MUSICA

Un grido che parla al mondo

Comincia un viaggio nel rapporto tra musica e tempo storico che viviamo.
A partire dall’11 settembre 2001.
Vincenzo Dell’Olio
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Nell’album dei ricordi, a fianco ai pantaloni a zampa, ai film del Padrino, al movimento studentesco e al primo uomo sulla Luna, ci sono le canzoni dei poeti della musica folk americana, i versi di protesta dei cantanti nostrani, le trecce traballanti del reggae e la voglia di esprimere se stessi come mai prima si era potuto fare. La musica, in ogni sua forma e in ogni sua modalità di fruizione è da sempre legata a doppio filo al contesto sociale in cui nasce. Da esso è ispirata, ma di esso è anche ispiratrice in un rapporto di continuo scambio. In ogni canzone, album, genere musicale che caratterizza un periodo, ritroviamo il riflesso di un avvenimento, di uno stato d’animo o di un modo di pensare tipico di quel contesto storico-culturale. È così che parte un viaggio in dieci tappe che si propone di sfogliare alcune delle pagine più significative di quell’album che raccoglie il grido ritmato di intere generazioni. Grida per guerre ingiuste (ammesso che possano non essere tali), urla di popoli e culture incatenate dai poteri forti, parole e moniti che, ancora oggi a distanza di decenni da quando sono state scritte, riecheggiano nell’aria diventando un tutt’uno con il doloroso lamento dell’occidente che piange sulle migliaia di vite crollate sotto l’attacco del terrorismo. Ecco quindi la prima fermata obbligatoria di questo cammino che parte dall’11 settembre e a esso intende tornare spesso, raccontando degli altri sentiti, amareggiati e combattivi versi della denuncia.

Dopo l’11 settembre qualcosa, anzi molto, sembra essere cambiato, la realtà ha presentato il conto e inevitabilmente la musica è lì a testimoniarlo. Già dieci giorni dopo l’attentato le star di Hollywood si mobilitarono insieme a molti cantanti per una serata per raccogliere fondi in favore delle famiglie vittime del terrorismo. A un mese dalla tragedia Paul McCartney e Michael Jackson organizzarono due grandi concerti di beneficenza a New York e Washington, a cui parteciparono i più grandi nomi della musica leggera internazionale. La prima serata fu aperta da Heroes, il brano di Bowie divenuto, per l’occasione, inno dei pompieri che persero la vita nel tentativo di arginare la catastrofe in atto. A tutt’oggi non è possibile parlare di una reazione a caldo o circoscritta a pochi artisti, ma di una vera e propria presa di coscienza definitiva di un intero universo. Anche Mtv, il più famoso network musicale, ha cambiato i suoi palinsesti sentendosi, come ha avuto modo di dire l’amministratore delegato Tom Freston, in dovere di affrontare adeguatamente lo smarrimento del suo pubblico di fronte a un evento impensabile in quel mondo frivolo e spensierato che la propria programmazione ha contribuito a mettere in piedi. Continuamente si pone ora la questione se sia più giusta l’autocensura dei cantanti oppure la libertà di provocare.

Il National Endowment for the Arts, l’agenzia statunitense per il finanziamento delle arti e della cultura, ha ricevuto dal governo repubblicano direttive circa un indirizzo orientato al “sostegno della conservazione, della formazione e dello sviluppo della comunità”, tagliando invece i fondi per la creazione artistica fine a se stessa. Naturalmente questa, come ogni iniziativa del genere, ha dovuto subire le critiche di chi vorrebbe raccontare un deciso e diverso punto di vista. Patriottismo e pacifismo tornano così a scontrarsi come non era più accaduto dagli anni ‘60. Da uno sguardo in casa nostra emerge l’edizione 2002 del Ravenna festival interamente incentrata sulle riflessioni artistiche riguardo i fatti americani. Nel programma aperto ad aprile dal concerto di Bob Dylan, spiccava, fra l’altro, l’esecuzione di Voci dal silenzio, una composizione di Ennio Morricone per tutte le vittime della violenza umana. Infine è di poche settimane fa l’uscita dell’album The rising di Bruce Springsteen dedicato per intero a quella data da cui il mondo cerca ancora di rialzarsi. Ma questa… è un’altra storia. Per cui, “allacciatevi le cuffie”.

 

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