EPPUR SI MUOVE

Il Sudan tra guerra e pace

Dopo la prima intesa, sospesi i negoziati tra governo e ribelli.
Dentro e fuori il Paese, c’è chi non vuole la pace.
Monica Rovera
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Un anno dopo la costituzione della Coalizione Europea sul Petrolio in Sudan (ECOS), i delegati delle organizzazioni aderenti si sono riuniti all’inizio di settembre a Firenze presso la Casa per la Pace. L’incontro ha rappresentato l’occasione per valutare i risultati raggiunti a seguito dell’appello pubblico lanciato il 29 maggio 2001 e per tracciare le linee programmatiche per i prossimi mesi alla luce dei recenti avvenimenti. Il 20 luglio scorso, infatti, a Machakos, in Kenya, le delegazioni del governo del Sudan e dell’Esercito di Liberazione Popolare Sudanese (SPLA), che si combattono dal lontano 1983, hanno firmato, inaspettatamente per molti osservatori e analisti, un Protocollo di Intesa nell’ambito del primo round dei negoziati di pace sotto l’egida dell’Autorità Inter-Governativa per lo Sviluppo (IGAD), l’organismo regionale indicato come interlocutore nei colloqui di pace sudanesi (vedi “Mosaico di pace” settembre 2002, ndr).

Speranze ancora fragili

L’accordo, siglato sotto la supervisione di Stati Uniti, Gran Bretagna, Italia e Norvegia, cui ha fatto seguito un incontro tra il presidente sudanese Omar El-Bashir

E nei Grandi Laghi, la pace...

È ancora presto per capire se quello sottoscritto tra Rwanda e Repubblica democratica del Congo (Rdc) il 30 luglio scorso nella città sudafricana di Pretoria sarà finalmente l’accordo che porterà la pace nella regione dei Grandi Laghi. A metà settembre, il presidente del Rwanda, Paul Kagame, ha annunciato all’Onu l’inizio del ritiro delle proprie truppe (25-30 mila militari) dall’est della Rdc. Da parte sua, il presidente dell’ex Zaire, Joseph Kabila, ha ribadito l’impegno a cessare immediatamente il suo sostegno ai combattenti ex-Far (Forze armate ruandesi) e alle milizie ‘interahamwe’. Nell’est della RdC si trovano anche alcuni gruppi armati locali alleati di Rwanda e Uganda che controllano la regione e soprattutto le ingenti risorse naturali (vedi “Mosaico di pace”, giugno 2002, ndr). Rwanda e Uganda invasero l’ex-Zaire nel 1998: da allora, in quattro anni, quella che è stata definita la “prima guerra mondiale africana” (ne erano coinvolti ben otto Stati) ha causato circa due milioni di morti. Grande regista dell’accordo è stato il leader del Sudafrica Thabo Mbeki a fianco dell’Onu, presente già nella regione con una missione di pace. Ma il fallimento del precedente accordo di Lusaka del 1999 giustifica lo scetticismo di molti, visti i tempi molto stretti nei quali dovrebbe avvenire la smobilitazione e il disarmo delle milizie (alcune delle quali hanno già fatto sapere di non accettare gli accordi).

e il leader dei “ribelli” del Sud John Garang, rappresenta un significativo passo avanti in quanto affronta finalmente le due questioni più spinose, vale a dire l’autodeterminazione della popolazione del Sud Sudan – da esercitare attraverso un referendum dopo un periodo di transizione di sei anni, in cui i sud-sudanesi saranno chiamati a scegliere per la prima volta tra l’unità e la secessione del Paese – e la separazione tra Stato e religione. “Entrambi i punti sono di primaria importanza per i sud-sudanesi - commenta Marina Peter, coordinatore del Sudan Focal Point Europe – tuttavia essi non trovano ancora ampio consenso nel Nord del Paese”. Marina Peter ha voluto recarsi personalmente a Khartoum per raccogliere le prime impressioni sull’accordo di Machakos. “Per la prima volta dopo molti anni – afferma – la maggior parte delle persone (del Nord e del Sud, cristiani e musulmani) che ho incontrato hanno manifestato, in un’atmosfera distesa, un certo ottimismo e una cauta speranza per il prossimo futuro. I risultati raggiunti, pur superiori alle aspettative, restano tuttavia ancora fragili.

