storico-culturale. È così che parte un viaggio
in dieci tappe che si propone di sfogliare alcune delle pagine più
significative di quell’album che raccoglie il grido ritmato di intere
generazioni. Grida per guerre ingiuste (ammesso che possano non essere tali),
urla di popoli e culture incatenate dai poteri forti, parole e moniti che,
ancora oggi a distanza di decenni da quando sono state scritte, riecheggiano
nell’aria diventando un tutt’uno con il doloroso lamento dell’occidente
che piange sulle migliaia di vite crollate sotto l’attacco del terrorismo.
Ecco quindi la prima fermata obbligatoria di questo cammino che parte dall’11
settembre e a esso intende tornare spesso, raccontando degli altri sentiti,
amareggiati e combattivi versi della denuncia.
Dopo
l’11 settembre qualcosa, anzi molto, sembra essere cambiato, la
realtà ha presentato il conto e inevitabilmente la musica è lì a
testimoniarlo. Già dieci giorni dopo l’attentato le star di Hollywood si
mobilitarono insieme a molti cantanti per una serata per raccogliere fondi in
favore delle famiglie vittime del terrorismo. A un mese dalla tragedia Paul McCartney
e Michael Jackson organizzarono due grandi concerti di beneficenza a New
York e Washington, a cui parteciparono i più grandi nomi della musica leggera
internazionale. La prima serata fu aperta da Heroes, il brano di Bowie
divenuto, per l’occasione, inno dei pompieri che persero la vita nel tentativo
di arginare la catastrofe in atto. A tutt’oggi non è possibile parlare di una
reazione a caldo o circoscritta a pochi artisti, ma di una vera e propria presa
di coscienza definitiva di un intero universo. Anche Mtv, il più
famoso network musicale, ha cambiato i suoi palinsesti sentendosi, come ha avuto
modo di dire l’amministratore delegato Tom Freston, in dovere di affrontare
adeguatamente lo smarrimento del suo pubblico di fronte a un evento impensabile
in quel mondo frivolo e spensierato che la propria programmazione ha contribuito
a mettere in piedi. Continuamente si pone ora la questione se sia più giusta
l’autocensura dei cantanti oppure la libertà di provocare.
Il
National Endowment for the Arts, l’agenzia statunitense per il
finanziamento delle arti e della cultura, ha ricevuto dal governo repubblicano
direttive circa un indirizzo orientato al “sostegno della conservazione, della
formazione e dello sviluppo della comunità”, tagliando invece i fondi per la
creazione artistica fine a se stessa. Naturalmente questa, come ogni iniziativa
del genere, ha dovuto subire le critiche di chi vorrebbe raccontare un deciso e
diverso punto di vista. Patriottismo e pacifismo tornano così a scontrarsi come
non era più accaduto dagli anni ‘60. Da uno sguardo in casa nostra emerge
l’edizione 2002 del Ravenna festival interamente
incentrata sulle riflessioni artistiche riguardo i fatti americani. Nel
programma aperto ad aprile dal concerto di Bob Dylan, spiccava, fra l’altro,
l’esecuzione di Voci dal silenzio, una composizione di Ennio Morricone
per tutte le vittime della violenza umana. Infine è di poche settimane fa
l’uscita dell’album The rising di Bruce Springsteen
dedicato per intero a quella data da cui il mondo cerca ancora di rialzarsi. Ma
questa… è un’altra storia. Per cui, “allacciatevi le cuffie”.