È mancato innanzitutto il coinvolgimento attivo dei rappresentanti della società civile sudanese, interlocutori scarsamente considerati in seno ai negoziati di pace. La gente comune non è informata sugli sviluppi della situazione e ripete che gli intellettuali stanno discutendo e decidendo fra di loro le sorti del Paese. Vi è la consapevolezza inoltre che gli Stati Uniti, grandi ispiratori dell’accordo, anche dietro l’offerta di ingenti risorse finanziarie, mirino a ottenere una soluzione di stabilità nella zona, specialmente dopo l’11 settembre 2001, al fine di garantirsi la cooperazione del regime di Khartoum nella lotta al terrorismo, di migliorare i rapporti con i Paesi arabi e di assicurarsi una presenza nel Sud del Paese, ricco di petrolio. Resta inoltre da non sottovalutare la mancata partecipazione alle trattative di pace delle altre parti belligeranti e dell’opposizione del Nord: elemento questo che potrebbe seriamente minare il contenuto dell’accordo. La situazione umanitaria infine resta estremamente grave e complessa. I Monti Nuba, il Southern Blue Nile e le altre aree non considerate nel Protocollo di Machakos meriterebbero invece una particolare attenzione”.

Proteggere i civili

L’accordo non prevede il cessate- il-fuoco che avrebbe dovuto costituire un passaggio determinante nel corso del secondo round dei negoziati che ha avuto inizio il 12 agosto scorso e che è stato inaspettatamente sospeso dal governo di Khartoum il 2 settembre, a seguito della conquista da parte dello SPLA della città strategica di Torit, nell’Equatoria Orientale. “Si temeva infatti che, in attesa di un’eventuale interruzione delle ostilità, sia i ‘ribelli’ sia le forze governative si sarebbero armati per un assalto finale, al fine di accaparrarsi il maggior territorio possibile – spiega Marina Peter – Anche durante la prima fase dei negoziati si sono registrati bombardamenti aerei e combattimenti nelle regioni del Sud, con numerose perdite da entrambe le parti. Il numero dei morti, dei feriti e dei dispersi resta tuttora sconosciuto. Alla luce di ciò, è impossibile non chiedersi se la conquista di Torit costituisce l’unica ragione alla base dell’interruzione dei colloqui. Occorre ancora una volta sottolineare che l’accordo per la protezione dei civili, siglato dalle due parti la scorsa primavera, non è mai stato applicato, andando così ad aggiungersi alla lunga lista di accordi disattesi in Sudan. È necessario inoltre considerare che non tutti hanno accolto positivamente il Protocollo di Machakos. L’Egitto ha dichiarato apertamente di opporsi a qualsiasi accordo che garantisca una certa autonomia al Sud Sudan. I partiti di opposizione del Nord Sudan accusano il governo di essersi arreso alle richieste del Sud, riconoscendo il diritto all’autodeterminazione e di aver violato i valori, l’ideologia e gli scopi islamici, concordando la sospensione della Sharia nel Sud. Per attenuare le tensioni, il governo rilascia dichiarazioni e commenti contraddittori, al fine di accattivarsi il sostegno di coloro che ostacolano l’attuazione dell’accordo, giocando un ruolo difficile e rischioso. È prematuro esprimersi su come e quando riprenderanno i colloqui di pace. Lo SPLA ha annunciato di essere pronto in qualsiasi momento e anche i mediatori sembrano ottimisti su una ripresa a breve termine. Una cosa tuttavia è certa: a pagarne il prezzo è ancora una volta la popolazione civile”.

Il ruolo dell’Europa

La precarietà e la complessità dell’attuale situazione in Sudan chiedono di intensificare gli sforzi della comunità internazionale, per supportare ancor più concretamente il difficile cammino verso la pace. A questo proposito, il network europeo per il Sudan si impegna a proseguire l’attività di pressione nell’ambito delle istituzioni dell’Unione Europea, affinché sia riconosciuto il ruolo fondamentale della società civile sudanese, venga garantito, anche sotto monitoraggio internazionale, il pieno rispetto dei diritti umani e siano sospese tutte le attività petrolifere fino al raggiungimento di una pace giusta e duratura. L’ampiezza e l’asprezza delle discussioni in seno al Sudan dimostrano quanto sia arduo giungere a un consenso generale che permetta il concretizzarsi di un accordo di pace per porre fine al conflitto che da troppi anni insanguina il più esteso Paese del continente africano.

 

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